La tolleranza non è un modello di buona società
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«Pensando alla schiera innumerevole di santi e di sante che sono nati ed hanno vissuto in questa terra, incoraggio il popolo italiano a seguire sempre i loro esempi conservando i valori evangelici, per tenere alto il profilo morale della convivenza civile» [Benedetto XVI, Saluto rivolto ai pellegrini di lingua italiana all’Angelus del 1 novembre 2007].
«L’Italia di oggi si presenta a noi come un terreno profondamente bisognoso e al contempo molto favorevole per poter essere testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini entro la quale viviamo» [Benedetto XVI, Verona, 19 ottobre 2006].
“La crisi di decadenza spirituale e civile che viviamo qui a Bologna - ha rilevato il cardinale Carlo Caffarra in una intervista al Corriere della sera del 2 novembre indicando concretamente come evangelizzare dopo Verona e la Nota dei Vescovi italiani - diventerà presto una questione nazionale… occorre meditare e pregare per le sorti della città e del paese, strettamente legate”.
Bologna e l’Italia sempre più sporche. E sempre più sporcate. Manca il rispetto per la casa che si abita: tutto è considerato lecito. Ci sono ragazzi in periferia che non sanno che esiste a Bologna san Petronio. “Bologna - rileva e questo vale anche per l’Italia - mi sembra ogni giorno di più una città dalle grandi potenzialità - economiche, culturali, sociali - che però sono bloccate. Ad un livello più profondo, su cui rifletto da tempo, mi pare che Bologna soffra di un grande deficit di speranza. E la speranza è come il coraggio: chi non ce l’ha, non se lo può dare”.
Giacomo Biffi aveva colto nel segno: la tolleranza non è un modello di buona società
Scriveva Péguy che “spera solo colui che ha ricevuto una grande grazia”. Bologna e l’Italia hanno ricevuto una grande grazia: la loro identità cioè la loro grande tradizione cristiana e umanistica. Ma nel presente vivono un’emergenza educativa. Patiscono la corruzione del concetto di tolleranza, perché la tolleranza rinchiude su se stessi coloro che la praticano, vedendo tutti gli altri nemici, in negativo. Non è quindi né a livello ecumenico, né a livello interculturale (nel 2008 in Europa è l’anno dell’intercultura), né a livello politico la categoria migliore per connotare un modello di buona società. Si tollera il male. Ciò che pure è giudicato negativo e non si può eliminare, lo si tollera. Se usata a proposito delle diversità che si incontrano, la tolleranza non aiuta a considerare gli elementi positivi della diversità, ma ciò che c’è di negativo. Spesso la tolleranza è collegata al concetto relativista di indifferenza etica: la convivenza tra le persone è buona, a patto che vi si entri non possedendo alcuna identità, alcuna appartenenza forte. Si può convivere democraticamente solo se si è tolleranti, relativisti, e si è tolleranti, relativisti solo se non si è nessuno, incapaci di verità. Ma con questa idea della convivenza è impossibile educare e si va necessariamente verso una società di soggetti sradicati, in rottura generazionale, spaesati, esiliati dal proprio e altrui essere dono del Donatore divino, e quindi estranei gli uni e gli altri, senza alcuna personalità.
La legalità non crea convivenza, ma ne è una condizione
La legalità è un bene umano fondamentale, e pertanto è parte costitutiva del bene comune cioè del bene di ogni essere dono, di ogni persona e del mondo che ci circonda. Guai però dimenticare che la legalità non crea convivenza. Ne è una condizione, ma non la crea. La convivenza vera, buona, democratica, è creata dalla condivisione dei beni umani ritenuti non democraticamente negoziabili: non si può votare di uccidere una persona innocente: anche giungendo al 99% non è scelta democratica di convivenza vera e buona; per divenire da individui persone, costitutiva è la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione, il credere alla verità con la sola forza della verità, all’amore con la sola forza dell’amore. Scriveva Leopardi nello Zibaldone che non c’è nessuna legge capace di farmi osservare le leggi. Ed è stato proprio questa condivisione a livello pubblico che politicamente, dopo la seconda guerra mondiale, fortemente differenziati in Democrazia Cristiana, socialcomunisti, repubblicani, liberali e altri partiti si è arrivati nella Costituzione alla condivisione di beni umani fondamentali. Ma oggi a livello pubblico c’è ancora questa condivisione, innanzitutto nel rapporto tra generazioni, nel rapporto tra uomo e donna? Che una donna giovane non possa più uscire la sera, il fatto accaduto a Roma, rendono urgente, per chi ha responsabilità pubbliche, un serio esame di coscienza.
I test di cui disponiamo ci confermano ogni giorno che i poveri diventano sempre più poveri. Ogni giorno a Bologna e in tutte le diocesi si allungano le file alle mense delle parrocchie e sono italiani, non solo immigrati del Terzo Mondo. Ogni giorno si allungano le file agli sportelli della Caritas per esibire utenze assolutamente necessarie, acqua, gas, elettricità, che non si riescono più a pagare.
Tradizione, appartenenza ed emergenza educativa
“Le scene di degrado nel centro storico - prosegue il cardinal Caffarra - ci riportano all’emergenza educativa e al grande tema della tradizione e dell’appartenenza. La tradizione non riguarda solo il nostro passato; è una dimensione del presente, dal cui riconoscimento o negazione dipende la consistenza della propria persona, della propria libertà, della propria capacità di rischiare. Ma la tradizione diventa costruttiva se si trasmette, attraverso la narrazione della vita, tra una generazione e l’altra. Quando la narrazione si interrompe, si dilapida la tradizione e si perde l’identità. Credo che non ci sia mai stato un tempo di afasia narrativa come questo. Padri che non hanno più figli, ovviamente non in senso biologico. Figli che non hanno più padri. Se il padre ammutolisce, il figlio non sa più se c’è una risposta alla sua domanda di senso. Questo blocca la storia di un popolo, distrugge il senso di appartenenza, nega la grazia che ti fa sperare”.
All’Università, dentro ogni specializzazione, risuonano le domande di fondo, che non devono essere censurate? I maestri hanno il coraggio di porre le domande ultime, fondamentali, e di verificare la verità delle risposte, tra cui la risposta cristiana? Urge veramente infondere negli allievi la passione della ricerca, la gioia della verità. Il ruolo educativo dell’università è salvaguardato solo se questo accade e quando accade. Se si esce dalla testimonianza, mediante l’atto educativo, della presenza della tradizione, si finisce nel permissivismo o nell’egemonia. Entrambe sono vere devastazioni della persona umana.
La Chiesa italiana, nella persona del cardinal Ruini e dell’attuale presidente, cardinal Bagnasco
Con il primo, e continua con l’attuale Presidente della CEI, a dare una grande “opera di testimonianza educativa del popolo cristiano, cui prestano attenzione anche molte persone non credenti. Se, come io penso, il tema centrale in Occidente è la questione antropologica, guai se la Chiesa non lo affrontasse. E lo deve fare solo in un modo: dire la verità circa l’uomo. Questo la Chiesa non lo può delegare a nessuno, tanto meno a un partito politico piuttosto che a un altro. Questo discorso ha una forte rilevanza civile, quindi anche politica. Perché la questione antropologica, che è già conflitto di antropologie contrarie, oggi attiene ai grandi temi civili, che turbano la coscienza civile del nostro popolo: la bio-politica; il fondamento della nostra democrazia; il rapporto tra etica e religione e tra etica ed economia; la compresenza nella nostra comunità nazionale di culture profondamente diverse dalle nostre”.
La distinzione tra la sfera pubblica e la sfera politica
Questa distinzione che alcuni pensatori, non solo italiani, hanno elaborato è un grande aiuto. La sfera pubblica è lo spazio dove si elaborano e si confrontano tutte le visioni dell’uomo, nessuna esclusa, senza bisogno del permesso di nessuno. La sfera politica è il luogo della deliberazione, della produzione delle leggi, che postula una qualche intesa tra chi la pensa diversamente. Ogni giorno di più, con buona pace dei laicisti inconvertibili, la sfera pubblica non può fare a meno della soluzione religiosa. “Il cardinal Ruini - ha concluso l’Arcivescovo di Bologna -ha il merito storico di aver capito questo. I suoi due grandi lasciti sono il progetto culturale e un popolo cristiano che ha preso coscienza della sua identità. Sono sicuro che il suo successore continuerà su questa stessa linea, e abbia la capacità di farlo”. Lo ha riconosciuto il Papa a Verona: “L’Italia… costituisce un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti, mentre è in atto una grande sforzo di evangelizzazione e catechesi, rivolto in particolare alle nuove generazioni, ma ormai sempre più anche alle famiglie…La testimonianza aperta e coraggiosa che la Chiesa e i cattolici italiani hanno dato e stanno dando sono un prezioso servizio all’Italia, utile e stimolante anche per molte altre Nazioni. Questo impegno e questa testimonianza fanno certamente parte di quel grande “sì” che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio”.