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Non scandalizzare i piccoli

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
E’ dovere dei Pastori preservare la fede del Popolo di Dio, dei piccoli che credono in Cristo

«Il nuovo Vescovo di Costantinopoli suscitò presto opposizioni perché nella sua predicazione preferiva per Maria il titolo di “Madre di Cristo” (Christotòkos), in luogo di quello - già molto caro alla devozione popolare - di “Madre di Dio” (Theotòkos). Motivo di questa scelta del Vescovo Nestorio era la sua adesione alla cristologia di tipo antiocheno che, per salvaguardare l’importanza dell’umanità di Cristo, finiva per affermare la divisione dalla divinità. E così non era più vera l’unione tra Dio e l’uomo in Cristo e, naturalmente, non si poteva più parlare di “Madre di Dio”.
La reazione di Cirillo - allora massimo esponente della cristologia alessandrina, che intendeva invece sottolineare fortemente l’unità della persona di Cristo - fu quasi immediata, e si dispiegò con ogni mezzo già dal 429, rivolgendosi anche con alcune lettere allo stesso Nestorio. Nella seconda (PG 77,44-49) che Cirillo gli indirizzò, nel febbraio 430, leggiamo una chiara affermazione del dovere dei Pastori di preservare la fede del Popolo di Dio. Questo era il suo criterio, valido peraltro anche oggi: la fede del Popolo di Dio è espressione della tradizione, è garanzia della sana dottrina. Così scrive a Nestorio: “Bisogna esporre al popolo l’insegnamento e l’interpretazione della fede nel modo più irreprensibile e ricordare che chi scandalizza anche uno solo dei piccoli che credono in Cristo subirà un castigo intollerabile”» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 3 ottobre 2007].

La fede cristiana, ieri, oggi e sempre, è innanzitutto incontro con Gesù, una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte. San Cirillo di Alessandria, custode della vera fede al Concilio di Efeso del 431 e che preparò con chiarezza la fede cristologica del Concilio di Calcedonia del 451, di Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, è stato un instancabile e fermo testimone, sottolineandone soprattutto l’unità: “Uno solo è il Signore, uno solo il Signore Gesù Cristo, sia prima dell’incarnazione sia dopo l’incarnazione. Infatti non era un figlio il Logos nato da Dio Padre e un altro quello nato dalla santa Vergine; ma crediamo che proprio Colui che è prima dei tempi è nato anche secondo la carne da una donna”. Questa affermazione, al di là del suo significato dottrinale, mostra che la fede in Gesù Logos nato dal Padre è anche ben radicata nella storia, nella Tradizione della Chiesa, garante della continuità con gli Apostoli e con Cristo stesso. Come afferma san Cirillo, mostrando la continuità della propria teologia con la tradizione, questo stesso Gesù è venuto nel tempo con la nascita da Maria, la Theotòkos, e sarà secondo la sua promessa sempre con noi. E questo è importante: Dio è eterno, è nato da una donna e rimane con noi ogni giorno. In questa fiducia viviamo, in questa fiducia troviamo la strada della nostra vita.
Alla Chiesa, ai suoi Pastori, oggi si dice, è stato affidato il ministero pastorale; ad essi spetta di portare l’annuncio ai credenti, non di insegnare ai biblisti, ai teologi. Ma l’annuncio in continuità o Tradizione dell’essenziale della fede è criterio normativo anche per la scienza teologica e non la teologia il criterio dell’annuncio. E siccome all’inizio dell’esser cristiani, all’origine della nostra testimonianza non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo in una percezione semplice, che è fondamentalmente consentita a tutti e che non può mai del tutto essere superata nella riflessione scientifica, il cristianesimo è una religione popolare, senza classi. Gesù ha effettuato l’emancipazione dei semplici, ha rivendicato anche per loro la facoltà di essere, nel vero senso della parola, “filosofi” cioè capaci di cogliere nella via umana del Verbo incarnato la Verità e la Vita. Sono capaci di comprendere ciò che è proprio e peculiare di ogni io umano aperto originariamente alla realtà in tutti i fattori o verità che rende liberi dalla schiavitù dell’ignoranza e questo altrettanto bene quanto lo comprendono i dotti; anzi, meglio dei dotti. Le parole di Gesù sulla stoltezza dei sapienti e sulla sapienza dei piccoli (Mt 11,25 e paralleli) hanno proprio questo scopo. Non a tutti è consentito dedicarsi alla scienza biblica e alla scienza teologica; a tutti, però, è aperta la via alle grandi intuizioni di fondo. E il magistero dei Pastori difende la fede comune di chi crede in Cristo in continuità con gli Apostoli e con Cristo stesso e nell’essenzialità del Catechismo della Chiesa Cattolica e del suo Compendio non vi è differenza di classe tra dotti e semplici. L’affermazione che la Chiesa con il suo ministero pastorale è abilitata all’annuncio e non all’insegnamento della teologia scientifica è certamente corretta. Ma il ministero dell’annuncio si impone anche per la teologia.

E’ dovere dei Pastori preservare la fede del Popolo di Dio, e che non venga scandalizzato anche uno solo dei piccoli che credono in Cristo
Oggi constatiamo con dolore come in alcuni scritti di cristologia non si dimostri la continuità fra la figura storica di Gesù Cristo, la professione di fede ecclesiale e la comunione liturgica e sacramentale nei misteri di Cristo. Si avvertono le seguenti mancanze:
1. una metodologia teologica che pretende di leggere e interpretare la Scrittura a margine della tradizione ecclesiale anziché inserirsi nella tradizione della Chiesa, nella quale riconoscere la garanzia della continuità con gli Apostolo e con Cristo stesso;
2. il sospetto che l’umanità di Gesù Cristo sia minacciata se si afferma la sua divinità;
3. la rottura tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”, come se quest’ultimo fosse il risultato di differenti esperienze della figura di Gesù, dagli apostoli ai nostri giorni;
4. la negazione del carattere reale, storico e trascendente della risurrezione di Cristo, ridotta a una mera esperienza soggettiva degli apostoli;
5. l’oscuramento di nozioni fondamentali della professione di fede nel mistero di Cristo quali, tra le altre, la sua preesistenza, la filiazione divina, la coscienza di sé, della sua morte e della sua missione redentrice, della risurrezione, dell’ascensione e della glorificazione.
La comprensione errata dell’umanità di Cristo procede in parallelo con gli errori sulla Vergine Maria con l’abbandono della dimensione mariana, propria di un’autentica spiritualità cattolica.
Benedetto XVI ha richiamato che tanto la tradizione orientale quanto quella occidentale esprimono la dottrina dell’unica Chiesa di Cristo e Cirillo descrive con chiarezza la sua fede cristologia che nel 451 sarebbe stata approvata dal Concilio di Calcedonia, il quarto ecumenico: “Affermiamo così che sono diverse le nature che si sono unite in vera unità, ma da ambedue è risultato un solo Cristo e Figlio, non perché a causa dell’unità sia stata eliminata la differenza delle nature, ma piuttosto perché divinità e umanità, riunite in unione indicibile e inenarrabile, hanno prodotto per noi il solo Signore e Cristo e Figlio”. E questo è importante: realmente la vera umanità e la vera divinità si uniscono in una sola Persona, il Nostro Signore Gesù Cristo. Perciò, continua il Vescovo di Alessandria, “professeremo un solo Cristo e Signore, non nel senso che adoriamo l’uomo insieme con il Logos, per non insinuare l’idea della separazione col dire ‘insieme’, ma nel senso che adoriamo uno solo e lo stesso, perché non estraneo al Logos, col quale siede accanto a suo Padre, non quasi che gli seggano accanto due figli, bensì uno solo unito con la propria carne”.
E Benedetto XVI ricorda che ad Efeso nel 431 ci fu un grande trionfo della vera devozione a Maria e con l’esilio del Vescovo costantinopolitano che non voleva riconoscere alla Vergine il titolo di “Madre di Dio”, a causa di una cristologia sbagliata, che apportava divisione in Cristo stesso e non era in continuità con la tradizione: Dio è eterno, è nato da una donna e crocefisso risorto rimane con noi ogni giorno. In questa fiducia viviamo, in questa fiducia i piccoli credono in Cristo.

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