Condividi:

Principio unificante, anima della lettura del Gesù di Nazaret

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Chiedo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione»

«Al tempo della mia giovinezza - negli anni Trenta e Quaranta - esisteva una serie di opere entusiasmanti su Gesù. (…). In tutte queste opere l’immagine di Gesù Cristo veniva delineata a partire dai Vangeli: come Egli visse sulla terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stesso tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una cosa sola. (…) A cominciare dagli anni Cinquanta la situazione cambiò. Lo strappo tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede” divenne sempre più ampio; l’uno si allontanò dall’altro a vista d’occhio. Ma che significato può avere la fede in Gesù il Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa? I progressi della ricerca storico - critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne sempre più nebulosa, prese contorni sempre meno definiti. (…) Io spero che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che essa ci ha dato e continua a darci. Ci ha dischiuso una grande quantità di materiali e di conoscenze attraverso le quali la figura di Gesù può divenirci presente con una vivacità e profondità che pochi decenni fa non riuscivamo neppure a immaginare. Io ho solo cercato di applicare i nuovi criteri metodologici che ci consentono una interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che però richiedono la fede, senza con ciò voler e poter per nulla rinunciare alla serietà storica. (…) Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore” (Sal 27,8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione» (Dalla Premessa di Benedetto XVI a Gesù di Nazaret).

José M. Galvàn, docente di teologia morale nella Pontificia Università della S. Croce in Roma,  su Studi Cattolici Luglio/Agosto 2007, offre un tentativo di lettura unitaria di tutte  le diverse anime, pure presenti, cioè di credente, pastore, teologo di Benedetto XVI nella sua opera Gesù di Nazaret.
A prima vista potrebbe sembrare un manuale teologico. C’è una esposizione fenomenologica, narrativa, com’è la tendenza della teologia contemporanea, degli eventi della vita di Gesù, per arrivare a un momento sintetico, in cui la riflessione teologica è riferita agli elementi centrali, senza i quali la comprensione profonda del messaggio non sarebbe possibile (le “Grandi immagini”, i “Momenti importanti”, le “Affermazioni di Gesù stesso”). E non manca l’apparato critico adeguato. Ma pur utile non è questa l’anima dell’opera.
C’è anche il carattere di opera di spiritualità - più propria dell’esperienza di fede e dell’incontro personale con Cristo che della riflessione intellettuale - che è innegabilmente presente in ogni pagina: “Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 27,8).
Presente è anche il respiro esistenziale e pastorale proprio di chi, pur non volendo esercitare il proprio ruolo magisteriale di capo della Chiesa, non può far a meno in ogni gesto della missione, in quanto persona, di puntare a  portare all’incontro con Cristo, cooperando alla grazia divina preveniente e gratuita.
C’è una finalità esterna dovuta all’esperienza personale di credente e di teologo: affrontare l’allontanamento prodottosi tra il Cristo della fede e il Gesù della storia, soprattutto degli ultimi decenni, dal ‘50. Si tratta di affrontare il modo dialettico (o…o) che ha caratterizzato la teologia della seconda metà del secolo XX, anziché quello sintetico dell’e …e… proprio di tutta la tradizione cattolica: cristologia dall’alto o cristologia dal basso, cristologia calcedoniana o non calcedoniana, fede trinitaria o fede cristologia, natura o soprannatura, fede o ragione.  Molte volte questo metodo dialettico ha dato l’impressione di maggiore semplicità ma dissolvendo uno dei componenti. Per esempio gli esponenti della teologia kerigmatica puntano che ogni dichiarazione su Dio debba farsi soltanto nel’àmbito della lode liturgica o con un linguaggio carismatico di fronte alla grandezza di Lui. Così la fede sfugge alla fatica di interpellare l’intelligenza per comprendere in qualche modo quanto si crede. Questa posizione dialettica, però, è sorta storicamente in opposizione a una teologia troppo filosofeggiante, riducendo Dio a un mero oggetto della conoscenza umana, quasi una conclusione logica dell’argomentare: una presenza personale di Dio, infinitamente superiore alle possibilità del concetto e della parola umana, non può mai essere messo “al di fuori dell’uomo”, della sua coscienza personale, per essere contemplato solo come oggetto. Parlare del Tu del Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo, che si dà definitivamente nell’Incarnazione del Figlio, coinvolge sempre in prima persona ogni io umano nel noi di tutti e di tutto.
Tutti questi aspetti riguardano la materialità dell’opera, ma la sua anima unitaria è il messaggio sul rapporto tra storia e rivelazione, tra fede e ragione, anzi l’assoluta priorità, della realtà storica, della fede biblica sulla ragione nel lavoro teologico. Questo non comporta, in alcun modo fideisticamente, subordinazione del criterio originario della ragione cioè l’evidenza  alla fede, ma consapevolezza che la fede, o, per meglio dire, l’attività psicologica del credere, è di per sé una forma di conoscenza. Avere fede è un conoscere fondato sulla base dialogica di un incontro con la Persona viva di Gesù Cristo che interpella l’intelligenza e dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Il credere non è mai un atto solitario ma è sempre un avvenimento interpersonale, per cui una persona acquista una certa conoscenza da un’altra in base a un motivo di fiducia da vivere e verificare nel noi di un vissuto fraterno di comunione. Il credere è conoscenza relazionale; per questo la fede è tanto più profonda quanto più profondo è il legame relazionale, ecclesiale in continuità storica. Perciò, a livello naturale, l’esemplarità più alta della conoscenza di fede è quella che proviene dalla conoscenza dell’amore degli sposi. Ecco perché all’inizio dell’esser cristiani c’è l’incontro con la Persona di Gesù Cristo: incontro qui significa ingresso di Gesù Cristo attraverso la via umana di un volto in vissuti concreti di comunione, un incontro tale da dare un nuovo orizzonte veritativo e con ciò la direzione decisiva non solo come verità ma come valore, tale per cui siamo trasformati da Lui, viviamo in Lui e di Lui nel noi della Chiesa nella continuità della sua Tradizione. La Sacra Scrittura usa tante immagini per descrivere questo incontro: la vita e i tralci ma soprattutto la comunione sponsale. E perché questo incontro possa accadere, Cristo infonde in ogni io ciò che di più intimo, di più proprio c’è in Lui, il suo stesso Spirito.

Conoscenza sapienziale
L’uomo di fede esperimenta una circolarità del conoscere (storia -ragione) e dell’amare (rivelazione -fede) ed è questa l’anima che riconduce ad unità i diversi elementi del Gesù di Nazaret. Anche leggendo l’Introduzione al Cristianesimo, il commento al “Simbolo” che Joseph Ratzinger indirizzò agli universitari di Tubinga nel 1967, ci si trova davanti a un autore, come don Luigi Giussani, che non aveva  la minima intenzione di finalizzare il suo operare teologico all’opera in quanto tale: ma essa era uno strumento verso la fede personale di quegli universitari e, in concreto,  verso quella verità che “vale la pena” per ogni io umano credere. Questo metodo, questa intenzionalità, è cresciuta nel tempo ed è eminentemente presente in Gesù di Nazaret. Anche  Nell’ Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo della Congregazione per la Dottrina della Fede del 24 maggio 1990 leggiamo che ogni uomo “diventa libero quando Dio si dona a lui come Amico, secondo la parola del Signore: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). La liberazione dall’alienazione del peccato e della morte si realizza per l’uomo quando il Cristo, che è la Verità, diventa per lui la “via” (Gv 14,6)” cioè il “valore assoluto”. L’iniziale atteggiamento di Benedetto XVI di apertura totale alla Parola è di filiale abbandono della mente e del cuore a Dio.
“A livello soprannaturale - José Maria Galvàn -, la Rivelazione dell’amore divino giunge al culmine in Gesù di Nazaret: l’Incarnazione è l’atto supremo di amore e di familiare condiscendenza con il quale la Trinità vuole onorare e beatificare la creatura manifestandole la sua Gloria. La Rivelazione trinitaria ci fa esperimentare che non siamo più servi, ma amici (Gv 15,15). Questo impegno volto a sottolineare il rapporto tra mistero di Dio e salvezza dell’uomo comporta il ricorso alle fondamenta stesse del sapere teologico in quanto tale. Infatti, il mistero di Dio nella sua donazione costituisce di per sé la forza centrale che spinge l’intelletto umano - una volta che Dio stesso ha voluto mostrarsi all’uomo nella Rivelazione non solo creaturale ma storico-personale - a ricercare la comprensione sempre più radicale del messaggio che Egli ci ha confidato”. “La teologia - Vocazione ecclesiale del teologo, n.7 -, che obbedisce all’impulso della verità che tende a comunicarsi, nasce anche dall’amore e dal suo dinamismo: nell’atto di fede, l’uomo conosce la bontà di Dio e comincia ad amarlo, ma l’amore desidera conoscere sempre meglio colui che ama”. Chiaro l’influsso di san Bonaventura, come di sant’Agostino.
Una delle linee centrali di rinnovamento del Vaticano II, che Benedetto XVI più intensamente segue, è la consapevolezza (che diventa altresì chiave ermeneutica) di questa condizione teologale di ogni uomo concreto che fa riferimento alla rivelazione di Gesù che incontra risorto: soltanto nel suo Volto è possibile vedere il Padre (Gv 14,9), cui tutti siamo destinati come figli nel Figlio. Detto altrimenti, c’è unità e identica valenza religiosa tra la fede ascendente nel Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo e la fede storica nel suo darsi continuo in Gesù di Nazaret, il Cristo risorto contemporaneo attraverso la Chiesa, attraverso vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata. E’ vero che si dà una priorità temporale della fede cristologia, perché il rivelatore del Padre è Gesù di Nazaret; ma al tempo stesso la fede storica in Gesù di Nazaret è possibile solo nell’incontro con la Persona del Cristo della fede, che Lui, lo Spirito, cioè ciò che di più intimo, di più proprio c’è nel Risorto, la grazia divina preveniente e gratuita, realizza. Questa identità tra fede trinitaria e fede cristologia, un e..e e non un o…o, è l’anima di ogni riga del libro di papa Ratzinger. Punto genetico, normativo, di tutta la vita e la missione della Chiesa, di tutto il suo culmine e la sua fonte cioè la liturgia, della teologia, secondo l’ultima stesura conciliare, la terza, della Dei Verbum, non ancora entrata nella coscienza generale,  e lo si spera con il prossimo Sinodo del 2008, è l’unica fonte della rivelazione cioè il colloquio con Dio attraverso la mediazione della Scrittura e che in continuità è avvenuto in tutta la Tradizione e il cui patrimonio è il Catechismo, colloquio che diventa necessariamente anche e soprattutto preghiera, perché uno studio puramente teorico della Sacra Scrittura è un ascolto solo intellettuale, di ragione storica verificabile e non sarebbe un vero e sufficiente incontro con Dio che parla qui e ora come allora. Se è vero che nella Scrittura e nella Parola di Dio è il Signore Dio vivente, trinitario, che parla con ciascuno di noi, provoca la risposta e la preghiera, poi naturalmente i Sacramenti, l’Eucaristia in particolare.
Chiave di lettura, di simpatia, che non possono mancare, del Gesù di Nazaret è che ogni parola scritta nel libro riflette come segno intellettivo l’essere filialmente davanti al Dio vivente, Padre Figlio, Spirito Santo e il dovere di incontrarlo in Gesù di Nazaret. Non sono ragioni di scuola a spingere l’autore verso un discorso in cui il fatto veramente storico di Gesù e il Cristo della fede della Rivelazione biblica, ieri e oggi, si intrecciano, bensì il bisogno di allentare quella tensione che da decenni impediva la consapevolezza  dell’incontro personale con Cristo, all’inizio dell’essere e della testimonianza cristiana. La dimensione credente e la profondità teologica si uniscono, così come pure la dimensione spirituale, esistenziale e pastorale: meglio di ogni altro, che è stato chiamato ad essere Pastore supremo sente - conclude José M. Galvàn -nel proprio cuore che la risposta e la testimonianza credente non isola, ma riguarda in ogni singolo tutta la comunità ecclesiale, anzi tutta la globalità degli uomini. Cristo cerca, attende ogni uomo concreto in ogni tempo e in ogni luogo: la persona e la missione del Romano Pontefice, come di tutta la Chiesa, fanno parte della struttura di mediazione attraverso cui l’unica fonte, continuamente in atto o Scrittura in atto, della rivelazione cioè Dio, fino al compimento della storia, va in cerca di ognuna delle sue creature amate. La consapevolezza del proprio ruolo, in questa storia di amore, è il principio unificante delle diverse anime del libro di Benedetto XVI.

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"