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La logica del profitto e la logica della condivisione e della solidarietà

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«La vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male. Incisiva e perentoria la conclusione del brano evangelico (di Luca): “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro”. In definitiva, dice Gesù, occorre decidersi: “Non potete servire a Dio e mammona (Lc 16,13). Mammona è un termine di origine fenicia che evoca sicurezza economica e successo negli affari; potremmo dire che nella ricchezza viene indicato l’idolo a cui si sacrifica tutto pur di raggiungere il proprio successo personale. E’ necessaria quindi una decisione fondamentale – la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo del nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà. La logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso un sviluppo equo, per il bene comune di tutti. In fondo si tratta della decisione tra l’egoismo e l’amore, tra la giustizia e la disonestà, in definitiva tra Dio e Satana. Se amare Cristo e i fratelli non va considerato come qualcosa di accessorio e di superficiale, ma piuttosto lo scopo vero e ultimo di tutta la nostra esistenza, occorre saper operare scelte di fondo, essere disposti a radicali rinunce, se necessario sino al martirio. Oggi, come ieri, la vita del cristiano esige il coraggio di andare contro corrente, di amare come Gesù, che è giunto sino al sacrificio di sé sulla croce» [Omelia di Benedetto XVI sul sagrato della Cattedrale di Velletri, 23 settembre 2007].

Diventa sempre più difficile e complessa una riflessione sul tema della ricchezza e della povertà, del rovinoso sfruttamento del pianeta, ormai su scala mondiale, in cui si confrontano due logiche economiche: la logica del profitto e quella della equa distribuzione dei beni, che originariamente non sono in contraddizione l’una con l’altra, purché il loro rapporto sia bene ordinato con regole economiche su scala mondiale. La dottrina sociale cattolica ha sempre sostenuto, anche per il legittimo profitto nella giusta misura necessario allo sviluppo economico, che l’equa distribuzione dei beni è prioritaria per garantirlo. “La moderna economia d’impresa - scrive Giovanni Paolo II nella Centesimus annus - comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri campi” (n.32). Tuttavia, egli aggiunse, il capitalismo non va considerato come l’unico modello valido di organizzazione economica, soprattutto se abbinato ad un liberismo selvaggio. L’emergenza drammatica della fame e quella ecologica stanno a denunciare, con crescente evidenza, che la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra ricchi e poveri e un rovinoso sfruttamento del pianeta. Se poi la logica prevalente del profitto si sviluppa nella forma delle ideologie materialiste anticristiane che ci dicono: è assurdo pensare a Dio come origine e come destinazione eterna; assurdo osservare i comandamenti di Dio; è cosa del tempo passato. Sentirsi amati e amare non ha più senso. Vale soltanto vivere per sé. Prendere in questo breve momento della vita tutto quanto ci è possibile prendere. Vale solo il consumo, l’egoismo, il divertimento. Questa è la vita. Così dobbiamo vivere. La religione, le religioni vanno bandite. E sembra assurdo, impossibile opporsi a questa mentalità dominante che con tutta la sua forza mediatica punta a dissolvere a livello mondiale ogni patrimonio religioso a fondamento etico del vero umanesimo. E inoltre se ci si rifà a esperienze religiose fondamentaliste per avallare che la religione è ormai inutile, dannosa, ci troviamo davanti a una dittatura peggiore di quella da Nerone a Domiziano, peggiore della dittatura del nazismo, di quella di Stalin che penetravano ogni angolo, l’ultimo angolo. E’ vero che anche in tutti questi casi alla fine, l’amore fu più forte dell’odio e dopo la seconda guerra mondiale in occidente prevalse la logica della condivisione e della solidarietà, correggendo la rotta del liberismo selvaggio verso uno sviluppo equo e sostenibile senza cadere nell’illusione ideologica del collettivismo.
Ma oggi urge un nuovo umanesimo. E Benedetto XVI sta percorrendo un duplice percorso: a livello interno della pastorale, più importante e fondamentale, e a livello universitario.
Percorso pastorale
Punta a far cogliere ai cattolici, ad ogni cattolico quello che il cuore di ogni uomo desidera per essere felice anche nelle tribolazioni cioè riconoscere e credere all’amore che Dio ha per noi e incontrando la Persona del Risorto, soprattutto nella celebrazione eucaristica si impara il modo migliore di utilizzare il denaro e le ricchezze materiali per la civiltà dell’amore, e cioè la gioia di condividerle con i poveri procurandosi così la loro amicizia, in vista del Regno dei cieli. Per chi crede il denaro non è “disonesto” in se stesso, ma più di ogni altra cosa può chiudere l’uomo in un cieco egoismo. Si tratta dunque di operare una sorte di “conversione” dei beni economici: nonostante l’attuale dittatura culturale, cercando amici che condividono la stessa fede e la stessa concezione d’uomo, anche pochi di numero, si punta a dare all’esistenza umana un orientamento contro corrente. L’amore è l’essenza del Cristianesimo, che rende ogni credente e la comunità cristiana di appartenenza fermento di speranza e di pace in ogni ambiente, attenti specialmente alle necessità dei poveri e dei bisognosi. L’amore fa vivere la Chiesa, certi che fedeli nel poco si influisce sul molto, su un nuovo umanesimo planetario, come disonesti nel poco si favorisce la disonestà a livello mondiale.

Percorso, dialogo con i docenti universitari
Ha cominciato con i docenti dell’Università di Ratisbona (Regensburg) il 12 settembre 2006 riaffermando che “non agire secondo ragione, non agire con il logos è contrario alla natura di Dio” e che la convinzione che agire contro la ragione, con violenza è in contraddizione con la natura stessa di Dio non appartiene solo al pensiero greco ma è sempre e “per se stessa” valida. Partendo veramente dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco si può affermare ormai fuso con la fede. L’incontro tra la fede biblica e l’interrogarsi filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale - un dato che ci obbliga anche oggi. Questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa dei diritti umani. Di fronte a questa emergenza umanistica mondiale spetta agli uomini che operano nell’Univeristà il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza - è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. E’ a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. E’ il grande compito che oggi il mondo chiede all’università e a tutte le religioni.
A Pavia il 22 aprile 2007 ha richiamato la centralità di ogni persona concreta e la sua dimensione comunitaria per superare la frammentazione specialistica delle discipline e recuperare la dimensione unitaria del sapere. La ricerca scientifica non può non aprirsi alla domanda esistenziale di senso per la vita stessa di ogni persona in modo da concretizzare il saper vivere. Ha riproposto il modello del ricercatore ideale, Agostino, nel quale fede e cultura hanno trovato una compiuta sintesi “animato da instancabile desiderio di trovare la verità, di trovare che cosa è ogni vita, di sapere come vivere, di conoscere l’uomo”, da dove viene e a che cosa è destinato. Questa attenzione ad ogni uomo ha spinto Agostino a cercare Dio, senza il quale non si arriva a comprendere la grandezza di ogni uomo concreto, sempre fine. E questa tensione verso Dio ha dato slancio alla sua “audacia intellettuale”, spingendolo di più a indagare il cuore umano bisognoso di sentirsi amato senza misura, fino al perdono e di amare cioè a trovare l’arte per vivere. Per lui la filosofia era “saper vivere, con tutta la ragione, con tutta la profondità del nostro pensiero, della nostra volontà, e lasciarsi guidare sul cammino della verità, che è un cammino di coraggio, di umiltà, di purificazione permanente”. Un cammino da percorrere con l’aiuto della fede in Cristo, unico a dare senso alla storia, alla logica della condivisione e della solidarietà, così eccezionale fin dalla testimonianza dei primi cristiani. “Il Vescovo di Ippona - ha concluso Benedetto XVI - riuscì a produrre la prima grande sintesi del pensiero filosofico e teologico, nella quale confluivano correnti del pensiero greco e latino. Anche in lui, la grande unità del sapere, che trovava il suo fondamento nel pensiero biblico, venne a essere confermata e sostenuta dalla profondità del pensiero speculativo”.
IL terzo intervento è del 23 giugno all’Incontro europeo dei docenti universitari. Egli ha esortato a un’attenta valutazione della cultura contemporanea del continente dove, nonostante la dittatura imperante, emerge una domanda poiché “l’anelito a un nuovo umanesimo deve tener seriamente conto del fatto che l’Europa affronta oggi un sempre maggior cambiamento culturale”. In questa evoluzione la questione dell’uomo rimane centrale per ogni seria valutazione che non sia soltanto politica e meramente culturale; storicamente l’umanesimo con i diritti umani, con l’equa distribuzione dei beni, si è sviluppato in Europa attraverso un incontro fecondo delle varie culture. Benedetto XVI definisce l’Europa “culla dell’umanità” e la crisi della modernità è identificata con l’errata concezione dell’uomo solo apparentemente al centro della “sua storia”, in realtà sempre più al margine, incapace com’è attualmente, di riconoscersi “nella” storia per aver smarrito - o rifiutato deliberatamente - le ragioni intime del proprio e altrui essere dono del Donatore divino, in una parola la propria identità. Sono gli effetti del relativismo, che può crescere soltanto negando il riferimento al Donatore, Redentore divino del proprio e altrui essere, come di tutto il mondo che ci circonda.
Cosa fare in questo contesto di dittature materialistiche anticristiane e quindi antiumane, con il conseguente criterio del profitto sempre più selvaggio? Occorre il coraggio di annunciare e testimoniare alla cultura contemporanea il “realismo della propria fede nell’opera salvifica di Cristo”, a “Dio che ha un volto umano, rivelato in Gesù Cristo”. E i docenti cattolici, gli studenti credenti della comunità universitaria “sono chiamati a incarnare la virtù della carità intellettuale”, testimoniando concretamente la fecondità storica dell’incontro tra fede e ragione. Il Papa ha aggiunto, pieno di gioiosa e fiduciosa speranza, “anche nell’eternità la nostra ricerca non sarà finita, sarà un’avventura eterna scoprire nuove grandezze, nuove bellezze… e la bellezza dell’eternità è che essa non è una realtà statica, ma un progresso immenso nella immensa bellezza di Dio”.

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