Dio salvi la ragione
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Dio salvi la ragione, un volume dell’editore Cantagalli che coinvolge personalità del mondo culturale occidentale e del mondo musulmano, nel quale ci sono anche i commenti dell’ebreo Joseph H.H. Weiler che così si introduce: “Prego il Dio d’Israele: fa che la parole delle mie labbra e la meditazione del mio cuore siano a Te gradite, Signore, mia Roccia e mio Redentore”.
Per lui i tre discorsi di Benedetto XVI a Regensburg sono rivolti ad almeno tre tipi di pubblico: le altre religioni, i fedeli cattolici e il nostro ambiente politico e culturale generale, spesso secolare. “Preserva la lingua dal male, le labbra da parole bugiarde. Sta lontano dal male e fa il bene, cerca la pace e perseguila” (Salmo 34 (33), 14-15). E’ questo un passaggio delle Scritture che descrive un Papa come Benedetto XVI che può incidere profondamente nei rapporti internazionali con la sua moneta che è la verità. Forzare la verità con la coercizione è antitetico alla ragione. La ragione è per definizione pacifica: “non agire secondo ragione, è contrario alla natura di Dio”. In Benedetto XVI come in Giovanni Paolo II, la ragione e la fede costituiscono non solo il messaggio (pensiamo alla Fides et ratio e alla Veritatis splendor) ma anche il mezzo, la via umana alla verità: il logos e l’amore, il pensiero, la disciplina interiore della verità ragionata.
“Ecco il vostro Dio, la sua vendetta viene…” (Isaia 35,4)
E’ un brano della lettura biblica di quella domenica alla Nue Messe della visita pastorale di Benedetto XVI in Germania e può rappresentare una sfida per la sua Omelia che si chiede in che modo il popolo che ascolta può immaginare quella vendetta di Dio. Il Papa ascolta Dio che parla oggi attraverso quella mediazione profetica e, da cattolico, la interpreta alla luce della tradizione cristiana, come “non violenza” e “amore fino alla fine”: “La spiegazione definitiva della parola del profeta, la troviamo in Colui che è morto per noi sulla Croce: in Gesù, il Figlio di Dio incarnato che qui ci guarda così insistentemente. La sua “vendetta”, la vendetta di Dio è la Croce” cioè il farsi dono lasciandosi uccidere per amore, fonte di immortalità, di risurrezione. Weiler, come ebreo, si ribella nel rendere attuali in questo modo le parole di Isaia, poiché la vendetta è vendetta, anche di Dio. Ma Benedetto XVI continua: “Non veniamo meno al rispetto di altre religioni e culture, non veniamo meno al profondo rispetto per la loro fede, se confessiamo ad alta voce e senza mezzi termini quel Dio che alla violenza ha opposto la sua sofferenza; che di fronte al male e al suo potere innalza, come limite e superamento, la sua misericordia”.
Qui per “altre religioni e culture” si intende non solo l’Islam e il sottinteso di violenza. “Forse - Weiler annota - si fa riferimento in primo luogo all’Ebraismo, al quale il Papa annuncia una comprensione del Dio - Santo Benedetto Egli Sia - che i fedeli ebrei come me hanno sempre rifiutato - a volte sono stati messi al rogo per un simile rifiuto - e un’interpretazione di Isaia che non ci appartiene e non potrà mai appartenerci. E tuttavia, non posso non essere d’accordo con il Papa che le sue affermazioni chiare e senza compromessi non hanno nulla di irrispettoso verso di me, verso i miei antenati, i miei discendenti e verso la nostra fede eterna. Il rispetto non si dimostra né si guadagna con i compromessi sul nucleo essenziale della propria fede. In termini “benedettinamente” schietti: la disonestà non può mai e poi mai essere la base di un vero dialogo. Il suo è certamente il solo modo di esprimere un rispetto profondo per la mia fede. Paradossalmente, o forse no, è proprio questo impegno a esplicitare ed elaborare in modo chiaro e senza compromessi le differenze più basilari - quando le formule diplomatiche sarebbero state molto più politically corret -a rendere così fortemente credibile la rinuncia ragionata -della -ragione alla coercizione in materia di fede. Il fatto di farlo apertamente, in una Omelia pubblica davanti ai fedeli, dà ancora più credibilità. Il suo messaggio ai fedeli in chiesa non è diverso dal suo messaggio urbi et orbi.
In due mila anni - continua Weiler - di densi, complessi ed a volte dolorosi rapporti non è mai esistito una dialogo giudeo - cristiano migliore e più ampio di quello iniziato dal grande Giovanni Paolo II. Una delle ragioni risiede in qualcosa che è stato premesso alla triade indissolubile Ragione- verità - pace. Giovanni Paolo II, nella sua memorabile visita al Muro del Pianto, depositando la sua preghiera di riconciliazione e pace, si fece il segno della croce. Non arrecò nessuna offesa. Non avrebbe potuto essere altrimenti. La stessa mano che ha depositato la preghiera faceva il segno della croce. La sua preghiera per la pace e la riconciliazione si sarebbe rivelata falsa se anche lui si fosse comportato in modo falso. “Preserva (…) le labbra da parole bugiarde e (…) cerca la pace e perseguila”. Le due cose vanno di pari passo. Così intendeva il salmista, così pratica il Papa”.
Il fatto sociale e il Vangelo sono semplicemente inscindibili tra loro
Una parte del messaggio e della missione cristiani riguarda l’attenzione verso i più deboli, i meno fortunati nelle nostre società e nel mondo, gli emarginati e gli “altri”. Ma questo è centrale anche nell’Ebraismo, dove trova espressione nel Pentateuco, nel Libro dei Profeti, nella Legge orale e nelle Mitzvot concernenti l’amore fraterno. Esso riguarda ugualmente l’Islam e fa parte inoltre di molte istanze globali radicate anche nell’etica secolare. Ma anche in questo contesto di valori comuni, il Papa non evita ciò che potrebbe risultare sconcertante o difficile, non evita, sempre nell’Omelia citata, di dire la sua verità e afferma che “il fatto sociale e il Vangelo sono semplicemente inscindibili tra loro”. “L’azione sociale - sempre Weiler -, come espressione di moralità ed etica, è centrale nelle religioni abramitiche, ma non definisce di per sé la sensibilità, lo slancio e il senso della religione. Da una parte, la religione non ha il monopolio sulla morale e sull’etica. Dall’altra, ridurre la religione all’azione sociale è precisamente un riduzionismo depauperante. Le categorie religiose quintessenziali, quelle che nel mondo secolare non hanno equivalenti né corrispondenti, sono la santità e la sacralità. Ridurre la religione all’azione sociale vuol dire diminuire fatalmente il significato di santità e sacralità. Naturalmente la santità e la sacralità non sono disgiunte dall’etica e dalla morale. Ciò che è immorale e illecito è antitetico alla santità e alla sacralità. Ma santità e sacralità denotano qualcosa di più. (…) Se posso umilmente dare un suggerimento,per un credente cattolico l’azione sociale e l’eucaristia sono entrambe indispensabili per la missione della santità. Per il credente ebreo, i comandamenti che si riferiscono ai rapporti tra “uomo e uomo” e quelli che fanno riferimento tra “uomo e il Santo Benedetto Egli Sia” sono indispensabili per la medesima missione.
Spesso i cristiani - Weiler - rimangono perplessi davanti all’attaccamento ebraico al Nomos, la legge, che ad essi appare come il semplice guscio. L’essenziale è quello che c’è dentro: convinzioni morali, amore. Ma per noi la legge non è affatto solo il guscio. La legge significa per noi qualcosa di un po’ simile a quello che l’eucaristia cattolica significa per i cristiani. E’ il nostro modo di sentire, nelle azioni quotidiane, sia rituali che etiche, la presenza reale del Santo Benedetto Egli Sia che non ha comandato semplicemente “amerai il tuo prossimo come te stesso”, ma “amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”. Le parole del Pontefice - il fatto sociale e il Vangelo sono semplicemente inscindibili - contengono anche un’ironia storica importante. All’epoca dei profeti come Amos ed Isaia e quando l’uomo Gesù predicava il suo messaggio, i fedeli dovevano essere esortati a ricordare che la fede e la santità non possono essere raggiunte e non si esauriscono nei riti e nei sacramenti, per quanto importanti questi possano essere. Oggi, i ruoli si sono invertiti ed è necessario ricordare anche ai religiosi che la ricchezza di significato della religione non si esaurisce semplicemente conducendo una vita etica e caritatevole. Questo fa parte della situazione presente che rende i fedeli attuali alquanto confusi riguardo il Vangelo, i sacramenti, gli aspetti di santità della loro religione e della loro fede. Tutto questo appare, ironia della sorte, come “irragionevole”. E si tratta di un fenomeno molto diffuso fra i figli di Abramo, Sara e Agar.
Il fatto - conclude Weiler - che uno dei tre atti della Trilogia di Regensburg si svolga in un contesto cattolico - una celebrazione eucaristica - e che, nel momento di sottolineare l’importanza dell’azione sociale e della solidarietà umana, il Papa insista sul Vangelo all’interno del quale l’azione sociale deve situarsi, non ha quindi solo un significato simbolico”.
Che la religione, la fede venga confinata nella sfera privata è un danno per l’Europa e per il mondo
I Discorsi di Regensburg non riguardano solo le religioni, i fedeli cattolici, ma anche l’ambiente culturale, politico dell’Europa e del mondo. Chi ha stilato la proposta di Costituzione europea ha evitato ogni esplicito riferimento alle radici cristiane dell’identità europea nel Preambolo di questo documento. Questa scelta significa un tradimento dell’impegno solenne per il pluralismo espresso dallo stesso documento, visto che circa metà della popolazione europea appartiene a Stati membri, la cui iconografia costituzionale ha un esplicito riferimento al Cristianesimo. Si tratta di un grande merito costituzionale della tradizione europea documentare come religione e democrazia, religione e libertà, religione e tolleranza possano coesistere costituzionalmente fianco a fianco. E l’Europa vuole imporsi al mondo con l’esempio, non con la forza, proprio per le radici cristiane nel senso che la sua civiltà si propone non come dominio ma in modo secondario cioè come servizio ad ogni essere umano concreto nella libertà, nell’uguaglianza, nella fraternità, come il Da Vittoria nel XV secolo aveva descritto per gli Indios d’America, la prima carta dei diritti umani con cui è iniziata la modernità cristiana. E Benedetto XVI dialoga con alcuni temi sollevati dal Preambolo.
Nel paragrafo II, il Preambolo proposto dalla Convenzione distingue tre eredità europee, quella culturale, quella religiosa e quella umanistica: “Ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, i cui valori, sempre presenti nel suo patrimonio (…)”.
Nel paragrafo I, è interessante notare che la proposta di Preambolo cita i valori che sono alla base dell’umanesimo, in particolare il rispetto per la ragione: “Consapevoli che l’Europa è un continente portatore di civiltà; che i suoi abitanti, giunti in ondate successive fin dagli albori dell’umanità, vi hanno progressivamente sviluppato i valori che sono alla base dell’umanesimo: uguaglianza degli esseri umani, libertà, rispetto della ragione (…)”.
Secondo gli estensori di questa bozza, il “rispetto per la ragione” fa parte della “eredità dell’umanesimo”, ma con un concetto di ragione ridotta oggi all’empiricamente verificabile, falsificabile, affermano che è qualcosa che non si può associare alla religione - e naturalmente “religione” in Europa significa principalmente Cristianesimo o, al limite, tradizione giudaico-cristiana.
Il processo europeo di laicizzazione non si limita semplicemente a posizionare la religione nella sfera privata, dove si dichiara che le Chiese, la religione verrà protetta come parte di un impegno nobile indispensabile a favore della libertà di coscienza. Ma bandisce, per il concetto ridotto di ragione, dalla sfera pubblica ciò che non avrebbe diritto di farne parte, una sfera pubblica votata al rispetto per questo tipo di ragione ridotta. La scelta costituzionale riflette, purtroppo, questa tendenza egemone alla laicizzazione della politica europea. La religione viene definita a priori fuori dell’ambito della ragione, del pensare e quindi fuori del rispetto della ragione, quindi bandita dalla sfera pubblica come disturbo e confinata nella sfera privata, dove le persone credono a un sacco di sciocchezze irragionevoli e irrazionali.
Questo non è accettabile e Benedetto XVI ricorda che le grandi questioni riguardanti la condizione umana - come la sua origine e il suo telos - pur non coglibili empiricamente con il razionalismo scientifico non sono avulsi dal discorso razionale. E anche la religione è sottomessa alla disciplina della ragione perché non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. Questo vale per la stessa fede cristiana.
“Secondo me - sempre Weiler -, anche qui si può andare ancora più in profondità. Le società democratiche, liberali, pluraliste e tolleranti. nelle quali, ad esempio, la libertà di religione (dire no anche a Dio) e libertà dalle religioni sono garantite entrambe - rappresentano un patrimonio la cui vigilanza e protezione non devono essere indebolite. Però nella premessa laica c’è qualcosa che non quadra - qualcosa di totalistico - nel definire una sfera pubblica che non solo viene protetta e garantita dallo Stato, ma che viene indicata come essere lo Stato (ho deliberatamente evitato di usare la parola “totalitario” per non banalizzare la memoria e gli orrori del nazionalsocialismo tedesco e del comunismo sovietico e cinese). La tradizione cristiana di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio è molto interessante in questo contesto per due ragioni. In primo luogo, si tratta concettualmente di un modello non competitivo di rapporto Chiesa - Stato (naturalmente, vi sono stati periodi di storia europea durante i quali la Chiesa ha oltrepassato i limiti. E vi sono stati periodi più recenti della storia europea durante i quali lo Stato ha oltrepassato i limiti con risultati di gran lunga più devastanti). In secondo luogo, è risaputo che le persone e la società umana prosperano là dove non esiste un monopolio su ciò che costituisce la nozione di sfera pubblica. Ciò fa ancora parte della tradizione europea, benché sia sotto minaccia. Tutti noi, cristiani e non cristiani, religiosi e non religiosi, verremo sconfitti qualora l’Europa perdesse alla fine le sue caratteristiche peculiari.
La tradizione cristiana formulata dal Papa - ancora Weler - rappresenta un “avvicinamento interiore” tra “fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco”. “Il Cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’Oriente” ha infine “trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa”. A loro volta, tale avvicinamento e tale impronta decisiva hanno giocato un ruolo determinante nella formazione della civiltà europea. In altre parole, così come l’Europa ha avuto un’influenza decisiva sul Cristianesimo, il Cristianesimo ha avuto un’influenza decisiva sull’Europa, su ciò che appartiene all’Europa.
E’ quindi - Weiler condivide le preoccupazioni di Benedetto XVI -con preoccupazione, addirittura con allarme, che assistiamo alla crisi sociale e demografica del Cristianesimo in generale, e della Chiesa cattolica in particolare, nella maggior parte dei Paesi dell’Europa occidentale. Non siamo preoccupati per il futuro della Chiesa cattolica in quanto tale. Ma la Chiesa rimarrebbe la stessa qualora perdesse le sue radici europee? Se perdesse il suo dialogo con la filosofia greca e i suoi eredi che dura da secoli e da millenni? Non si tratta di fatto irrilevante ai non europei e non cristiani, considerando la centralità del Cristianesimo - una centralità fondamentale - nella civiltà occidentale.
E l’Europa - conclude Weiler - rimarrebbe la stessa qualora perdesse le sue radici cristiane? Un’Europa la cui cultura e la cui politica non sono comprensibili al di fuori di questa dialettica fra filosofia greca (con la progenie nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese) e la sua tradizione cristiana. Anche qui non è irrilevante per i non europei per il medesimo motivo: la centralità dell’Europa nella civiltà occidentale”.
Nessun’altra civiltà storicamente ha avuto, pur con tante incongruenze a livello operativo, questa caratteristica di tensione ideale di secondarietà cioè di servizio ad ogni essere umano concreto nell’orizzonte di uguaglianza, libertà e fraternità e quindi occorre tanta fede, oggi, a non aver paura, come raccomandava Giovanni Paolo II e ripete Benedetto XVI.