Cristo nostro contemporaneo
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Il Cristianesimo, prima di essere una dottrina, è l’incontro continuo con una Persona, con la Persona di Gesù Risorto all’interno della comunità cristiana, dove abitualmente si vivono vissuti fraterni di amicizia e di comunione ecclesiale. Lo ha ribadito mirabilmente Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est e un anno fa a Verona, il 19 ottobre 2006: “All’inizio dell’essere cristiano - e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti - non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, “che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (1). La fecondità di questo incontro si manifesta, in maniera peculiare e creativa, anche nell’attuale contesto umano e culturale”.
Il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, e il prof. Giovanni Reale, attraverso un appassionato scambio di idee hanno pubblicato Il valore dell’uomo. In un capitolo dal titolo “Senza Cristo e senza la croce l’uomo non può spiegare se stesso” affrontano due dei più gravi problemi, la sofferenza e la morte citando - nell’ottica di un non credente - Albert Camus e di un credente Soren Kierkegaard: “Soltanto il sacrificio di un Dio innocente poteva giustificare la lunga e universale tortura dell’innocenza. Soltanto la sofferenza di Dio, e la più pietosa, poteva alleviare l’agonia degli uomini”; “L’unico rapporto etico (cioè serio, solido) che si può avere con la grandezza - così come con Cristo - è la contemporaneità”.
Senza Cristo e senza la croce l’uomo non può spiegare se stesso
La teodicea affronta una domanda fondamentale, una questione decisiva del vissuto umano di fede cioè come si giustifica Dio di fronte al male: perché il male? Prolungando - osserva il Cardinale Scola - la profonda intuizione di Camus, bisogna dire che da Leibniz in avanti è nato l’equivoco perché la soteriologia cristiana o dottrina della salvezza, non è prioritariamente una dottrina. E’ l’incontro con Gesù di Nazareth, vero Dio e vero uomo, morto e risorto cioè presente qui e ora: non soltanto assolutamente innocente, che non solo morì perché volle liberamente, “di sua propria volontà”, per amore, ma è l’unico uomo che poteva non morire essendo Dio con un volto umano, perché tutto il suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è l’amore davvero più forte della morte. E questo rende la sua morte radicalmente diversa da qualsiasi altra esperienza umana di sostituzione vicaria come fu quella di padre Massimiliano Kolbe che si offrì di morire in un campo di concentramento tedesco per salvare un altro prigioniero: Kolbe sceglie liberamente, per amore di morire al posto di un altro anticipando la sua morte, perché comunque sarebbe dovuto morire.
Gesù, assolutamente innocente, una cosa sola con la Vita indistruttibile e quindi l’unico che poteva non morire, prende la croce sulle spalle, si lascia liberamente illividire e uccidere su quel palo ignominioso e muore in nostro favore, al nostro posto. Certo non poteva definitivamente soccombere alla morte: in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore, come in continuità o Tradizione viene attualizzato in ogni celebrazione eucaristica, la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà continuamente vita. La sua risurrezione è stata dunque come una esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé e la Chiesa stessa costituisce la primizia di questa trasformazione, che è opera di Dio e non nostra. In questo senso muore al nostro posto con un amore più forte della morte. “ Alcuni ancora si chiedono - osserva il Cardinale -se sia esatto esprimersi così, da momento che la morte di Gesù non evita a nessun uomo di dover affrontare la morte. Tutta la polemica circa la adeguatezza o meno della tesi della sostituzione vicaria rispetto al principio di solidarietà, che sta ancora travagliando la cristologia oggi in ambito scientifico, non ha ragione di essere. E’ vero: non si può interpretare la sostituzione vicaria operata dalla morte di Gesù come se Egli avesse risparmiato a qualcuno di morire; non è in questo senso che va intesa, perché ognuno di noi dovrà conoscere il passaggio della morte. Tuttavia, si tratta di un’autentica sostituzione vicaria, nel senso che quella unica irripetibile morte cambia veramente di segno alla morte comune a tutti gli uomini:…quella unica irripetibile morte, la morte spontanea dell’Innocente che poteva non morire, quella singolare morte, qualitativamente diversa da ogni altra morte, cambia il mio morire, lo trasfigura fino a rendere beati coloro che muoiono nel Signore”.
In questo senso Gesù prendendo su di sé le nostre colpe muore veramente al posto nostro. La salvezza cristiana è questo evento, è il Crocefisso. Lo constatiamo nell’esperienza di pastori nel quotidiano rapporto con il popolo cristiano. In Italia l’87% delle persone hanno dichiarato di voler essere cattolici. E lo saranno a modo loro - vengono in Chiesa quando vogliono e se vogliono - forse saranno dimentichi del loro battesimo cioè di essere figli nel Figlio di Dio che è Padre, ma in ogni caso non è uguale a zero. Proprio questo popolo, nel sacerdote e nel vescovo cercano soprattutto l’uomo di preghiera quando è nella prova, quando è nel dolore. Tutti i discorsi passano in secondo piano di fronte a questo fatto. “Quando si incontrano, come mi è capitato di recente - conclude il Cardinale questa prima parte che giustifica Dio di fronte al male -, dei giovani sotto l’ombra della morte, non si può dire nessuna parola, si può dire soltanto: “Prendi in mano il crocefisso, guarda il crocefisso. Guarda a questa persona viva che ha vinto la morte per te e ti sta portando nella risurrezione della carne”.
L’unico possibile rapporto etico (cioè serio, solido) con Cristo è la contemporaneità
Mirabile per intensità quel brano del filosofo danese Kierkegaard dell’Esercizio del Cristianesimo: “Sono passati ormai diciotto secoli da quando Gesù Cristo camminava sulla terra. Ma non si tratta di un fatto che gli altri i quali, una volta passati, si dileguano nella storia e a lungo andare cadono nell’oblio…la sua presenza in terra non diventerà mai un evento del passato, qualora si trovi ancora la fede sulla terra (Lc 18,8);…fin quando esiste un credente, bisogna che egli, per essere diventato tale, sia stato e, come credente, sia contemporaneo della sua presenza come i primi contemporanei; questa contemporaneità è la condizione della fede o più esattamente essa è la definizione della fede. Signore Gesù Cristo, fa che a questo modo possiamo diventare tuoi contemporanei così da vederti nella tua vera figura…e non nella forma di un ricordo…”.
Solo se Cristo, morto e risorto, è presente a me oggi, lo incontro consapevolmente e liberamente, può salvare me oggi. E qui la contrapposizione è con Lessing che così argomentava: come farò a scavalcare l’orribile fossato che mi separa per sempre dal Gesù storico, perché lui è vissuto 2000 anni fa e poi è entrato, risorto, nel nuovo eone, nell’al di là. Come faccio io, che vivo in questo secolo, in questo tempo, a seguire Uno così, se mi allontano sempre più da Lui nel tempo? Se Lui è entrato nell’al di là cioè nella nuova e definitiva dimensione, come posso io, che sono ancora nell’al di qua seguirlo, incontrarmi con Lui, familiarizzare con Lui come facevano quelli della sua fase terrena per salvarmi?
Qui siamo al cuore della fede, del “genio” del cattolicesimo. Gesù, il Dio vivente Padre, Figlio, Spirito santo che si è dato a noi definitivamente nell’incarnazione del Figlio per opera dello Spirito Santo, Dio dal volto umano, via alla Verità e alla Vita, che poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte e in concreto nell’Ultima Cena ha anticipato sacramentalmente l’evento della morte e della risurrezione quando ha preso il pane e il vino dicendo e continuando a farlo anche oggi, fino al compimento della storia: “Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue. Fate questo in memoria di me”. Non ha detto: prendete spunto dalla mia morte e dalla mia risurrezione per essere più buoni, più generosi, tutte cose giuste per chi vuole imitarlo, ma consequenziali. Ha detto: “Fate questo, memorizzate questo per rendermi presente in ogni luogo e in ogni tempo come sorgente del mio amore, per esorcizzare il mondo cioè liberarlo dalla paura del demonio”, ponete quindi come culmine e fonte il sacramento come luogo e momento che, realizzando la mia contemporaneità (sarò sempre con voi fino al compimento della storia) a ogni vostro atto di libera accoglienza, costituisce la realtà (il contenuto del sacramento) che è la Chiesa, che è la comunità cristiana, il vissuto fraterno di comunione e di amicizia.
“Certo - osserva pastoralmente, educativamente, il Cardinale - può non sembrare facile a prima vista dire a un giovane che soffre (penso ancora alla mia esperienza), o a un giovane che si interroga e dubita: Guarda che Cristo è hic et nunc (qui e ora) accanto a te”. Ma secondo me c’è una strada per farlo: fare ciò che Gesù ha fatto con i suoi. In fondo, una lettura accurata del Nuovo Testamento come quella che noi oggi siamo in grado di compiere ci dice cose molto semplici”.
E Gesù, quando incomincia la sua missione pubblica, si trasferisce a casa di Pietro e per due anni sostanzialmente si limita al triangolo Cafarnao, Corazin e Betsaida, una unità pastorale o comunità di parrocchie in un triangolo di quattro chilometri di lato; va alla sinagoga il sabato e come ogni ebreo che ne aveva diritto, prende il rotolo della Legge, lo commenta, quindi, con ogni probabilità, come ogni ebreo, nel pomeriggio si reca nella casa di amici e li discorrono delle cose che avevano nel cuore relative alla Torah, ai profeti. Quando poi la folla lo preme, parla in parabole, cioè insegna. Dopo due anni i capi non lo vogliono più in quella zona, in pratica lo costringono all’esilio, e allora il gruppo degli amici comincia vivere con lui a tempo pieno, vanno sull’altra sponda del lago e poi lì Gesù si spinge fino a Tiro e fino a Sidone. Vivono sei mesi di convivenza stretta tra di loro, sino a quando Gesù compie fino in fondo la sua missione, “indurisce il volto” e va a Gerusalemme. Sono gli ultimi sei mesi. Allora che cosa fa Gesù? Diventa amico loro, si coinvolge con loro, li coinvolge nella realtà quotidiana della sua vita. Dapprima essi stanno nei ritmi normali dell’esistenza e poi li chiama a una partecipazione sempre più intensa, e infine li manda (missione, apostoli come Lui apostolo del Padre).
Il Cardinale osserva che avevano capito molto poco; che cosa potevano capire davvero prima che venisse lo Spirito del Risorto? Per il Cardinale momento emblematico è la scena descritta nel Vangelo di Giovanni.
Andrea e Giovanni, che erano discepoli del Battista, lo aiutano a battezzare lungo il Giordano quando arriva Gesù; c’è uno scambio tra Gesù e il Battista, il Battista non lo vuole battezzare, Lui insite perché lo faccia. E il giorno dopo lo vedono passare dall’altra parte del Giordano, un fiumiciattolo da poco, e il Battista dice: Ecco l’Agnello di Dio” E Andrea e Giovanni lasciano il Battista e seguono Gesù, che si volta e chiede: “Che cosa volete?” E loro: “Maestro dove abiti? Vogliamo diventare familiari con te” e Lui risponde: “Venite e vedrete”.
Il Cardinale conclude: questo dice la lettura del Vangelo, e questo bisogna proporre ai giovani: creare luoghi, vissuti fraterni di comunione, in cui la presenza sacramentale della Persona del crocefisso risorto - centrata nella liturgia, nel sacramento, ma che incomincia dal coinvolgimento di tutti gli aspetti della mia vita con la loro vita in nome di Gesù - rende presente Gesù (“Quando due o tre saranno riuniti nel mio nome io sarò in mezzo a loro”; “Io sono con voi fino al compimento della storia”).
Come è facile dimenticare che il Cristianesimo è anche di conseguenza dottrina, Catechismo con il suo Compendio, fede vissuta cioè etica, morale, dottrina sociale, ma prima di tutto e soprattutto è l’incontro con la Persona di Gesù Cristo all’interno della comunità cristiana, nei vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata. Lo ha mirabilmente ribadito un anno fa, il 19 ottobre 2006 a Verona Benedetto XVI e dovremmo esserne continuamente memori: “Come ho scritto nell’Enciclica Deus Caritas est, all’inizio dell’essere cristiano, - e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti - non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”.
Quindi la mia contemporaneità con Cristo, il mio tutto si chiama Chiesa, comunità, vissuto fraterno dove vivo perché questa è la condizione che Gesù stesso ha posto per farsi incontrare dagli uomini di ogni tempo. E il modo migliore per educare i giovani all’incontro con Lui perché esperimentino concretamente la risposta ai loro imprescindibili problemi, è di rendere sempre più viva questa contemporaneità di Gesù, di far sentire che essere cristiani significa vivere familiarmente con Gesù, lasciarsi assimilare a Lui, imitarlo. Allora in Lui ogni giogo diventa dolce e ogni carico leggero, compresa la inevitabilità della morte. Non siamo più schiavi del timore di soffrire, di ammalarci, di incontrare difficoltà, delusioni, di morire (Lettera agli ebrei). Non la sofferenza, la malattia, la morte, ma la mia risurrezione nel mio vero corpo, per sempre, sarà l’ultima parola.