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Sorpresi da Cristo

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo

«L’annuncio e la testimonianza del Vangelo sono il primo servizio che i cristiani possono rendere a ogni persona e all’intero genere umano, chiamati come sono a comunicare a tutti l’amore di Dio, che si è manifestato in pienezza nell’unico Redentore del mondo, Gesù Cristo» [Benedetto XVI, 11 marzo 2006].
L’amore che viene da Dio ci unisce a Lui e «ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15,28)» [Deus Caritas est, n. 18].

La Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, del 3 dicembre 2007, festa di san Francesco Saverio Patrono delle Missioni, affronta un tema centrale della comprensione cattolica e cristiana del credere in Gesù Cristo cioè il tema dell’evangelizzazione. Quest’opera appartiene alla natura più autentica della Chiesa, la sua stessa ragione d’essere e di operare: “tutta la sua vita consiste nel realizzare la traditio Evangelii, l’annuncio e la trasmissione del Vangelo, che è “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1,16) e che in ultima essenza si identifica con Gesù Cristo (1 Cor 1,24). Perciò così intesa, l’evangelizzazione ha come destinataria tutta l’umanità. In ogni caso, evangelizzare significa non soltanto insegnare una dottrina bensì annunciare il Signore Gesù con parole ed azioni, cioè farsi strumento della sua presenza e della sua azione nel mondo.
“Ogni persona ha diritto di udire la “buona novella” di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la propria vocazione” (Redemptoris missio, n. 46). Si tratta di un diritto conferito dal Signore a ogni persona umana, per cui ogni uomo e ogni donna può veramente dire con san Paolo: Gesù Cristo “mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). A questo diritto corrisponde il dovere di evangelizzare: “Non è per me infatti un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai se non predicassi il vangelo” (1 Cor 9,16). Si comprende allora come ogni attività della Chiesa abbia una essenziale dimensione evangelizzante e non debba mai essere separata dall’impegno per aiutare tutti a incontrare Cristo nella fede, che è il primario obiettivo dell’evangelizzazione: “il fatto sociale e il Vangelo sono semplicemente inscindibili tra loro. Dove portiamo agli uomini soltanto conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo troppo poco”(Benedetto XVI, 10 settembre 2006)(Nota…2).

Perché un documento sull’evangelizzazione?
Si verifica oggi, tuttavia, una crescente confusione che induce molti a lasciare inascoltato e inoperante il comando missionario del Signore (Mt 28,19). Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà. Sarebbe lecito solamente esporre le proprie idee e invitare le persone ad agire secondo coscienza, senza favorire una loro conversione a Cristo e alla fede cattolica:si dice che basta costruire comunità capaci di sperare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Inoltre alcuni sostengono che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce, né favorire l’adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile essere salvati anche senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione alla Chiesa” (Nota… 3).
Di fronte a tali problematiche, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto necessario pubblicare Una Nota dottrinale. Essa, presupponendo l’insieme della dottrina cattolica sull’evangelizzazione, ampiamente trattata nel Magistero di Paolo VI soprattutto con l’esortazione post-sinodale Evangelii nuntiandi e di Giovanni Paolo II soprattutto con l’enciclica Redemptoris missio, ha lo scopo di chiarire alcuni aspetti del rapporto tra il mandato missionario del Signore e il rispetto della coscienza e della liberà religiosa di tutti. Si tratta di aspetti che hanno importanti implicazioni antropologiche, ecclesiologiche ed ecumeniche.


Crisi della pretesa di verità del Cristianesimo
E qui emerge il giudizio di Benedetto XVI riguardo al tema sulla “Verità salvifica di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo”. Egli parte dalla convinzione che “al termine del secondo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità” (Fede Verità Tolleranza, p. 170).
Questa crisi ha una duplice dimensione:
- la sfiducia riguardo alla possibilità, per l’uomo di conoscere la verità su Dio e sulle cose divine,
- e i dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche, hanno sollevato riguardo ai contenuti e alle origini del cristianesimo.
La gravità e il carattere radicale di una simile crisi che si riflettono sull’evangelizzazione si comprendono alla luce di quella che è la natura propria del cristianesimo. E’ certamente vero che esser cristiani non è anzitutto “una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con la Persona di Gesù Cristo che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”, ma è altrettanto vero che l’opzione per il logos e non per il mito ha caratterizzato il cristianesimo fin dall’inizio.
Già prima della nascita di Cristo la critica dei miti religiosi compiuta dalla filosofia greca - critica, che può definirsi come l’illuminismo filosofico dell’antichità, ha trovato un corrispettivo nella critica agli dei falsi condotta dai profeti di Israele (in particolare il Deutero -Isaia) in nome del monoteismo jahvistico, e poi l’incontro tra fede giudaica e filosofia greca dell’Antico Testamento dei “Settanta”, che è più di una semplice traduzione, fatta propria dalla Chiesa, ma rappresenta uno specifico importante passo della storia della Rivelazione: “la tradizione, che viene dagli apostoli progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito” (Dei Verbum, n. 8).
Pertanto l’affermazione “In principio era il Logos”, con cui inizia il prologo del Vangelo di Giovanni, costituisce la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta e trovano la loro sintesi. Luca e Giovanni, formano la vera bitonalità nella memoria ispirata dell’incarnazione da cui è costituita la fede che emerge nella celebrazione liturgica nel Natale della Chiesa cattolica. Se non si tiene conto di ciò, si distrugge l’autentico mistero dell’incarnazione e quindi del fatto che Cristo ha affermato di essere, con il darsi definitivo di Dio nell’incarnazione del Figlio, l’avvenimento storico della via umana alla Verità e alla Vita cioè al Dio vivente Padre, Figlio e Spirito Santo e non la consuetudine, come afferma Tertulliano. E Sant’Agostino colloca il cristianesimo nell’ambito della razionalità filosofica e non in quello della “teologia mitica” dei poeti, o della “teologia civile” degli stati e dei politici. Il cristianesimo, fin dalle origini, si qualifica pertanto come “religione vera”, universale, cattolica,a differenza delle religioni pagane, ormai prive di verità, di speranza, agli occhi della stessa razionalità precristiana, e realizza rispetto ad esse una grande opera di “demitizzazione”.
Un cammino di questo genere era iniziato nel giudaismo, ma rimaneva la difficoltà del legame speciale tra l’unico Dio che liberamente ha creato tutti e tutto e il solo popolo giudaico, legame superato dal cristianesimo, nel quale l’unico Dio si rivela come Salvatore, Redentore di tutti e di tutto, senza alcuna discriminazione.
In questo senso, l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco lo rileviamo nella bitonalità di Luca e Giovanni a riguardo dell’incarnazione. Luca, che fa risalire la sua tradizione alle cose sulle quali Maria ha riflettuto e che ha serbato in sé nella contemplazione del mistero di Dio, nel suo racconto ci fa conoscere la partecipazione umana e il fervore materno con cui la madre del Signore ha vissuto gli eventi del concepimento e nascita verginale. Giovanni non prende in considerazione i particolari umani del racconto per far giungere invece lo sguardo fino agli abissi dell’eternità, per farci riconoscere i veri ordini di grandezza dell’evento: la parola si è fatta carne e dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia: ecco nella concretizzazione storica il rapporto intrinseco tra rivelazione e razionalità. E proprio questo è anche uno dei motivi fondamentali della forza di penetrazione del cristianesimo nel mondo ellenistico - romano, come in tutte le successive inculturazioni: una fede vera, cattolica cioè universale, perché amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa a tutti i poveri e i sofferenti.

Conoscenza dalla Filosofia e dalla Rivelazione
C’è un connubio, però, tra conoscenza che viene dalla rivelazione biblica e conoscenza che proviene dalla razionalità greca e ciò a riguardo del tema centrale della religione, cioè Dio. Dal racconto del roveto ardente di Esodo 3 fino alla formula “Io sono” che Gesù applica a se stesso nel Vangelo di Giovanni vediamo che l’Unico Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento è l’Essere che esiste da se stesso e in eterno, tutto in atto fondamento dell’atto d’essere di ogni ente che viene all’esistenza. Ma la conoscenza di Dio della Rivelazione supera radicalmente ciò che i filosofi erano arrivati ad argomentare di Lui. In primo luogo, infatti, Dio è nettamente distinto dalla natura, dal mondo che Egli ha liberamente creato: solo così la “fisica” e la “metafisica” giungono a una chiara distinzione e rapporto l’una dall’altra. E soprattutto questo Dio non è una realtà a noi inaccessibile, che noi non possiamo incontrare e a cui sarebbe inutile rivolgersi nella preghiera, come affermavano i filosofi. Al contrario, il Dio biblico ama ogni uomo, ogni io umano nel suo intendere e volere libero e per questo entra nella nostra storia, dà vita ad una autentica storia di amore con Israele, suo popolo, e poi, in Gesù Cristo, non solo dilata questa storia di amore e di salvezza all’intera umanità e a ciascuna persona ma la conduce all’estremo rispetto del rischio della libertà, al punto di “rivolgersi contro se stesso”, nella croce del proprio Figlio, per rialzare ogni uomo proponendosi alla sua libertà e salvarlo, chiamandolo a quella unione di amore con Lui che culmina in continuità nell’Eucaristia, nella sua presenza eucaristica. In questo modo il Dio che è l’Essere e il Verbo è anche identicamente Logos, Ragione creativa e redentiva e Agape, modo divino di amare e di consentire liberamente di essere amato.

L’attualità delle verità dogmatiche dei Concili
Per questo i Concili della Chiesa delle origini si sono sforzati di esprimere con le parole questa cosa grande, universale, cattolica, inattesa e sempre inconcepibile e indicibile: nel tempo il figlio eterno di Dio è diventato figlio di Maria. Colui che è generato dal Padre nell’eternità, Ragione per cui tutto è stato creato e redento, è diventato uomo nella storia grazie a Maria. Il vero figlio di Dio è figlio vero dell’uomo per farci diventare, qual’era l’intenzione di Dio fin dalla creazione, figli nel Figlio.
Oggi, nella sensibilità generale anche catechistica, questi dogmi sembrano non contare più molto. Sembrano troppo grandi e troppo remoti per poter influenzare la nostra vita, pur celebrati nella liturgia natalizia. E ignorarli nella catechesi o non prenderli troppo in considerazione, facendo del figlio di Dio più o meno uno dei tanti rappresentanti o fondatori di religioni e movimenti storici, sembra essere quasi una specie di “trasgressione perdonabile” per i cristiani. Si adduce il pretesto che tutti questi concetti sono talmente lontani da noi, talmente difficili che non riusciremmo mai a tradurli in parole in modo convincente e infine neppure a comprenderli. “Inoltre - Joseph Ratzinger Papa Benedetto XVI, Sul Natale, pp. 53-55 -ci siamo fatti un’idea tale della tolleranza e del pluralismo, che credere che la verità si sia effettivamente manifestata sembra essere nientemeno che una violazione della tolleranza. Però, se pensiamo in questo modo, cancelliamo la verità, facciamo dell’uomo un essere a cui è definitivamente precluso il vero e costringiamo noi stessi e il mondo ad aderire a un vuoto relativismo. Non riconosciamo quello che di salvifico c’è nel Natale, che esso cioè dà la luce, che si è manifestata e che si è rivelata a noi la via, che è veramente via perché è la verità. Se non riconosciamo che Dio si è fatto uomo non possiamo veramente festeggiare e custodire nel nostro cuore il Natale, con la sua gioia grande che s’irradia oltre noi stessi. Se questo fatto viene ignorato, molte cose possono funzionare anche a lungo, ma in realtà la Chiesa comincia a spegnersi, a partire dal suo cuore. E finirà per essere disprezzata e calpestata dagli uomini, proprio nel momento in cui crederà di essere diventata per essi accettabile. La parola si è fatta carne. Accanto a questa verità presentataci da Giovanni, deve esserci anche la verità di Maria, che ci è stata rivelata da Luca. Dio si è fatto carne. Questo non è soltanto un evento incommensurabilmente grande e lontano da noi, è qualcosa di molto umano e a noi molto vicino: Dio si è fatto bambino, un bambino che ha bisogno di una madre. E’ diventato un bambino, una creatura che entra nel mondo piangendo, la cui prima voce è uno strillo che chiede aiuto, il cui primo gesto è rappresentato dalle mani tese in cerca di sicurezza. Dio è diventato un bambino. D’altra parte sentiamo anche dire che queste cose non sono che sentimentalismo, che sarebbe meglio lasciare da parte. Ma il Nuovo Testamento ha altre idee al riguardo. Per la fede della Bibbia e della Chiesa cattolica è importante che Dio abbia voluto essere una simile creatura, dipendente dalla madre, dipendente dall’amore soccorrevole dell’uomo. Dio ha voluto essere una creatura che dipende dagli uomini, per suscitare in noi l’amore che ci purifica e ci salva. Dio è diventato un bambino, e il bambino è una creatura che dipende dagli altri. Così nell’essere bambino c’è già il tema della ricerca di asilo, un tema fondamentale per il natale. E quante variazioni ha visto questo tema (questa evangelizzazione) nella storia! Oggi ne sperimentiamo una molto angosciosa: il bambino bussa alle porte del nostro mondo. A ragione deploriamo di continuo il fatto che l’ambiente in cui viviamo sia diventato ostile ai bambini, che rifiuti al bambino lo spazio interiore ed esteriore in cui questi potrebbe realizzare la propria esistenza nella liberà e nella gioia”.

La verità dell’evangelizzazione non si impone che in forza della stessa verità
La verità dell’evangelizzazione si narra perché è una storia di salvezza e non si impone che in forza della stessa verità. “Perciò sollecitare l’intelligenza (la ragione) e la liberà di una persona all’incontro con Cristo e con il suo Vangelo non è una indebita intromissione nei suoi confronti, bensì una legittima offerta ed un servizio che può rendere più fecondi i rapporti tra gli uomini” (Nota…n.5). “Sebbene i non cristiani possano salvarsi mediante la grazia che Dio dona attraverso “vie a Lui note” (Ad gentes n. 7), la Chiesa non può non tener conto del fatto che ad essi manca un grandissimo bene in questo mondo: conoscere il vero volto di Dio e l’amicizia con Gesù Cristo, il Dio- con- noi. Infatti “non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui” (Benedetto XVI, Omelia, 24 aprile 2005). Per ogni uomo è un grande bene la rivelazione delle verità fondamentali su Dio, su se stesso e sul mondo: mentre vivere nell’oscurità, senza la verità circa le ultime questioni, è un male, spesso all’origine di sofferenze e di schiavitù talvolta drammatiche. Ecco perché san Paolo non esita a descrivere la conversione alla fede cristiana come una liberazione “dal regno delle tenebre” ed un ingresso “nel regno del Figlio prediletto, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati” (Col 1,13-14). Perciò la piena adesione a Cristo, che è la Verità, e l’ingresso nella sua Chiesa non diminuiscono ma esaltano la libertà umana e la protendono verso il suo compimento, in un amore gratuito e colmo di premura per il bene di tutti gli uomini. E’ un dono inestimabile vivere nell’abbraccio universale degli amici di Dio, che scaturisce dalla comunione con la carne vivificante del Figlio Suo, ricevere da Lui la certezza del perdono dei peccati e vivere nella carità che nasce dalla fede. Di questi beni la Chiesa vuole fare partecipi tutti, affinché abbiano così la pienezza della verità e dei mezzi di salvezza, “ per entrare nella liberà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21) (Nota… n.7).

Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizza
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