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Benedetto XVI al L’Osservatore Romano

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it

«Cercando e creando occasioni di confronto, “L’Osservatore Romano” potrà servire sempre meglio la Santa Sede, mostrando la fecondità dell’incontro tra fede e ragione, grazie al quale si rende possibile anche una cordiale collaborazione tra credenti e non credenti. Suo compito fondamentale resta ovviamente quello di favorire nelle culture del nostro tempo quella apertura fiduciosa e, nello stesso tempo, profondamente ragionevole al Trascendente su cui in ultima istanza si fonda il rispetto della dignità e dell’autentica libertà di ogni essere umano» [Lettera di Benedetto XVI al direttore de “L’Osservatore Romano” Giovanni Maria Vian, 27 ottobre 2007].

Un tempo favorevole
Come mostrare la fecondità dell’incontro tra fede e ragione rendendo possibile una cordiale collaborazione tra credenti e non credenti? Come favorire nelle culture del nostro tempo quella apertura fiduciosa e, nello stesso tempo, profondamente ragionevole al Trascendente su cui in ultima istanza si fonda il rispetto della dignità e dell’autentica libertà di ogni essere umano?
Presentando a Lugano - Trevano il 24 ottobre 2007 L’avventura educativa nella società in transizione il Cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, ha rilevato che per simili domande questo è un tempo favorevole come risposta a ciò che sta emergendo: Che cosa mi dà, alla fine voglia di vivere? Perché ne vale la pena? Ed io chi sono? C’è qualcuno che mi ama al punto di assicurarmi che questa voglia di vivere non si infrangerà di fronte a nulla, neppure di fronte alla morte?” Domande come queste per tutta la modernità, fino alla metà del secolo scorso, venivano relegate in letteratura o venivano addirittura negate da parte di saperi filosofici come domande non pertinenti, che non dovevano nemmeno essere poste (Comte). Negli ultimi decenni, e con una forte accelerazione dopo il crollo dei muri, tali questioni sono esplose nella vita personale e sociale di noi contemporanei con una forza del tutto inedita, mettendo in moto una ricerca spasmodica di felicità e destando energie di libertà prima impensate. Basti pensare all’ambito delle scienze bio-mediche, economiche, politiche in cui per la prima volta queste domande si sono imposte in maniera diretta ed esplicita, non più mediate dalla filosofia e dalla teologia.
L’uomo post-moderno non intende in alcun modo rinunciare al desiderio in tutta la sua ampiezza (felicità) e all’impiego di tutta la sua libertà per realizzarlo. Le categorie di felicità e libertà hanno soppiantato in classifica quelle moderne di verità e ragione.
Ora - continua il Patriarca -, Gesù a più riprese fa esplicitamente leva proprio sul desiderio di infinito e sulla libertà come sui due fattori chiave per proporre agli uomini il Suo Vangelo: “Se vuoi essere compiuto (Mt 19,21) “Sarete liberi davvero” (Gv 8,36).
Questa straordinaria coincidenza tra annuncio cristiano e anelito dell’uomo di oggi vive però dentro un inedito travaglio. Del tutto estranei ad irenismi ingenui, come cristiani siamo ben consapevoli di quanti sentieri interrotti percorrano il desiderio e la libertà dell’uomo post - moderno. Non c’è aspetto della stessa esperienza elementare dell’uomo, legato al suo essere uno di anima - corpo, di uomo - donna e di individuo - comunità, che non appaia terremotato. Faccio spesso questo esempio: l’uomo post - moderno, cioè noi, è come un pugile che barcolla dopo aver ricevuto un duro colpo.
Non si deve misconoscere che le nuove istanze cui mi sono riferito sono oggi spesso in balia della fragilità, della confusione o della contraddittorietà. Tuttavia non sono più censurate o negate.
Per questo - conclude il Patriarca - a me pare che l’epoca che stiamo vivendo debba essere interpretata più che con la categoria di crisi (che come dice l’etimo della parola si rifà al giudizio e perciò all’ideologia) con quella di travaglio (che descrive uno squilibrio esistenziale). Violente e dolorose sono le contrazioni e le doglie, ma restano attraversate dalla prospettiva gioiosa del parto. Questo mette noi cristiani (soprattutto i giornalisti dell’Osservatore Romano, un giornale difficile, anzi difficilissimo, ma un “grande giornale”) davanti ad una enorme responsabilità”.
“Al servizio di Benedetto XVI - scrive nel suo primo articolo di fondo Giovanni Maria Vian -, pontefice teologo e pastore, il “servo dei servi di Dio” che senza stancarsi, con mitezza fiduciosa e ferma, alle donne e agli uomini del nostro tempo testimonia e ripete con l’apostolo Giovanni che “Dio è amore” e che “all’inizio dell’esser cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona”, come ha sottolineato all’inizio della sua prima enciclica… Seguendo l’esempio di Benedetto XVI e diffondendone gli insegnamenti, il suo giornale vuole rivolgersi con amicizia a tutti, credenti e non credenti, e con tutti confrontarsi con rispetto e chiarezza su temi come la dignità dell’essere umano e la promozione della giustizia. Per rendere sempre più evidente la testimonianza e la verità di Cristo nel mondo moderno. Nella vitalità di una tradizione per sua natura aperta al futuro, e nella certezza che la parola dell’unico Signore, Gesù, seminata nell’intimo delle anime, prevarrà sulle forze del male e resterà per sempre”.

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