Una fede che allarga la ragione
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«…fede e ragione, che è un tema determinante, o meglio, il tema determinante per la biografia di sant’Agostino. Da bambino aveva imparato da sua madre Monica (conoscenza indiretta attraverso il testimone) la fede cattolica. Ma da adolescente aveva abbandonato questa fede perché non poteva più vederne la ragionevolezza (l’evidenza o conoscenza diretta) e non voleva una religione che non fosse anche per lui espressione della ragione, cioè della verità. La sua sete di verità era radicale e lo ha condotto quindi ad allontanarsi dalla fede cattolica. Ma la sua radicalità era tale che egli non poteva accontentarsi di filosofie che non arrivassero alla verità stessa, che non arrivassero a Dio. E a un Dio che non fosse soltanto un’ultima ipotesi cosmologica, che fosse il vero Dio, il Dio che dà la vita e che entra nella nostra stessa vita. Così tutto l’itinerario intellettuale e spirituale di sant’Agostino costituisce un modello valido anche oggi nel rapporto tra fede e ragione, tema non solo per uomini credenti ma per ogni uomo che cerca la verità, tema centrale per l’equilibrio e il destino di ogni essere umano. Queste due dimensioni (del conoscere), fede (conoscenza indiretta attraverso il testimone) e ragione (evidenza diretta), non sono separate né da contrapporre, ma piuttosto devono sempre andare insieme. Come ha scritto Agostino dopo la sua conversione, fede e ragione sono “le due forze che ci portano a conoscere” (Contra Academicos, 43,9). A questo proposito rimangono giustamente celebri le due formule agostiniane (Sermones, 43,9) che esprimono questa coerente sintesi tra fede e ragione: crede ut intelligas (“credi per comprendere”) - il credere apre la strada per varcare la porta della verità - ma anche, e inseparabilmente, intellige ut credas (“Comprendi per credere”), scruta la verità per poter trovare Dio e credere» [Benedetto XVI, Udienza, 30 gennaio 2008].
Credi o conoscenza indiretta tramite testimone per comprendere e comprendi o evidenza diretta nello scrutare la verità per trovare Dio e credere, sono la metafisica, la sintesi dell’e…, la fede, e…, la ragione, nella quale la Chiesa cattolica vede espresso in continuità da due mila anni o Tradizione il proprio cammino dinamico e in continuità di progressiva conoscenza. Ma questa sintesi storicamente va formandosi prima ancora della venuta di Cristo, nell’incontro tra fede ebraica e pensiero greco nel giudaismo ellenistico. Successivamente nella storia questa sintesi è stata ripresa, argomentata e sviluppata da molti pensatori cristiani. Questa armonia per cui la conoscenza indiretta per rivelazione interpella l’intelligenza per comprendere in qualche modo ciò che si giunge a credere significa soprattutto che Dio non è lontano, non costringe ma propone: non è lontano dalla nostra ragione nella via umana verso la verità, verso Lui e non è lontano dalla nostra vita; è vicino ad ogni io umano, vicino al nostro cuore e vicino alla nostra ragione per comprendere in qualche modo ciò che giungiamo a credere, se realmente ci mettiamo insieme in cammino, in ricerca per amore.
Questa vicinanza di Dio ad ogni io umano e non solo per rendere ragione dell’origine del cosmo fu avvertita con straordinaria intensità da sant’Agostino tanto da anteporre nel cammino di ricerca della verità il credere per comprendere, al comprendere per credere come farà san Tommaso. La presenza di questo Tu personale di Dio ad ogni io umano è profonda e nello stesso tempo misteriosa, ma può essere riconosciuta e scoperta nel proprio intimo da tutti: non andare fuori - afferma il convertito, un detto rimasto per indicare la pazzia di”chi è fuori di sé” -ma “torna in te stesso; nell’uomo interiore abita la verità; e se troverai che la tua natura è mutabile, trascendi te stesso: Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che tu trascendi un’anima che ragiona. Tendi dunque là dove si accende la luce della ragione” (De vera religione, 39, 72). In questo cammino interiore si inserisce l’affermazione famosissima, all’inizio delle Confessiones, autobiografia spirituale a lode di Dio: “Ci hai fatto per te e inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in te” (I, 1,1).
La lontananza di Dio equivale alla lontananza da se stessi
“Tu infatti - riconosce Agostino (Confessiones, III, 6,11) rivolgendosi direttamente a Dio in un io - Tu cui tutti sono chiamati -eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta”; tanto che - aggiunge in un altro passo ricordando il tempo antecedente la conversione - “tu eri davanti a me; e io invece mi ero allontanato da me stesso, e non mi ritrovavo; e ancora meno trovavo te” (Confessiones, V, 2,2). Convertito, nel commento al Vangelo di Giovanni, sarà colpito dalle parole di Gesù in rapporto alla presenza del Dio vivente nel battezzato, nel figlio del Figlio: e verremo a lui e, Padre, Figlio, Spirito Santo, unico Dio, abiteremo in lui. Proprio perché Agostino ha vissuto consapevolmente in prima persona, quindi esistenzialmente questo itinerario di grazia, questo percorso intellettuale e spirituale, ha saputo renderlo nelle sue opere con tanta immediatezza, profondità e sapienza, riconoscendo in due celebri passi delle Confessiones (IV, 4,9 e 14,22) che ogni uomo è “un grande enigma” a se stesso (magna quaestio) e “un grande abisso” (grande profundum), enigma e abisso cioè un interrogarsi della ragione che vuole verità che solo la via umana alla Vita e alla Verità che è l’avvenimento dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo illumina totalmente e salva: questo è il connubio indissociabile tra rivelazione e ragione, tra conoscenza indiretta tramite testimone e evidenza diretta cui può giungere la ragione. In tutta la tradizione cattolica il rapportarsi tra rivelazione e ragione, tra teologia e filosofia è un rapportarsi tra loro “senza confusione e senza separazione”. Ognuna delle due conserva la propria identità per cui la filosofia, e ogni uomo è filosofo cioè ricercatore capace della verità, deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria evidenza, libertà e responsabilità; non può non cogliere i limiti dell’evidenza, della conoscenza diretta e proprio anche la sua grandezza e vastità poiché ogni io è originariamente aperto a tutta la realtà, all’Essere tutto in atto a fondamento dell’atto d’essere di ogni ente, Essere che si è incarnato in Gesù Cristo: “Io sono”. La teologia continua ad attingere ad un tesoro di conoscenza indiretta che non inventa essa stessa perché deriva dall’avvenimento dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo che dà alla vita un orizzonte nuovo e con ciò la direzione decisiva, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, la argomentazione, avvia sempre di nuovo il pensiero, la comprensione. Insieme al “senza confusione” vige anche il “senza separazione”: la filosofia non può auto costruirsi, rifarsi ad una ragione a- storica, solo in una razionalità idealisticamente astratta ma alla sapienza dell’umanità come tale e quindi non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della conoscenza indiretta e diretta della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; non deve quindi chiudersi davanti a ciò che i testimoni delle religioni e in particolare della fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino. Questo è importante: un uomo che è lontano da Dio è anche lontano da sé, alienato da se stesso e dalla realtà in tutti gli ambiti cioè dalla verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza, dal patrimonio storico passato e dalla speranza nel futuro, e può quindi ritrovare se stesso solo incontrandosi con Dio - non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ama ogni singolo e l’umanità fino al perdono. Così ogni persona può arrivare a cogliersi nella verità del suo essere dono, perdono, del suo vero io, della sua vera identità. La fraternità di Comunione e liberazione quest’anno propone un libro di Luigi Giussani Si può vivere così? Uno strano approccio all’esistenza cristiana. Lo ritengo uno prezioso strumento non per programmare ma per comprendere la realtà di un vissuto cristiano, di un percorso umanamente cristiano.
Oggi si sono dischiuse, con le scienze naturali che si sono sviluppate sulla base di sperimentazione con la fiduciosa e presupposta razionalità della materia e con le scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura cerca di comprendere meglio se stesso, nuove dimensioni del sapere. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee la sapienza delle grandi tradizioni religiose e cristiane rischiando il pericolo della caduta nella disumanità, un pericolo che non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale con il congelamento degli embrioni umani, con la riduzione embrionale, con la diagnosi pre - impiantatoria, con le ricerche sulle cellule staminali embrionali e con i tentativi di clonazione umana che mostrano chiaramente, con la fecondazione artificiale extra - corporea, sia stata infranta la barriera etica posta a tutela di ogni dignità umana. Quando esseri umani, nello stato più debole e più indifeso della loro esistenza, sono selezionati, abbandonati, uccisi per utilizzati quale puro “materiale biologico”, come negare - ha detto il Papa nell’incontro con i partecipanti alla sessione plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede il 31 gennaio 2008 - “che essi siano trattati non più come “qualcuno”, ma come un “qualcosa”, mettendo così in questione il concetto stesso di dignità dell’uomo?”. Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo -è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità negativa - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.
Se Cristo è il capo, noi le sue membra, l’uomo totale è Lui e noi
L’essere umano - sottolinea poi Agostino nel De civitate Dei (XII, 27) - è sociale per natura ma antisociale per vizio, ed è salvato da Cristo, unico mediatore tra Dio e l’umanità ed è “via universale della libertà e della salvezza”: al di fuori di questa via, che mai è mancata al genere umano, “nessuno è stato mai liberato, nessuno sarà liberato” (De civitate Dei, X, 32, 2). In quanto unico mediatore della salvezza, Cristo è capo della Chiesa e a essa misticamente unito al punto che sant’Agostino può affermare: “Siamo diventati Cristo. Infatti se egli è il capo, noi le sue membra, l’uomo totale è lui e noi” (In Iohannis evangelium tractatus, 21,8).
Popolo di Dio e casa di Dio, la Chiesa nella visione agostiniana è dunque legata strettamente al concetto di Corpo di Cristo, fondata sulla rilettura cristologia dell’Antico Testamento e sulla vita sacramentale centrata sull’Eucaristia, nella quale il Signore ci dà il suo Corpo e ci trasforma in suo Corpo. E’ allora fondamentale che la Chiesa, popolo di Dio in senso cristologico e non in senso sociologico, sia davvero inserita in Cristo, il quale - afferma Agostino in una bellissima pagina: “prega per noi, prega in noi, è pregato da noi; prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio: riconosciamo pertanto in lui la nostra voce e in noi la sua” (Enarrationis in Psalmos, 85,1).
Ricondurre gli uomini di oggi alla speranza di trovare la verità
Nella memoria di sant’Agostino il ministero pastorale della Chiesa ha oggi il compito di mantenere desta la sensibilità per la verità senza della quale non si evangelizza; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, scorgere quella verità o realtà in tutti gli ambiti che è Cristo stesso, Dio vero, uomo completo. Come Agostino, che ha incontrato Dio e durante tutta la sua vita ne ha fatto esperienza sacramentale al punto che questa realtà, anzi la realtà - che è innanzitutto un continuo incontro esistenziale con una Persona, Gesù - ha cambiato la sua vita, cambia quella di quanti, donne e uomini, in ogni tempo hanno la grazia di poterlo incontrare continuamente in vissuti fraterni di comunione ecclesiale.
Benedetto XVI ha terminato la sua catechesi riportando una delle preghiere più belle e più famose delle Confessiones (X,27,38): “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro e io fuori, e lì ti cercavo, e nelle bellezze che hai creato, deforme, mi gettavo. Eri con me, ma io non ero con te. Da te mi tenevano lontano quelle cose che, se non fossero in te, non esisterebbero. Hai chiamato e hai gridato e hai rotto la mia sordità, hai brillato, hai mostrato il tuo splendore e hai dissipato la mia cecità, hai sparso il tuo profumo e ho respirato e aspiro a te, ho gustato e ho fame e sete, mi hai toccato e mi sono infiammato nella tua pace”.