Un’avventura affascinante ma con tanti interrogativi
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Il card. Angelo Scola, patriarca di Venezia, in una Intervista su Jesus, luglio 2007, partendo dall’urgenza di una “esperienza cristiana” vissuta tra vari soggetti in una dimensione comunitaria di docenti e studenti, dimensione comunitaria fondamento di un apprendimento critico, sistematico e organico del sapere, ritiene impossibile che non riemerga tra cattolici anche l’interrogativo circa quella visione sistematica e critica dell’esperienza cristiana, che è la teologia della Chiesa al’Università. Emerge quindi l’urgenza di una teologia cattolica che non stia fuori del reale e che non si riduca ad ancella di una scienza umana per avere la dignità e il diritto di cittadinanza in università. E come esempio indica Verona dove “quest’anno prenderà avvio un master frutto della collaborazione tra la nostra facoltà di Teologia (del Triveneto) e la facoltà di Scienze dell’educazione”.
Il Patriarca si muove nella prospettiva indicata da Benedetto XVI nel discorso al IV Convegno Ecclesiale di Verona, il 19 ottobre 2006: “Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. E’ questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi,per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza”.
Ma può, oggi, Verona essere un modello nazionale?
L’Università di Verona è “un microcosmo della società”, una palestra di “laicità”, un ruolo sociale “paradigmatico” di fondamentale importanza a Verona? Un tempo di esperienza privilegiata nella vita di un uomo e di una donna? C’è la tensione per quella “nuova laicità” che rende accettabile e pacifica la convivenza tra soggetti personali e comunitari idealmente differenziati, una realtà plurale e rispettosa che rende possibile ad ognuno valorizzare tutti i soggetti? La filosofia sopravvive unicamente come somma di filosofie cioè ermeneutica delle scienze, filosofia dell’arte, dell’estetica, eccetera senza puntare alle esigenze originarie di una ragione in rapporto alla realtà in tutti fattori cioè chiedendosi che cos’è la verità?
Benedetto XVI per poter “coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme”, richiede “Su queste basi…” Quali? “All’inizio dell’essere cristiano - e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti - non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, “che dà alla vita un orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. La fecondità di questo incontro si manifesta, in maniera peculiare e creativa, anche nell’attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l’impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo - che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico - suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettiva della natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà”. Su questo interrogativo fondamentale di verità ci si dovrebbe confrontare anche con chi rifiuta lo sviluppo verso il Logos creatore, con la tendenza all’irrazionale, al caso e alla necessità, negando che ad esso si debba ricondurre la nostra intelligenza e libertà. Ma sia gli uni e sia gli altri in una vera laicità dovrebbero confrontarsi criticamente in una Università pubblica, a vantaggio di tutti. A Verona c’è questa vera laicità, che Benedetto XVI ricorda nella sua esperienza universitaria con chi affermava che c’erano due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva cioè Dio, che renderebbe veramente possibile una ragione aperta non solo all’empiricamente verificabile, falsificabile, ma anche alle grandi questioni del vero e del bene e quindi a coniugare tra loro la teologia, la filosofia e la scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme? Senza cadere nei tanti lamenti circa la crisi dell’università, di cui da secoli si parla, credo che, oggi, nemmeno la prospettiva sia presente nell’Università di Verona: un compito da portare avanti, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza.
E lo Studio teologico di Verona, facente parte della neonata Facoltà teologica del Triveneto, che punta a un percorso teologico finalmente agganciato alla realtà, ha una teologia adeguata alla crisi profonda in cui il cristianesimo si trova in rapporto alla sua pretesa di verità, in condizioni da poter coniugarsi con la filosofia e le scienze nella facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università?
Nel piano di studi dello Studio teologico si afferma che punto genetico e normativo sarebbe la teologia biblica. Joseph Ratzinger in La mia vita (pp. 92-93) racconta che al Concilio lo schema di Rahner sulla Costituzione sulla parola di Dio non poteva essere accolto, ma anche il testo ufficiale andò incontro alla bocciatura con una esigua differenza di voti. Si dovette quindi procedere al rifacimento del testo. “Dopo complesse discussioni, solo nell’ultima fase dei lavori conciliari si poté arrivare all’approvazione della Costituzione della parola di Dio, uno dei testi di spicco del Concilio, che peraltro non è stato ancora recepito appieno. (…) Il compito di comunicare le reali affermazioni del Concilio alla coscienza ecclesiale e di plasmarla a partire da queste ultime è ancora da realizzare”. E a questo punta il prossimo Sinodo dell’ottobre 2008 su “Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, di cui sono già usciti i Lineamenta, che accennano all’importanza del metodo storico -critico dell’esegesi moderna, ma anche il suo limite. Nella parola passata si può percepire la domanda circa il suo oggi; nella parola dell’uomo risuona qualcosa di più grande; i singoli testi biblici rimandano in qualche modo al processo vitale dell’unica Scrittura, che si attua in essi. “Il numero 12 della Costituzione sulla Divina Rivelazione del Concilio Vaticano II - Gesù di Nazaret (pp. 14-15) - aveva già messo chiaramente in risalto questo aspetto come un principio fondamentale dell’esegesi teologica: chi vuole comprendere la Scrittura nello spirito in cui è stata scritta deve badare all’intero contenuto e all’unità dell’intera Scrittura. Il Concilio aggiunge che si deve tenere in debito conto anche la viva tradizione di tutta la Chiesa e l’analogia della fede (le corrispondenze interiori della fede).
Soffermiamoci dapprima - continua Joseph Ratzinger Benedetto XVI - sull’unità della Scrittura. E’ un dato teologico che non è, tuttavia, attribuito solo dall’esterno a un insieme in sé eterogeneo di scritti. L’esegesi moderna ha mostrato come le parole trasmesse nella Bibbia divengano Scrittura attraverso un processo di sempre nuove riletture: i testi antichi, in una situazione nuova, vengono ripresi, compresi e letti in modo nuovo. Nella rilettura, nella lettura progredente, mediante correzioni, approfondimenti e ampliamenti taciti, la formazione della Scrittura si configura come un processo della parola che a poco a poco dischiude le sue potenzialità interiori, che in qualche modo erano presenti come semi, ma si aprono solo di fronte alla sfida di nuove situazioni, nuove esperienze e nuove sofferenze.
Chi osserva questo processo - certamente non lineare, spesso drammatico e tuttavia in progresso - a partire da Gesù Cristo può riconoscere che nell’insieme c’è una direzione, che l’Antico e il Nuovo Testamento sono intimamente collegati tra di loro. Certo, l’ermeneutica cristologica, che in Gesù Cristo vede la chiave del tutto e, partendo da Lui, apprende a capire la Bibbia come unità, presuppone una scelta di fede e non può derivare dal puro metodo storico. Ma questa scelta di fede ha dalla sua la ragione - una ragione storica - e permette di vedere l’intima unità della Scrittura e di capire così in modo nuovo i singoli tratti di strada, senza togliere la propria originalità storica”. Di fronte a una certa neoscolastica che proponeva un cammino di conoscenza parallelo, non contraddittorio ma autonomo di ragione e fede, qui unitariamente con le due ali di ragione (storia) e fede (rivelazione) lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità. “L’“esegesi canonica” - le lettura dei singoli testi della Bibbia nel quadro della sua interezza - è una dimensione essenziale dell’esegesi che non è in contraddizione con il metodo - storico critico, ma lo sviluppa in maniera organica e lo fa diventare vera e propria teologia”.
Nel piano di studi dello Studio teologico punto genetico e normativo è la teologia biblica. Ma quale?
All’inizio del terzo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa verità.
Questa crisi ha una duplice dimensione:
- la sfiducia riguardo alla possibilità, per l’uomo, di conoscere la verità su Dio e sulle cose divine,
- e i dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche, hanno sviluppato riguardo ai contenuti e alle origini del cristianesimo.
Elementi che rendono ancora inadeguata una teologia in università di fronte agli attuali problemi
1. La deellenizzazione che si diffonde attualmente. “In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture, si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste avrebbero diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione, per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento e inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana e imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco: un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura” (Benedetto XVI all’Università di Regensburg, 12 settembre 2006).
2. Considerare scarsi i dati storici degli evangelisti su Gesù Cristo. Da questa prospettiva, i Vangeli sono studiati esclusivamente come testimonianza di fede in Gesù, che non direbbero nulla o molto poco su Gesù e che necessitano pertanto di essere reinterpretati. Inoltre, questa impostazione prescinde dalla tradizione della Chiesa e la emargina. Questo modo di procedere porta a conseguenze difficilmente compatibili con la fede, quali: 1. Svuotare di contenuto ontologico la filiazione divina di Gesù; 2. Negare che nei Vangeli si affermi la preesistenza del Figlio; 3 Considerare che Gesù non ha vissuto la sua passione e morte come missione redentrice, ma come fallimento. Questi errori sono fonte di grave confusione, perché inducono non pochi cristiani a concludere, equivocando, che gli insegnamenti della Chiesa su Gesù Cristo non si fondano sulla sacra Scrittura oppure che devono essere radicalmente reinterpretati. Affermare che Gesù Cristo è il Verbo di Dio incarnato significa: 1. Che egli è Dio, la verità ultima e definitiva; 2. che egli svela chi è ogni uomo, in quanto ci rivela la relazione necessaria con Dio; 3. che egli è la verità assoluta della storia e della creazione. Per questo, nell’incontro e nella comunione con Cristo, l’essere umano può riconoscere veramente se stesso. Con l’incarnazione non solo non diminuisce la divinità, ma si accresce anche l’umanità, la dignità di ogni essere umano concreto.
3. Si parla di “modelli di Chiesa” che sarebbero presenti nel Nuovo Testamento: di fronte alla Chiesa delle origini, “caratterizzata dal discepolato e dal carisma”, libera da vincoli, sarebbe nata poi la Chiesa “istituzionale e gerarchica”. Il modello di Chiesa “gerarchica, legale, piramidale”, sorto successivamente, sarebbe distante dalle affermazioni neotestamentarie, che pongono l’accento sulla comunità e pluralità dei carismi e ministeri, così come sulla fraternità cristiana, intesa nel suo complesso come sacerdotale e consacrata. Questo modo di presentare la Chiesa non ha fondamento reale nella sacra Scrittura né nella tradizione ecclesiale e deforma gravemente il disegno Dio sul corpo di Cristo che è la Chiesa, portando i fedeli su posizioni di scontro dialettico. In quest’ottica, la ricchezza di carismi e ministeri suscitati dallo Spirito Santo non si considera a favore del bene comune (1 Cor 12,4-12), bensì come espressione di soluzioni umane che rispondono più a lotte di potere che alla volontà positiva del Signore.
4. Normativo è il ministero dell’annuncio del Vescovo della Chiesa particolare, in comunione con tutti i Vescovi e con il Papa, nell’essenzialità della fede completa della Chiesa come il Catechismo la propone, essenzialità normativa anche per chi è abilitato all’insegnamento argomentativo e quindi sempre opinabile della teologia scientifica, che proprio perché scientifica può essere presente in Università. Questa distinzione, non separazione, è assolutamente necessaria a livello pastorale.