Insegnare che Cristo è risorto?
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«Come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est, all’inizio dell’essere cristiano - e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti - non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, ”che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (n. 1). La fecondità di questo incontro si manifesta, in maniera peculiare e creativa, anche nell’attuale contesto umano e culturale…diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene… E’ questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza… La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena: è invece la più grande ”mutazione” mai accaduta, il ”salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazaret, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo: per questo la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio e fino alla fine dei tempi… La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé» [Benedetto XVI, Verona, 19 ottobre 2006].
La vera natura della ragione è l’apertura originaria di ogni io alla religiosità
La religiosità, ravvivata oggi da tante forme popolari mariane, rischia di rimanere un sentimento accanto al reale, accanto a quelle preoccupazioni che stanno a cuore alla gente come la vita affettiva e la famiglia, il lavoro e la festa, l’educazione e la cultura, le condizioni di povertà e di malattia, doveri e responsabilità della vita sociale e politica, se non è illuminata dalla ragione che indaga, per cogliere il senso della realtà, Chi sono? Da dove vengo e dove vado? Perché la presenza del male? Cosa ci sarà dopo questa vita? Sono domande originariamente in noi e che non dipendono da noi e che hanno la loro comune scaturigine nella bisogno di senso che da sempre urge nel cuore di ogni uomo, di ogni io umano aperto originariamente alla realtà in tutti gli ambiti o verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza: dalla risposta a tali domande dipende l’orientamento da imprimere all’esistenza, liberi dalla schiavitù dell’ignoranza di quelle norme prime ed essenziali che regolano la vita morale. Ma se la religiosità vera purifica il vedere puro, la ragione sulle grandi questioni del vero e del bene e ha come perno l’aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene come pure il senso, l’essere dono dell’altro uguale al mio essere dono del Donatore divino, la religiosità non è mai qualcosa di ”accanto” al reale, alla vita, ma è quella conoscenza vera accessibile a tutti che va ”fino in fondo” alla realtà. Noi alimentiamo la religiosità vera non solo con gesti e preghiere religiosi ma da come ci rapportiamo al reale fino a riconoscere nel proprio e altrui essere, come di tutto il mondo che ci circonda, dono di un misterioso Donatore divino che ne è il fondamento. E questo ci fa capire, ricordare e rendere presente l’insistenza di Gesù sul senso religioso vero. A volte anche chi crede, chi è aiutato da espressioni popolari di religiosità sembra bloccato nel tentare e ritentare di ragionare su tutti gli ambiti alla ricerca della verità, di comprendere in qualche modo quanto è giunto a credere, quanto sente per cui i contenuti della fede che interpellano l’intelligenza, le forme mariane di religiosità rischiano di costituire un’imposizione dettata dall’esterno alla coscienza e non l’evidenza della natura umana che la ragione, partecipe della Ragione creativa eterna di Dio, promulga come norma. E se non si giunge a ciò che è accessibile a tutti, credenti e non credenti, diventa impossibile il dialogo con tutti gli uomini di buona volontà e, più in generale, con ciò che può essere condiviso nella società civile e secolare. Per renderci conto che l’incontro con la persona di Gesù Cristo risorto, che suscita la fede in un nuovo orizzonte e con ciò la direzione, il senso decisivo della vita, illuminando la stessa dottrina della legge morale naturale, occorre raccontare e rivivere la fase terrena di Gesù. Non è che Gesù, essendo la Persona divina del Figlio gli è stata risparmiata questa fatica nella sua natura umana. Ha dovuto fare tutto il percorso della vita, crescere in sapienza e grazia, vivere tutte le difficoltà fino alla sofferenza e alla morte e nei giorni drammatici della sua vita terrena si è pure interrogato offrendo preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime a Colui che poteva liberarlo da morte. Pur eternamente figlio come natura divina, tuttavia nella natura umana imparò l’obbedienza dalle cose che patì. Imparò in tutto l’arco della sua fase terrena e reso perfetto attraverso le cose che patì divenne causa di salvezza. Lui è entrato in possesso di tutto ”attraverso”, non ”accanto” alla realtà umana e mondana, soprattutto a quanto ha dovuto sopportare e subire. Perciò l’insistenza di coltivare la ragione, aperta originariamente al senso religioso, è la via umana alla Verità e alla Vita cioè a Dio dal volto umano in Gesù, per cogliere nella nostra vita lo spazio sicuro per l’amore autentico e nel mondo l’opera della sapienza di Dio. E qui si coglie la necessità del connubio che con la ragione ci sia l’apporto conoscitivo della fede attraverso la rivelazione biblica che risponde a quello che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo cioè il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo in tutti e in tutto, si possa giungere alla piena verità su se stessi e gli altri, sul mondo che ci circonda e all’amore che rende felici.
La ”creatura nuova”, ricreata dall’incontro con il Risorto e dal dono del Suo Spirito
”Non è infatti - scrive Paolo ai Galati (6,15) - la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura”. Da una parte l’apostolo parla della novità introdotta dal mistero pasquale: ” Gesù Cristo - Benedetto XVI a Verona - risorge dai morti perché tutto il suo essere è perfetta ed intima unione con Dio, che è l’amore davvero più forte della morte. Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci slava”. E ciò che in anticipo è avvenuto nell’Ultima Cena, continua ad accadere per noi in ogni celebrazione eucaristica. C’è quindi una discontinuità oggettiva tra la vecchia e la nuova creatura, tra l’essere creature e l’inizio dell’esser cristiani nell’avvenimento consapevole o grazia dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo, che dà alla vita naturale un nuovo orizzonte soprannaturale di figli nel Figlio e con ciò la direzione decisiva: richiede una conversione radicale cioè una discontinuità soggettiva.
Ma il permanere del termine creatura nel testo ai Galati dice altrettanto chiaramente che è questa creatura ad essere rinnovata e redenta, non un’altra. E’ l’elemento di continuità fra natura e soprannatura, fra ragione e fede. L’incontro con Cristo, l’”io e non più io” dell’esistenza cristiana fondata oggettivamente sul Battesimo e soggettivamente nell’avvenimento consapevole dell’incontro cioè la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della ”novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo, l’essere chiamati a divenire non solo sempre di più uomini e donne, ma uomini e donne nuovi per poter essere assimilati e testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, concretamente in quella comunità, in quell’ambiente di vissuti fraterni entro il quale viviamo, non produce un’altra creatura, ma una nuova creatura, cioè una novità radicale della stessa creatura, compimento e quindi verità piena dell’uomo creato, pienamente comprensibile solo nel Verbo incarnato, nel connubio di fede e ragione. La testimonianza proveniente dall’incontro con la Persona di Gesù Cristo crocifisso risorto nella reale appartenenza al suo corpo che è la Chiesa, non ci fa vivere ”a lato”, ma dentro la realtà in tutti gli ambiti, nella piena comprensione e quindi tensione etico - morale per giusti comportamenti in ogni ambito o santità dentro la vita affettiva e la famiglia, il lavoro e la festa, l’educazione e la cultura, le condizioni di povertà e di sofferenza, la responsabilità della vita sociale e politica.
Pertanto la ripresa della fede e della speranza a cui i Galati sono richiamati, e attraverso loro anche noi, oggi dopo Verona tutta la Chiesa che è in Italia, punta pastoralmente a riconoscere le due ali di fede e ragione che l’incontro con la Persona del Risorto realizza, la reale appartenenza incondizionata al Suo corpo che è la Chiesa, generando in vissuti fraterni di comunione uomini e donne nuovi, testimoni entusiasti ed entusiasmanti cioè veri catechisti per l’incontro con il Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza nel mondo facendo vivere affetti, lavoro e riposo, sofferenza, impegno sociale e politico in modo radicalmente nuovo, comprensibile e dicibile a tutti.
C’è continuità con l’esperienza umana elementare, originaria, naturale e quindi il contenuto della fede cristiana non costituisce mai un’imposizione dettata dall’esterno, o a latere della coscienza di ogni uomo, ma l’evidenza e il giungere per grazia a quello che ogni cuore attende e con questo la base per entrare in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, e più in generale, con la società civile e secolare. D’altra parte la potenza della croce - risurrezione costituisce una discontinuità con il modo puramente naturale, con la situazione storica, ferita dal peccato fin dalle origini, di vivere tale esperienza umana elementare. Attraverso il consolidarsi, in vissuti fraterni di comunione ecclesiale (quanto provvidenziali sono i movimenti), della libera appartenenza nel Sacramento della Presenza di Cristo e della Sua Parola, l’educazione di fede e ragione con il pensiero di Cristo, l’educazione all’amore gratuito, vivendo tutti gli ambiti della realtà, ogni battezzato può fare ed educare a fare anche attraverso la catechesi l’esperienza liberante e concreta della ”nuova creatura”: uomo tra gli uomini e, nello stesso tempo, per grazia uomo nuovo in Gesù Cristo.
La missione del catechista entusiasta ed entusiasmante
Mi rifaccio liberamente ad un intervento del cardinal Caffarra del 30 settembre 2007. Nell’iniziazione cristiana i catechisti fungono da ”mediatori” dell’incontro soggettivo del bambino, del ragazzo, del giovane, dell’adulto con la Persona di Gesù Cristo. Per questo nessuno ha il diritto nella Chiesa di attribuirsi questo ministero. La mediazione è sempre e solo opera della Chiesa ed è solo in persona Ecclesiae che il catechista può svolgere il suo compito. Normalmente questo accade attraverso il mandato del parroco a nome del vescovo. Il catechista non è mandato ad insegnare, anzi ad educare ad un universo di valori: alla pace, alla solidarietà, alla tolleranza…E’ mandato perché la persona catechizzata incontri la Persona di Gesù Cristo che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva anche per i valori della pace, della solidarietà e della tolleranza.
Icona perfetta è Giovanni Battista. Tutto il suo essere è relativo a Cristo. Il Catechista guida una persona libera ad un incontro che gradualmente diventa capacità di giudizio, criterio di scelta, forma di vita personale e comunitaria e ha un nome: educazione alla fede. Il catechista è un educatore e al senso religioso vero della realtà e a divenire creature nuove.
· Un vero educatore non può non essere un testimone entusiasta ed entusiasmante. A chi istruisce si chiede, certo, competenza e capacità di esprimere ciò che sa: chiarezza della fede completa della Chiesa e capacità didattica. Ma per educare questo non basta: occorre l’autorevolezza del testimone entusiasta della chiarezza e della bellezza della fede cattolica che rende luminosa la vita dell’uomo anche oggi. Ma soprattutto testimone di che cosa? Che la fede completa della Chiesa è vera a motivo del fatto che il catechista ha fatto non solo nel Battesimo e nei Sacramenti l’incontro oggettivo con Cristo ma anche soggettivamente lo ha ”visto” con la conoscenza di fede in vissuti fraterni di comunione ecclesiale: nell’incertezza di questo periodo storico offre la certezza: ”è così (”la vita si è fatta visibile”), perché ho visto, ho constatato (”ciò che abbiamo visto”). E questo non in senso di riuscita morale: il catechista, pur con tutti i suoi limiti, mostra la coerenza del tentare e ritentare con fiducia e speranza anche là dove non riesce. In lui c’è stato veramente l’avvenimento dell’incontro anche soggettivo con la Persona di Gesù Cristo, quindi vive in questo orizzonte e con una direzione decisiva di credente, aderente totalmente alla fede completa della Chiesa.
· La Chiesa, il vissuto fraterno di comunione ecclesiale autorevolmente guidato, media l’incontro con Cristo con ogni persona attraverso tre fondamentali mezzi: Lui che parla attraverso la testimonianza della Scrittura, il Sacramento, la Disciplina di comunione. Lasciarne una delle tre mette a rischio l’incontro con la Persona di Gesù Cristo. L’uso del primo mezzo avviene mediante la predicazione, la catechesi propriamente detta, l’istruzione più accurata: ecco la Parola di Dio. Guai equiparare la Parola di Dio con la sola Scrittura. L’uso del secondo mezzo avviene con la celebrazione dei Misteri, soprattutto dell’Eucaristia domenicale a cui ogni credente è chiamato a partecipare. L’uso del terzo mezzo avviene nell’educazione a continuare nella vita di fede accolta, celebrata, pregata personalmente e in vissuti di comunione. I tre mezzi vanno usati contemporaneamente. Si diventa cristiani imparando, celebrando, vivendo personalmente e comunitariamente, pregando. L’azione del catechista, come quella della Chiesa, è materna: tiene conto della capacità di ogni persona concreta di cui si prende cura. Il Cristianesimo non è una teoria della Verità o una interpretazione etica, morale della vita. Esso è anche questo, porta a questo ma non è il nucleo immediato, essenziale. Essenziale è memorizzare e rendere liturgicamente e quindi nell’assimilazione attuale, vissuta la memoria di Gesù di Nazaret, la Sua opera, i Suoi detti, il Suo destino, la sua personalità storica. Non l’umanità astratta o l’uomo in genere sono importanti, veri, ma questa persona storica in rapporto all’incontro con ogni persona concreta. Essa determina tutto il resto e tanto più profondamente e universalmente quanto più intensa è la relazione con Lui. Quanto è fecondo leggere attentamente, meditare e pregare con calma il libro del Papa Gesù di Nazaret, che mi aiuta a cogliere il volto della persona di Gesù Cristo e a testimoniare la realtà attuale dell’incontro. Ottimo l’aiuto offerto dal Servizio diocesano per la pastorale giovanile di Roma in dodici schede.