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Fede e ragione

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Cosa significa cogliere con la ragione e credere che Dio è Creatore?

«Innanzitutto che la fede cristiana ha che fare con la realtà nel suo complesso. Ha a che fare con la ragione. Essa pone una domanda che riguarda tutti gli uomini. Oggi non si parla più nemmeno in teologia delle ‘prove dell’esistenza di Dio’. Del resto è vero che troppo spesso si è data una importanza esagerata a simili ragionamenti e non si riflettuto abbastanza sulle questioni di fondo. Vero è anche che il discorso non è stato sempre chiaro sul piano concettuale, come pure che il termine ‘ prova ’ nell’ambito delle scienze naturali ha assunto ormai un significato (di verifica empirica) che non può certamente valere nel nostro contesto. Erano dunque necessarie alcune correzioni. Ma se si abbandona anche la sostanza di questa problematica, si determinano delle conseguenze piuttosto gravi: la fede perde ormai ogni aggancio con la ragione umana. E quando ciò si verifica, essa finisce col ritirarsi nel campo del particolare, dove la fede è una delle tante tradizioni del genere umano: gli uni hanno questa, gli altri ne hanno delle altre. La verità di tramuta in folklore e così un’obbligazione interiormente fondata si trasforma in merce che si cerca di vendere a buon mercato, ma nella quale nessuno può provare più gioia. La gioia della fede dipende decisamente dalla consapevolezza che essa non è ‘qualcosa, bensì la perla preziosa della verità» [Joseph Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo, pp. 37-38, Queriniana 2005].

Oggi c’è un progressivo abbandono della ritrosia positivistica che proibiva al fisico di affrontare la questione di Dio cogliendo come la conoscenza del reale, fin nelle sue radici più profonde, costringe ad interrogarsi anche sull’ordine che lo sorregge. Ciò che un tempo si diceva con la parola ‘Dio’ viene indicato col termine - cifra di ‘ordine centrale’ come ‘bussola’ che ci serve per orientarci lungo il cammino della nostra vita, quindi di un’esigenza e di una norma. Quest’ordine centrale, questa bussola lascia trasparire più che mai la sua origine dal Creatore: ciò che un tempo appariva come materia, massa inerte, oggi la comprendiamo come opera ripiena di spirito. La fede cristiana in Gesù Cristo, cioè la Ragione (Persona) per cui il Padre tutto ha creato nello Spirito Santo, assicurerebbe, con l’ala della fede quello cui giunge come esigenza la ragione, questo ordine centrale, questa bussola, questa norma naturale.
La fede cristiana cattolica non si pone mai contro la ragione, ma la protegge, e difende sul suo interrogarsi circa il tutto cioè la totalità dei fattori o verità. Fino agli anni ’60 era usuale il rimprovero che la fede sarebbe nemica del progresso e alimenterebbe un insano risentimento nei confronti dell’uso tecnico della scienza. Oggi, quando ormai diventa di moda nutrire dubbi sul fatto che la tecnica sia sempre una benedizione, ascoltiamo invece un’obbiezione esattamente opposta: con la sua massima “assoggettate la terra!’ e la sua sdivinizzazione del mondo, la fede cristiana avrebbe favorito il dominio e lo sfruttamento della terra più sfrenati, generando così la maledizione della tecnica attuale. Certo ci possono essere colpe di cui i cristiani possono essersi macchiati in questa o in quella direzione specifica: in tal caso la fede stessa è stata mal interpretata. Ma è vero che la fede cristiana affida il mondo alla responsabilità dell’uomo, e in questo senso ha reso possibile  il sorgere dell’età moderna. Essa, però, collega sempre il problema del dominio del mondo a quello della creazione di Dio e del senso della creazione. La fede rende possibile la ricerca e la problematica tecnica dell’empiricamente verificabile poiché interpreta la razionalità del mondo e il suo ordine centrale, la bussola in vista dell’uomo, di ogni uomo, del passato, del presente e del futuro. Non ammette assolutamente, però, la possibilità di restringere il campo della nostra riflessione, della razionalità, all’empiricamente verificabile solo in vista del funzionamento e dell’utilità. Mantenendo l’io aperto alla totalità dei fattori cioè alla verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza, stimola la responsabilità dell’uomo a saper rinunciare ai vantaggi momentanei, per interrogarsi sul fondamento del tutto, sull’ordine centrale, sulla bussola. Difende la ragione allargata alla contemplazione del tutto da ogni attacco sferrato da una ragione ridotta puramente all’empiricamente verificabile.
Appare chiaro che la fede nella creazione di Dio, cui anche la ragione può giungere come esigenza, causa di ciò che viene all’esistenza, non ha per oggetto soltanto una pura teoria, non tocca solo il problema di un passato nel quale il mondo si venne a formare. Ciò che a essa importa è il presente, il modo corretto di porsi di fronte alla realtà in tutti i fattori o verità. Per la fede cristiana nella creazione è decisivo che il Creatore e Redentore, il Dio dell’origine e il Dio della fine, siano l’unico e medesimo Dio. Quando questa unità viene compromessa, sorge l’‘eresia’, va in frantumi la struttura fondamentale della fede stessa. All’inizio della storia ecclesiastica fu Marcione, nell’Asia Minore a rompere questa struttura fondamentale. Contro la convinzione della Chiesa, fondata sull’unità tra Gesù Cristo e Antico Testamento, egli osservava invece che il Nuovo testamento attesta chiaramente che gli ebrei non conobbero il Padre di Gesù Cristo, non conobbero il suo Dio. Per cui il Dio dell’Antico Testamento non può essere quello di Gesù Cristo. Gesù avrebbe introdotto un Dio veramente nuovo, fino allora sconosciuto, un Dio che non ha nulla a che vedere con il Dio geloso, adirato e vendicativo dell’antica alleanza. Il suo Dio sarebbe soltanto amore, perdono, gioia; non costituirebbe più una minaccia, ma sarebbe totalmente speranza e perdono. Lui soltanto sarebbe il Dio buono. Le Beatitudini sono l’antitesi neotestamentaria al Decalogo, l’etica più elevata dei cristiani nei confronti dei comandamenti dell’Antico Testamento. Questo disprezzo per l’antico Dio, per i Comandamenti che Marcione nella più ampia corrente della gnosi dimostra, significa disprezzo per la ‘mal riuscita ’ creazione: è ribellione contro il creato, per un mondo nuovo, idea fatta propria da tanti rivoluzionari.
In realtà, da quel rifiuto del Creatore e della creazione scaturisce un disprezzo ascetico del corpo come pure un libertinismo cinico, e di fatto esso esprime anche un odio per il corpo, l’uomo e il mondo. Nella teologia stessa, la presenza di forme raffinate di una simile esclusione del corpo, dell’umano, porta relativizzare l’incarnazione del Figlio di Dio nella Vergine per opera dello Spirito Santo e la confessione della presenza sacramentale del risorto nel suo corpo che è la Chiesa.
La brama di un mondo diverso poggia sull’odio nei confronti della creazione e di quel Dio che ne porta la responsabilità. La gnosi è stata il primo movimento nella storia dello spirito a tramutarsi in ideologia della rivoluzione totale. Ci sono parecchie analogie tra Marcione e Marx. La rivoluzione, da strumento politico, diventa un idolo religioso, dove non si tratta più di stabilire un confronto democratico con questa o quella realtà politica, ma di scegliere fra due specie di dio, di ribellarsi alla stessa realtà, che deve essere calpestata e rifiutata in quanto esistente, per fare spazio a un totalmente - altro. Non è più possibile  fare valutazioni morali perché la discussione assume un carattere metafisico per raggiungere il quale tutto diventa lecito. Quando si contesta l’esistenza della famiglia naturale fondata sul matrimonio, quando la paternità e la maternità umane vengono diffamate come un ostacolo per l’affermarsi della liberà individuale, quando il rispetto, l’obbedienza, la fedeltà, la pazienza, la bontà, la fiducia, il rischio educativo sono considerate invenzioni della classe dominante, mentre le vere virtù di un uomo libero sono l’odio, la diffidenza e la disubbidienza, e sono proprio questi gli ideali  che si propongono ai nostri bambini, allora viene posto in gioco anche il Creatore e la sua creazione. Questa creazione, dicevano i 17 mila della rivoluzione francese e i ventimila bolscevichi della rivoluzione russa, deve cedere il posto a un mondo nuovo, che l’uomo stesso si costruirà e che comunque sarà sempre migliore dell’attuale. Seguendo la logica di una simile impostazione, di fatto soltanto l’odio e la trasgressività sarà la via che conduce all’amore, alla vera solidarietà, dove però questa logica poggia sull’antilogica dell’autodistruzione. E, infatti, quando si diffama la realtà intera, quando si offende il Creatore, si sradica l’uomo stesso dalla realtà. Lo intravediamo, anzi lo tocchiamo con mano nel modo stesso in cui si affronta il problema ecologico dell’ambiente.

La Creazione è una ‘ bussola ’ necessaria
Gli antichi parlavano di diritto naturale. Una tematica, questa, che oggi suona piuttosto ridicola e che certo ha favorito parecchi abusi. La sostanza, però rimane del tutto valida: esiste un diritto che deriva dalla ‘ natura ’, da una creazione - bussola, e che allo stesso tempo rende possibile un ‘diritto delle genti ’, al di là e al di spora di ogni limite fissato dalle diverse legislazioni nazionali, anche democratiche. Esiste un diritto di natura che precede ogni nostra legislazione, per cui non si può considerare ‘ diritto ’ tutto ciò che passa nella mente o nei desideri degli uomini. Possono esserci delle leggi che, pur, essendo tali, non sono affatto ‘ diritto ’, bensì ingiustizia. La natura stessa, in quanto creazione, è una fonte di diritto. Essa ci indica i limiti invalicabili, i valori non democraticamente negoziabili. L’attualità di una simile questione è evidente: quando si proclama diritto l’uccisione di una vita innocente, si trasforma l’ingiustizia in un diritto. Quando il diritto, il sistema democratico, non difendono più la vita umana, la famiglia naturale, la libertà di educazione, non sono più diritto, democrazia. Dire questo non significa voler imporre, in una società  pluralistica, la specifica morale cristiana a tutti gli altri. Qui si tratta dell’umanità, dell’umanità dell’uomo, il quale non può dichiarare la distruzione della creazione come via per la sua liberazione, senza ingannare profondamente se stesso. La foga della disputa che viene condotta in questo campo si spiega con l’importanza della questione sul tappeto: l’uomo è davvero libero quando si sgancia dalla creazione, lasciandosela alle spalle come situazione di schiavitù? O non è proprio allora che nega se stesso? In ultima analisi qui la disputa punta all’evidenza dell’uomo in quanto tale. Il cristiano, quindi, non potrà esimersi dall’affrontare una simile questione, dicendo che la propria morale non viene affatto condivisa dagli altri. Questo significherebbe misconoscere l’ampiezza della questione e anche la portata dell’essere cristiano che viene dall’incontro con la Persona del risorto per la salvezza di tutti, ben superiore a un ethos di gruppo: responsabilità per tutto l’uomo, per ogni uomo concreto: proprio questo consegue all’incontro con il suo Redentore e con la Ragione (Persona del Figlio) per cui il Padre tutto ha creato nello Spirito Santo.

La situazione dell’uomo d’oggi
Nella preoccupazione di sbarrare - nel modo meno appariscente e più sicuro possibile - la strada a una nuova vita umana, non si cela forse anche una profonda angoscia di fronte al futuro? Due cose essa sembra nascondere. Per un verso, essa scaturisce dal fatto che non si riesce a cogliere il vero significato della verità cioè dell’essere dono di ogni vita e di tutto il cosmo che ci circonda, poiché ci è venuto a mancare la consapevolezza, così esplosiva nel carisma di san Francesco, del senso creaturale: non si ha il coraggio di affrontare la propria vita anche con tutti i limiti temporali, e quindi non si vorrebbe che altri percorrano la via oscura dell’essere  - uomo. L’Italia ha il primato del più basso tasso di natalità a livello mondiale. D’altro canto, c’è qui chiaramente anche la paura della concorrenza, il timore che l’altro diventi per me un limite: gli altri sono un inferno diceva Sartre. L’altro, perfino il nascituro, diventa così una  minaccia. Mentre il vero amore comporta un morire, un ritirarsi di fronte all’altro e per l’altro. Ed è appunto questo morire, non più in comunione con il morire e risorgere di Cristo, che noi rifiutiamo. Vogliamo rimanere noi stessi, nella nostra solitudine infernale, conservare la nostra vita indivisa al posto dell’”io e non più io” battesimale., e sfruttarla indisturbati in tutte le sue possibilità. Non ci accorgiamo né vogliamo accorgerci che proprio questa avidità di vita, di libertà individuale, distrugge il nostro futuro, pone in gioco la nostra stessa esistenza.

La fede nel Dio Creatore è nel tempo stesso anche la fede nel Dio della coscienza: io - Tu
Vogliamo rifarci all’ultima osservazione di Ratzinger nel libro citato, da cui abbiamo tratto tutte queste argomentazioni teologico-culturali (pp. 49-50). Poiché Dio è Creatore di ogni suo essere dono unico e irripetibile, è vicino a ciascuno di noi nella coscienza. Nella fede nella coscienza si manifesta il contenuto interamente personale della professione di fede nella creazione. La coscienza è al di sopra della legge: essa può distinguere fra legge che è diritto e legge che è ingiustizia. Coscienza significa il primato della verità o realtà in tutti i fattori. Questo, però, vuol dire: non legittimazione dell’arbitrio, bensì espressione della fede nella partecipazione consapevole e misteriosa dell’uomo alla verità nella sua evidenza. Nella coscienza noi siamo co-scienti della verità, dove è la coscienza stessa che ci stimola a una continua ricerca della verità.
Credo in Dio Creatore: che questa fede pienamente accolta, vissuta, pensata ci faccia cogliere ciò che questo significa e diventi continuamente cultura cioè evidenza condivisa.

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