Galileo Galilei: il libro della natura è scritto in linguaggio matematico
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«Come ho scritto nell’Enciclica Deus Caritas est, all’inizio dell’essere cristiano - e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti - non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, “che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (n. 1). La fecondità di questo incontro si manifesta, in maniera peculiare e creativa, anche nell’attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l’impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo - che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico - suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata dalla natura. Diventa inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. E’ questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. Il “progetto culturale” della chiesa in Italia è senza dubbio, a tal fine, un’intuizione felice e un contributo assai importante» [Benedetto XVI, IV Convegno Ecclesiale di Verona, 19 ottobre 2006].
Perché il Papa aveva accettato con convinzione l’invito a parlare alla Sapienza, in questo prestigiosa università romana per esporre il suo pensiero, che è poi anche il “progetto culturale” della Chiesa in Italia? Perché ritiene che i protagonisti culturali attuali non siano più le ideologie, ma la scienza e la religione che allargando gli spazi della nostra razionalità, riaprendoli alle grandi questioni del vero e del bene, si possa arrivare a coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità di una ragione allargata alla conoscenza mediata della fede, ragione allargata che le tiene insieme. Si tratta di riaprire il discorso tra fede, amore, ragione e scienza rivivendo l’originaria relazione fra le tradizioni giudaico -cristiana ed ellenistica. Se è vero che la natura del cristianesimo non è anzitutto “una decisione etica o una grande idea, bensì il dono, l’incontro con un avvenimento, con la Persona risorta di Gesù Cristo che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva, è altrettanto vero che l’opzione per il logos, e non per il mito dei poeti, neppure per una teologia civile degli stati e dei politici, ha caratterizzato fin dall’inizio il cristianesimo.
L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero filosofico greco non è stato un semplice caso, ma la concretizzazione storica del rapporto intrinseco tra rivelazione e la razionalità. E proprio questa amicizia dell’intelligenza e il modo divino di amare tutti, i poveri in particolare, è uno dei motivi fondamentali della forza di penetrazione del cristianesimo nel mondo ellenistico - romano, come in altri contesti culturali.
L’unico Dio dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento è l’Essere argomentato dai filosofi, nettamente distinto dalla natura, dal mondo che Egli ha liberamente creato: solo così la “fisica” e la “metafisica” o percezione della realtà come ordinata liberamente dall’Alto giungono a una chiara distinzione per cui il cristianesimo si qualifica come “religione” vera”. Questo Dio non è una realtà a noi inaccessibile, che noi non possiamo incontrare e a cui sarebbe inutile rivolgersi nella preghiera, come ritenevano i filosofi.
Al contrario, il Dio biblico ama l’uomo, ogni uomo e per questo entra nella nostra storia, dà vita ad una autentica storia di amore con Israele come luce delle genti, e poi, in Cristo, nel suo corpo di risorto che è la Chiesa, non solo dilata questa storia di amore e di salvezza all’umanità intera, ma si lascia uccidere e risuscitare per amore, per redimere ogni uomo e salvarlo, chiamandolo a quell’unione di amore con Lui che culmina nella comunione eucaristica rivelando contemporaneamente chi è Dio, la sua volontà universale di redenzione e chi ogni uomo, che Dio ama. Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore. Quando uno nella sua vita fa l’esperienza di un grande amore, quello è un momento di “redenzione” che dà un senso nuovo alla sua vita.
La scienza, scegliendo campi particolari e prestabiliti, non l’intero, l’essere cioè la dimensione veritativa della sua conoscenza può contribuire all’umanizzazione del mondo e dell’umanità. Essa, però, può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze al di fuori di essa. Purtroppo dobbiamo constatare - afferma Benedetto XVI al n. 25 di Spe salvi - che il cristianesimo moderno, di fronte ai successi della scienza nella progressiva strutturazione del mondo, si era in gran parte concentrato soltanto sull’individuo e sulla sua salvezza nell’al di là, mettendo tra parentesi l’ambito puramente intramondano. Con ciò ha ristretto l’orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente la grandezza del suo compito - anche se resta grande ciò che ha continuato a fare nella formazione dell’uomo e nella cura dei deboli e dei sofferenti.
Per Benedetto XVI la Chiesa in Italia si presenta come un terreno profondamente bisognoso e al contempo molto favorevole per far fronte alla nuova ondata di illuminismo e laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare: ad ogni donna viene riconosciuto il diritto di vita e di morte del proprio bambino innocente. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura moderna, che era una rivendicazione cristiana della centralità di ogni essere umano come persona fin dal concepimento e della sua libertà. Nella medesima linea, l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo senza alcun spazio per la gratuità, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso.
“L’opposizione alla visita del Papa - scrive Giorgio Israel, professore ordinario di Matematiche Complementari all’Università di Roma La Sapienza in un articolo dell’Osservatore Romano di mercoledì 16 gennaio - non è quindi motivata da un principio astratto e tradizionale di laicità. L’opposizione è di carattere ideologico e ha come bersaglio specifico Benedetto XVI in quanto si permette di parlare di scienza e dei rapporti tra scienza e fede, anziché limitarsi a parlare di fede.
“Anche la lettera contro la visita firmata da un gruppo di fisici è ispirata da un sentimento di fastidio per la persona stessa del Papa, presentato come un ostinato nemico di Galileo. Essi rimproverano di aver ripreso - in una conferenza tenuta proprio alla Sapienza il 15 febbraio 1990 una frase del filosofo della scienza Paul Feyerabend: “All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto”. Non si sono preoccupati di leggere per intero e attentamente quel discorso. Esso aveva come tema la crisi di fiducia nella scienza in sé stessa e ne dava come esempio il mutare di atteggiamento sul caso Galileo. Se nel Settecento Galileo è l’emblema dell’oscurantismo medioevale della Chiesa, nel Novecento l’atteggiamento cambia e si sottolinea come Galileo non avesse fornito prove convincenti del sistema eliocentrico, fino all’affermazione di Feyerabend - definito dall’allora cardinal Ratzinger come un filosofo “agnostico - scettico “ - e a quella di Carl Friedrich von Weizsacker che addirittura stabilisce una linea diretta tra Galileo e la bomba atomica. Queste citazioni non vennero usate dal cardinale Ratzinger per ricercare rivalse e imbastire giustificazioni: “Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità”. Esse piuttosto venivano addotte come prova di quanto “il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica”.
“In altri termini il discorso del 1990 può ben essere considerato, per chi lo legga con un minimo di attenzione, come una difesa della razionalità galileana contro le scetticismo e il relativismo della cultura postmoderna. Del resto chi conosca un minimo i recenti interventi del Papa sull’argomento (primo fra tutti quello di Verona) sa bene quanto egli consideri con “ammirazione” la celebre affermazione di Galileo che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico.
Come è potuto accadere che dei docenti universitari siano incorsi in un simile infortunio? Un docente dovrebbe considerare come una sconfitta professionale l’aver trasmesso un simile modello di lettura disattenta, superficiale e omissiva che conduce a un vero e proprio travisamento. Ma temo che qui il rigore intellettuale interessi poco e che l’intenzione sia quella di menar fendenti ad ogni costo. Né c’entra la laicità, categoria estranea ai comportamenti di alcuni dei firmatari, che non hanno mai speso una sola parola contro l’integralismo islamico o contro la negazione della Shoah. Come ha detto bene Giuseppe Caldarola, emerge qui “una parte di cultura laica che non ha argomenti e demonizza, non discute come la vera cultura laica, ma crea mostri”. Pertanto, ripetiamo con lui che “la minaccia contro il Papa è un evento drammatico, culturalmente e civilmente”.