«Non l'hanno accolto...»
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«In qualche modo l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto per Lui. E’ tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio e di tutto il tempo in modi così esigenti per le proprie cose, che non rimane nulla per l’altro - per il prossimo, per il povero, per Dio. E quanto più gli uomini diventano ricchi, tanto più riempiono tutto di se stessi. Tanto meno può entrare l’altro.
Giovanni, nel suo Vangelo, puntando all’essenziale ha approfondito la breve notizia di san Luca sulla situazione di Betlemme: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (1,1). Ciò riguarda innanzitutto Betlemme: il Figlio di Davide viene nella sua città, ma deve nascere in una stalla, perché nell’albergo non c’è posto per Lui. Riguarda poi Israele: l’inviato viene dai suoi, ma non si vuole. Riguarda l’intera umanità: Colui per il quale è stato fatto il mondo, il primordiale Verbo creatore entra nel mondo, ma non viene ascoltato, non viene accolto.
Queste parole riguardano in definitiva noi, ogni singolo e la società nel suo insieme. Abbiamo tempo per il prossimo che ha bisogno della nostra, della mia parola, del mio affetto? Per il sofferente che ha bisogno di aiuto? Per il profugo o il rifugiato che cerca asilo? Abbiamo tempo e spazio per Dio? Può Egli entrare nella nostra vita? Trova uno spazio in noi, o abbiamo occupato tutti gli spazi del nostro pensiero, del nostro agire, della nostra vita per noi stessi?
Grazie a Dio, la notizia negativa non è l’unica, né l’ultima che troviamo nel Vangelo. Come in Luca incontriamo l’amore della madre Maria e la fedeltà di san Giuseppe, la vigilanza dei pastori e la loro grande gioia, come in Matteo incontriamo la visita dei sapienti Magi, venuti da lontano, così anche Giovanni ci dice “A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Esistono quelli che lo accolgono e così, a cominciare dalla stalla, dall’esterno, cresce silenziosamente la nuova casa, la nuova città, il nuovo mondo. Il messaggio del Natale ci fa conoscere il buio di un mondo chiuso, e con ciò illustra senz’altro una realtà che vediamo quotidianamente. Ma esso ci dice anche, che Dio non si lascia chiudere fuori. Egli trova uno spazio, entrando magari per la stalla; esistono degli uomini che vedono la sua luce e la trasmettono. Mediante la parola del Vangelo, l’Angelo parla anche a noi, e nella sacra Liturgia la luce del Redentore entra nella nostra vita. Se siamo pastori o sapienti - la luce e il suo messaggio ci chiamano a metterci in cammino, ad uscire dalla chiusura dei nostri desideri ed interessi per andare incontro al Signore ed adorarlo. Lo adoriamo aprendo il mondo alla verità, al bene, a Cristo, al servizio di quanti sono emarginati e nei quali Egli ci attende» [Omelia di Benedetto XVI, 25 dicembre 2007].
Gesù, concepito verginalmente a Nazareth, è partorito verginalmente a Betlemme, in una stalla, deposto in una mangiatoia tra Maria e Giuseppe, con i simboli del Bue, Antico Testamento e dell’Asinello, Nuovo Testamento, con la venuta dei pastori, dei magi. Ma, quasi a spiegare l’icona del presepio di quest’anno in piazza san Pietro, che si rifà ad alcune rappresentazioni natalizie del Medio Evo e dell’inizio del Tempo Moderno, la stalla appare come in un palazzo un po’ fatiscente. Se ne può ancora riconoscere la grandezza di una volta, ma ora è andato in rovina, le mura sono diroccate - è diventato, appunto, una stalla. “Pur non avendo nessuna base storica - osserva il Papa -, questa interpretazione, nel suo modo metaforico, esprime tuttavia qualcosa della realtà in tutti i fattori o verità che si nasconde nel mistero del Natale. Il trono di Davide, al quale era promessa una durata eterna, è vuoto. Altri dominano sulla Terra santa. Giuseppe, il discendente di Davide, è un semplice artigiano; il palazzo, di fatto, è diventato una capanna. Davide stesso aveva cominciato da pastore. Quando Samuele lo cercò per l’unzione, sembrava impossibile e contraddittorio che un simile pastore - ragazzino potesse diventare il portatore della promessa di Israele in un regno che non avrà mai fine. Nella stalla di Betlemme, proprio lì dove era stato il punto di partenza, ricomincia la regalità davidica in modo nuovo - in quel bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Il nuovo trono dal quale Davide attirerà il mondo a sé è la Croce. Il nuovo trono - la Croce - corrisponde al nuovo inizio nella stalla. Ma proprio così viene costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità. Questo nuovo palazzo è così diverso da come gli uomini immaginano un palazzo e il potere regale. Esso è la comunità concreta di quanti si lasciano attrarre dall’amore di Cristo e con Lui diventano un corpo solo, un’umanità nuova. Il potere che proviene dalla Croce, il potere della bontà che si dona - è questa la vera regalità. La stalla diviene palazzo - proprio a partire da questo inizio, Gesù edifica la grande nuova comunità, la cui parola - chiave cantano gli angeli nell’ora della sua nascita: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” - uomini che depongono la loro volontà nella sua, diventando così uomini di Dio, uomini nuovi, mondo nuovo”.
Così, come il presepio di quest’anno in san Pietro punta a mostrarlo, Benedetto XVI considera la liturgia del Natale della Chiesa, legge del celebrare, quindi del credere, del vivere, del pregare, sia di come è avvenuto storicamente sia del senso, del logos di quello che è avvenuto. La liturgia del Natale della Chiesa ci appare come un tessuto prezioso composto di molteplici fili: i fili dell’Antico Testamento, principalmente dei Salmi e dei profeti, quelli delle Lettere di san Paolo e infine le diverse tonalità di tre evangelisti, Matteo, Luca e Giovanni. Due di essi, però, Luca-Matteo e Giovanni - Paolo, formano la vera bitonalità natalizia da cui è costituita la fede e la celebrazione del Natale della Chiesa. Se non si tiene conto di ciò, si distrugge l’autentico mistero del Natale.
Bitonalità natalizia: Luca - Matteo e Giovanni - Paolo
Luca, che fa risalire il suo Vangelo alla tradizione delle cose sulle quali Maria, con la comunità ebraico ed ellenico cristiana, ha riflettuto e che ha serbato in sé nella contemplazione del mistero di Dio, nel suo racconto ci fa conoscere la partecipazione umana e il fervore materno con cui la madre del Signore, con Giuseppe, i pastori, i re magi, hanno vissuto storicamente gli eventi reali della Notte Santa del parto verginale.
Giovanni, non prende in considerazione i particolari umani del racconto storico, che presuppone, per far giungere invece, con Paolo, lo sguardo fino agli abissi dell’eternità, per farci riconoscere i veri ordini di grandezza dell’evento: la Parola o Persona, Figlio eterno del Padre nello Spirito Santo, che si è fatta sentire in molti modi prima dell’incarnazione, in questi giorni si è fatta carne e dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e riceviamo. Per questo i Concili della Chiesa delle origini, i cui contenuti fan parte integrante della Liturgia e oggi del Catechismo della Chiesa cattolica e del suo Compendio, si sono sforzati di esprimere con le parole questa cosa grande, inattesa e sempre inconcepibile e indicibile dell’annuncio biblico: nel tempo, due mila anni fa, e nell’oggi della Chiesa, il Figlio eterno di Dio è diventato anche figlio di Maria. Colui che è generato dal Padre nello Spirito Santo dall’eternità è diventato, sempre per opera dello Spirito Santo, uomo unito in qualche modo ad ogni uomo, pienamente nei battezzati come figli nel Figlio, via umana al Dio vivente nella storia grazie a Maria. Il vero figlio di Dio è figlio vero dell’uomo. E “come la natura assunta serve al verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del Corpo” (LG 8,1).
Oggi, purtroppo nella cristianità questa tonalità natalizia di Giovanni - Paolo non sembra contare molto anche nelle icone dei presepi. Sembrano concetti troppo grandi e troppo remoti per poter influenzare la nostra vita, per cogliere e accogliere il modo divino di amare o carità Ma ignorarli nella catechesi e non prenderli troppo in considerazione nella liturgia, facendo del figlio di Dio più o meno il suo rappresentante moralisticamente da imitare nella povertà e nella semplicità, sembra essere quasi una specie di “trasgressione perdonabile” per i cristiani. Si adduce il pretesto, nella metodologia catechistica molto lontana dal tessuto prezioso composto di molteplici fili della liturgia della Chiesa, che tutti questi concetti siano talmente lontani da noi che non riusciremmo mai a tradurli in parole e in icone da presepio in modo convincente e in fondo neppure a comprenderli. Basta leggere i giornali sul presepio di quest’anno in piazza san Pietro. Inoltre ci siamo fatti un’idea tale della tolleranza di altre religioni create dall’uomo, quindi tutte relative e del pluralismo conseguente, che credere che l’unica verità cioè il Dio vivente, Padre, Figlio, Spirito Santo, nell’incarnazione del Figlio, si sia effettivamente manifestata e da annunciare alla libera coscienza sembra essere nientemeno che una violazione della tolleranza ormai fissata nel solo relativismo. Però, se pensiamo e facciamo pensare in questo modo, cancelliamo la verità salvifica di Gesù Cristo di fronte alla ragione del nostro tempo, condizionati dalla sfiducia circa la possibilità per l’uomo, di conoscere la verità su Dio e sulle cose divine e facciamo propri i dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche, sollevano continuamente riguardo ai contenuti dei Vangeli soprattutto dell’infanzia e quindi alle origini divino- umane del cristianesimo. Non riconosciamo quello che di rivelato, di salvifico c’è nella celebrazione del Natale, che esso cioè dà la luce, che è veramente via umana, sacramentale alla verità del Dio vivente. Se non riconosciamo che Dio si è fatto uomo, che Maria ha concepito e partorito verginalmente come segno della Nuova e definitiva Alleanza, non possiamo veramente festeggiare nella liturgia e custodire catecheticamente nel nostro cuore il Natale, con la sua gioia grande che si irradia oltre noi stessi. “ Se questo fatto - Joseph Ratzinger Bendetto XVI, Sul Natale, p. 53 - viene ignorato, molte cose possono funzionare anche a lungo, ma in realtà la Chiesa comincia a spegnersi, a partire dal suo cuore. E finirà per essere disprezzata e calpestata dagli uomini, proprio nel momento in cui crederà di essere diventata per essi accettabile”.
La Parola, la Persona eterna come il Padre e lo Spirito Santo, il Verbo, la Ragione per cui tutto è stato creato e redento, si è fatta carne. Certo accanto a questa verità, presentataci da Giovanni e Paolo, deve però esserci anche il fatto storico, la verità di Maria e di Giuseppe, che ci è rivelata da Luca - Matteo. Dio si è fatto carne, prossimo, vicino. Questo non è soltanto un evento incommensurabilmente grande e lontano da noi e che si fa presente nell’oggi liturgico di Lui risorto nella Chiesa per tutti e per tutto, è qualcosa di molto umano e a noi molto vicino attraverso il volto fraterno dei suoi amici: Dio si è fatto bambino, un bambino che ha bisogno di una madre. E’ diventato un bambino, una creatura che entra nel mondo piangendo, la cui prima voce è uno strillo che chiede aiuto, il cui primo gesto è rappresentato dalle mani tese in cerca di sicurezza. Dio è diventato bambino. Per la fede della Bibbia e della Chiesa è importante che Dio abbia voluto essere una simile creatura, dipendente dalla madre, dipendente dall’amore soccorrevole dell’uomo. Dio, nel suo modo divino di amare, ha voluto essere una creatura che dipende dagli uomini, per suscitare in loro il suo stesso modo divino di amare o carità. Dio è diventato bambino, oggi sacramento ministeriale, particola, volto umano, una creatura che dipende dagli altri. Così nell’essere diventato verginalmente bambino nel grembo di Maria e nel continuare nel suo corpo che è la Chiesa c’è il tema della ricerca di asilo, un tema fondamentale del credere, celebrare, vivere e pregare il Natale. E quante variazioni ha visto questo tema nella storia e nell’icona dei presepi! Nella Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione si dice che “la Verità che salva la vita - che si è fatta e si fa carne in Gesù - accende il cuore di chi la riceve con un amore verso il prossimo che muove la libertà a ridonare ciò che si è gratuitamente ricevuto” (ibid.). Essere raggiunti dalla presenza di Dio, che si fa vicino a noi nel Natale, è un dono inestimabile. Dono capace di farci “vivere nell’abbraccio universale degli amici di Dio” (ibid.), in quella “rete di amicizia con Cristo, che collega cielo e terra” (ibid.,9), che protende la libertà umana verso il suo compimento e che, se vissuta nella sua verità, fiorisce “in un amore gratuito e colmo di premura per il bene di tutti gli uomini” (Ibid., 7). Nulla è più bello, urgente e importante che ridonare gratuitamente agli uomini quanto gratuitamente abbiamo ricevuto e riceviamo da Dio! Nulla ci può esimere o sollevare da questo oneroso ed affascinante impegno per crescere e rafforzare la nostra fede e quindi la nostra speranza. La gioia del Natale mentre ci colma di speranza, ci spinge al tempo stesso ad annunciare a tutti la continua presenza di Dio in mezzo a noi. Possiamo essere sempre tentati di chiederci perché Dio non abbia creato un mondo in cui la sua presenza non fosse più manifesta; perché la Persona del Risorto non abbia lasciato dietro di sé un ben altro splendore della sua presenza sacramentale nella liturgia e nel volto dei suoi, che colpisse chiunque in modo irresistibile. Questo è un mistero che non possiamo completamente penetrare, ma coglierne, una volta rivelato, le ragioni. Dio non può avere l’evidenza di una cosa che si possa toccare con mano, empiricamente verificare con la sola ragione strumentale, ma può essere cercato e trovato in ogni esperienza di amore, perché dovunque c’è un modo divino di amare nella verità e nella libertà c’è Lui, che è amore, anzi l’Amore. Come Maria stringendolo bambino, toccava con mano Dio, così Madre Teresa, stringendo un vecchio morente sentiva e sapeva di stringere Lui.
“Modello impareggiabile di evangelizzazione - Benedetto XVI all’Angelus del 23 dicembre 2007 - è la vergine Maria, che ha comunicato al mondo non un’idea, ma Gesù, Verbo incarnato (il Verbo non si è fatto semplicemente parola e quindi libro ma carne e, risorto, suo popolo. Egli non si rivela a noi, non ci viene incontro solo attraverso una illuminazione interiore occasionata dalla predicazione di un messaggio: si rivela a noi, ci viene incontro attraverso mediazioni “materiali” come i segni sacramentali, attraverso volti umani molto “carnali” che possono colpirci per la bellezza, emozionarci per la sensibilità, suscitare ammirazione per le capacità, o rigetto e misericordia per le situazioni di peccato, di povertà, di miseria: sono tutti l’“oggi Cristo è nato). InvochiamoLa con fiducia, affinché la Chiesa annunci, anche nel nostro tempo, Cristo Salvatore. Ogni cristiano ed ogni comunità sentano la gioia di condividere con gli altri la Buona Notizia che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito…perché il mondo si salvi per mezzo di Lui” (Gv 3,16-17). E’ questo il senso autentico del Natale, che sempre dobbiamo riscoprire e intensamente vivere”.