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Valori non negoziabili

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Che grande dono ha fatto Dio con Benedetto XVI alla Chiesa e all’umanità!

«Dal Papa Benedetto XVI ho appreso moltissimo, continuo e continuerò ad apprendere. Da lui ho ricevuto tanto sul piano personale, come su quello della fede, su quello ecclesiale, nel coraggio pastorale… che non ho più se non parole di ringraziamento, affetto e ammirazione verso la Sua persona, e, soprattutto in quanto successore di Pietro che ci conferma nella fede e ci incoraggia nella speranza e nella carità. Sono debitore suo dal punto di vista intellettuale e in altri aspetti personali. E’ il Papa dell’essenziale, in tempi in cui andare all’essenziale è tanto sommamente necessario. Condivido con lui la visione della situazione della Chiesa in Spagna e in Europa; credo, come lui, che il problema fondamentale dell’Europa stia nella negazione, nell’oscuramento e nella dimenticanza di Dio che è, in definitiva, l’essenziale e ciò su cui la chiesa deve essere centrata prima di tutto; questo sarà il suo migliore servizio: offrire Dio agli uomini, farlo conoscere, testimoniarlo, “portar loro” Dio, come fece Gesù, e come ricorda il Papa. Mi sento in piena, pienissima, comunione con lui. Che grande dono ha fatto Dio alla chiesa e all’umanità» [Il Primate di Spagna e arcivescovo di Toledo, cardinale Antonio Canizares, in una intervista al Foglio del 30 marzo 2008 a cui attingiamo totalmente in questo articolo].

Benedetto XVI in un discorso ai partecipanti al Convegno promosso dal Partito Popolare Europeo del 30 marzo 2006 ha così sintetizzato la direttiva attuale di fronte agli impegni politici dei cattolici: “Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l’interesse principale dei suoi interventi nell’arena pubblica è la tutela e la promozione della dignità della persona e quindi essa richiama consapevolmente una particolare attenzione su principi che non sono negoziabili. Fra questi ultimi, oggi emergono particolarmente i seguenti:
- tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;
- riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;
- tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli.
Questi principi non sono verità di fede anche se ricevono ulteriore luce dalla fede. Essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Al contrario, tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono o negati o mal compresi perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa”.
E a Verona, il 19 ottobre 2006, Benedetto XVI mette in guardia da una concezione del mondo in cui “Dio sembra divenuto superfluo anzi estraneo”, riducendo l’uomo a “semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale”. Di fronte al rischio del relativismo morale, della dittatura del relativismo, il Papa invita i fedeli a una “multiforme testimonianza” per far “emergere soprattutto quel grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza”.
Che cosa ha dare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre agli altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro” (Benedetto XVI a “La Sapienza”, 17 gennaio 2008).
Nell’intervista il cardinal Canizares argomenta questi vari punti.

Tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale. Perché il tema dell’aborto è oggi così decisivo e più importante rispetto ad altri problemi?
L’aborto è la violazione del diritto più fondamentale e sacrosanto di tutti i diritti umani: il diritto alla vita, intimamente connesso a ciò che c’è di più essenziale della dignità inviolabile di ogni essere umano, base della convivenza tra gli uomini, base della società. Nell’aborto si viola il “non uccidere”, un assoluto inscritto nella natura umana e che appartiene alla “grammatica comune” dell’essere umano. Si tratta di un crimine contro la persona e la società, contro lo stesso sistema democratico, perpetrato, inoltre, contro esseri umani innocenti, deboli e indifesi. Legittimare la morte di un innocente per mezzo dell’aborto mina e distrugge, dunque, il fondamento stesso della società e della democrazia moderna. Le generalizzazione tanto massiccia ai nostri giorni dell’aborto legale - sono molti milioni all’anno - in base a legislazioni permissive, nell’una o nell’altra maniera a favore dell’aborto, costituisce una grandissima sconfitta dell’umanità: sono stati sconfitti, in realtà, l’uomo e la donna. E’ stata sconfitta la società basata sul bene comune, giacché con l’aborto si sacrifica la vita di un essere umano a beni di valore inferiore e si sottomette il bene comune all’eliminazione della vita a favore il più delle volte di un benessere. E’ sconfitta la democrazia moderna fondata sull’assoluto che ogni persona è sempre fine e mai riduttivamente mezzo per altri o per altro. E’ stato sconfitto il medico che ha rinnegato il giuramento e il titolo più nobile della medicina: quello di difendere e salvare la vita umana. Sono stati confitti i legislatori e coloro che devono applicare il diritto, chiamati tutti costoro a realizzare la giustizia e difendere il debole. Viene sconfitto lo stato di diritto, che ha rinunciato alla protezione fondamentale che deve al sacrosanto diritto della persona alla vita; lo stato invece di intervenire, secondo la sua missione, per difendere l’innocente in pericolo, impedendo la sua morte e assicurando, con mezzi adeguati, la sua esistenza e la sua crescita, con le sue leggi permissive contro la vita umana, come è l’aborto legale, sta autorizzando, di fatto, la violazione di un diritto fondamentale e l’esecuzione di “sentenze di morte” ingiuste, senza che, per giunta, il morituro possa difendersi; così non si sostiene lo stato di diritto.
Le legislazioni favorevoli all’aborto pongono in questione il carattere di “umano” di questo nuovo essere vivo dal momento in cui è concepito o portato in grembo. In queste legislazioni, questo essere vivo è una cosa, un qualcosa, non un qualcuno, un chi, a cui non si possa sottrarre la condizione di essere personale, inerente ad ogni essere umano: il diritto alla vita l’abbiamo originariamente, va riconosciuto non dato. Con ciò, non solo viene gravemente posto in questione il diritto fondamentale dell’uomo alla vita, ma anche la persona stessa. A partire da qui già non si sa più chi è il soggetto del diritto fondamentale alla vita: l’essere umano originariamente in quanto tale o quello che decidono di considerare come tale i legislatori, le maggioranze parlamentari, il potere, insomma? Qui c’è una questione di fondo gravissima: chi, quando e come si è uomo. Chi lo decide? O sta nelle mani dell’uomo - del potere - decidere quando si è persona? Tutto ciò ha conseguenze enormi, per esempio, nel campo della concezione dei diritti umani, della creazione o dell’allargamento di “nuovi” diritti. Per questo il tema dell’aborto è tanto decisivo, più importante di altri problemi. Così si comprende come sia il problema più grave che si è avuto nella storia dell’umanità e quello che segna un frattura fra l’uomo e la società mai accaduto prima. Presto l’umanità se ne vergognerà, come si vergogna della schiavitù o di genocidi ancora a noi tanto vicini.

Essenziale il nesso tra diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale e democrazia: ecco perché questo diritto non è negoziabile democraticamente poiché è fondamento della stessa democrazia: senza il riconoscimento assoluto di questo diritto non c’è democrazia
Uno degli aspetti più gravi e delicati della attuale situazione - e delle società democratiche - rispetto al fondamento di ogni sistema democratico è la sparizione del concetto di persona sempre fine e mai riduttivamente mezzo per altri o per latro e quindi non sottomesso alle decisioni mutevoli e di potere su che cosa sia ogni persona. E’ lo stesso problema con cui si confrontano la morale e l’etica oggi: è scomparsa la coscienza della verità di ogni persona come qualche cosa che ci precede e che non è mai sottomessa al nostro arbitrio, alle nostre decisioni soggettive, anche se questa soggettività fosse espressione di una collettività umana. In un mondo che, in ultima analisi, non è matematica, scienza, tecnica, bensì amore, il minimo diventa il più grande; il particolare prevale sull’universale; la persona, ogni persona, l’essere unico e irreiterabile, è al tempo stesso il supremo e definitivo, anche il fondamento e il fine del sistema democratico. In una simile ampiezza di visione divenuta cultura occidentale ogni persona non è semplicemente un individuo, un esemplare riprodotto attraverso la divisione dell’idea di materia, bensì proprio “persona” in relazione con il proprio e altrui essere dono del Donatore divino, maschio femmina, io - comunità. Il pensiero greco ha interpretato i molti esseri singoli, anche i singoli esseri umani, sempre e unicamente come individui. Ciò che è moltiplicato, quindi, è sempre secondario: l’essere autentico sarebbe l’uno e universale. Il cristiano, invece, vede in ogni essere umano concreto non un individuo, bensì una persona unica e irripetibile in relazione con il creatore, col proprio e altrui essere maschio -femmina, io-comunità. Questo passaggio dall’individuo alla persona sta tutta la tensione della transizione dall’antichità al cristianesimo, dal platonismo alla fede. Se è vero che ogni persona unica e irripetibile è più dell’individuo, che il molteplice è una realtà originaria e non solo secondaria, che c’è un primato del particolare sull’universale, vuol dire che l’unità non è l’elemento unico e definitivo e questo conduce oltre l’idea platonica di un Dio che è pura unità e a superare lo stadio del puro e semplice monoteismo e conduce alla fede nel Dio uno e trino, nel Dio che è logos - amore. Allora il semplice sapere, il semplice vedere e apprendere ciò che avviene nel mondo, finisce per renderci tristi. Ma la verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera in ogni io, in ogni persona: questo è l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione della Persona del Logos del Padre nello Spirito Santo, della Ragione creatrice di ogni io, di ogni persona che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata come il bene, come la Bontà stessa. Questa fede pienamente accolta, vissuta, pensata è divenuta in occidente civiltà, cultura in teologia e filosofia che formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. E’ merito storico di san Tommaso d’Aquino - di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico - di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri: filosofia e teologia, fede e ragione devono rapportarsi tra loro “senza confusione e senza separazione” e oggi occorre coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità, dando così slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena significanza e visibilità pubblica. E in questo orizzonte è nata, con la scoperta dell’America, anche la modernità che con Francisco de Vittoria è stata elaborata culturalmente, in rapporto agli indios in quanto uomini, la prima traduzione pubblica moderna dei diritti umani cioè di ogni persona che viene prima della razza, dello stato, della classe, del continente: diritto alla vita, alla libertà, alla libertà religiosa,, alla sicurezza e alla solidarietà, al bene di ogni io umano cui tutto va finalizzato, compresa l’economia. A questa carta ha puntato l’Illuminismo ma con la sola ragione, etsi Deus non daretur, spingendo Kant ad approvare, in un primo momento, la rivoluzione borghese del 1789 per rimpiazzare la fede ecclesiastica con la semplice fede razionale della religione civile ma poi, vedendo l’andare contro le persone nella Vandea scrive: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore… allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo… inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose (in Spe salvi, n.19). E oggi la cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita capovolge il punto di partenza del primo illuminismo che era una rivendicazione della centralità di ogni persona e della sua libertà etsi Deus non daretur, anche senza Cristo, la Chiesa, le radici cristiane. “Così Dio - nell’attuale ondata di illuminismo e laicismo, per la quale sarebbe valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare - rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale” (Benedetto XVI, Verona 19 ottobre 2006).
Il tema dell’aborto, in questa crisi culturale e antropologica, non è una questione particolare, e neanche una semplice questione morale di alcuni settori della popolazione. Si tratta di una questione molto coinvolgente e comprensiva di molti aspetti che riguardano le grandi, fondamentali e imprescindibili basi e valori che sostengono anche l’attuale sistema democratico, cioè: la dignità di ogni persona concreta, il rispetto dei suoi diritti inviolabili e inalienabili, e la considerazione del bene comune cioè di ogni persona come fine e criterio della vita politica, etsi Deus daretur, anche per chi non crede ma gli sta a cuore l’umanesimo. Il valore della democrazia si mantiene o cade con i valori che incarna e promuove. Per essere vera, crescere e rafforzarsi come si deve, la democrazia ha bisogno di un’etica e di un diritto che si basa sulla verità di ogni uomo nel suo essere dono unico e irripetibile del Donatore divino e reclama il recupero del concetto cristiano di persona umana come soggette trascendente di diritti originari, fondamentali e inalienabili, anteriore allo stato e al suo ordinamento giuridico, come è stato riconosciuto all’articolo tre della Costituzione italiana e della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite nel 1948: oggi si propone di esplicitare con l’aggiunta “dal concepimento fino alla morte naturale”. La ragione e i fatti stessi dimostrano insufficiente l’idea di un mero consenso sociale che ignori la verità di ogni persona umana, il suo valore di fine, insufficiente per un ordine sociale giusto e onesto, per una necessaria condivisione di beni nell’attuale globalizzazione economico - finanziaria. E’ evidente, per tanto, che chi nega il diritto ad ogni vita è, ne sia consapevole e o no, contro la democrazia e conduce la società, il mondo intero al disastro. Non si dovrebbe dimenticare che una società in cui la dimensione morale delle leggi non è tenuta sufficientemente in conto è una società invertebrata, letteralmente disorientata, facile vittima della manipolazione, della corruzione e dell’autoritarismo. “Ma qui emerge subito una domanda: Come si individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. E la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jurgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa “forma ragionevole” egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un “processo di argomentazione sensibile alla verità”. E’ detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico “processo di argomentazione” sono - lo sappiamo - prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico… Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche ed umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. …esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio della verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base la cerchia delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma….Compito del Pastore della Chiesa è mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro” (Benedetto XVI, La Sapienza, 17 gennaio 2008).

E’ in corso in tutto l’occidente una rivoluzione culturale in cui Dio sembra divenuto superfluo anzi estraneo, insignificante la fede, sostituiti dalla dittatura del relativismo
Essa è iniziata da parecchio tempo. Gli ultimi Papi, in una forma o nell’altra, vi si sono riferiti costantemente. Già da alcuni decenni stiamo assistendo in tutto l’occidente a una profonda trasformazione nel modo di pensare, di sentire e di agire che riduce l’uomo a semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si è prodotto e preteso di consolidare una vera “rivoluzione” che si basa su un modo di intendere l’uomo e il mondo, così come la sua realizzazione e il suo sviluppo, nella quale Dio non conta, pertanto al margine di Dio, indipendente da Dio. L’oblio di Dio o il relegarlo alla sfera del privato, del soggettivo è l’evento fondamentale di questi tempi; non ce n’è un altro che vi possa comparare in radicalità e nell’ampiezza delle sue grandi conseguenze. E’ questo che sta dietro al laicismo essenziale ed escludente che si pretende imporre alla nostra società; non si tratta della legittima laicità dove si afferma l’autonomia dello stato e della Chiesa o delle confessioni religiose. Si tratta di edificare la città secolare, costruire la cittadinanza, creare una società nella quale Dio non conti di per sé, la fede sia irrilevante, radicando, per questo, in tutto e in tutti una visione dominante del mondo e delle cose, dell’uomo e della società senza Dio, e con un uomo che non abbia altro orizzonte che il nostro mondo e la sua storia nella quale conta soltanto la capacità creatrice e trasformatrice dell’uomo. Questo laicismo che si impone è un progetto culturale che va al fondo e comporta nella sua essenza lo sradicamento delle nostre radici cristiane più proprie, del nostro patrimonio e dei principi morali che ci caratterizzano come occidente, sostituendoli con uno scientismo, e con una ragione pratica strumentale, o con un relativismo etico, che a corto o medio termine si converte, secondo l’espressione di Benedetto XVI, nella “dittatura del relativismo”: è assurdo pensare a Dio; è assurdo osservare i comandamenti di Dio; è cosa di un tempo passato. Vale soltanto vivere la vita per sé. Prendere in questo breve momento della vita tutto quanto è possibile prendere. Vale solo il consumo, l’egoismo, il divertimento. Questa è la vita. Così dobbiamo vivere. E di nuovo, sembra impossibile opporsi a questa mentalità dominante, con tutta la forza mediatica, propagandistica. Sembra impossibile pensare ancora a un Dio che ha creato l’uomo e che si è fatto bambino e che sarebbe il vero dominatore del mondo. Il relativismo, il non riconoscere nulla come definitivo, sta al centro di una società, corrosa da esso, che ha smesso di credere nella verità ed ha smesso di cercarla; al suo posto dubita scetticamente di essa e della possibilità di accedervi rendendo assoluto il criterio dell’utile, del piacevole, del successo.
In questo grande cambiamento culturale, veniamo spinti ad assumere un orizzonte di vita e di significato in cui non c’è più nulla in sé e per se stesso di vero, buono e giusto. Siamo entrati in una mentalità che nega la possibilità e la realtà di principi stabili e universali. Non c’è più il diritto, ma diritti che si creano e si “ampliano” a seconda della decisione di coloro che hanno il potere per legiferare. Secondo questa nuova mentalità la realtà stessa, che di suo si impone a noi perché è prima di noi, e la tradizione, senza la quale non siamo, non dovrebbero più contare. Si perde o si fa dimenticare la “memoria” di ciò che siamo come occidente all’interno della grande tradizione che ci costituisce.

Riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.
La famiglia è la cosa migliore che abbiamo. E’ il santuario dell’amore e della vita, scuola di pace, fondamento imprescindibile per una nuova civiltà dell’amore. E’ l’ambito privilegiato dove la vita umana è accolta e protetta dal suo inizio fino alla fine naturale, e dove ogni persona apprende a dare e ricevere amore verso Dio, verso se stessa, nella reciprocità uomo- donna, io - comunità. La verità dell’essere dono del Donatore divino uno trino di ogni io è inseparabile dalla famiglia, la cui verità e identità si basa e fonda sul matrimonio, unione indissolubile tra un uomo e una donna, aperto al dono della vita. La promozione, il rafforzamento della famiglia, nella sua verità iscritta nella natura dell’uomo dal Creatore, è la base per una nuova cultura dell’amore. Ciò che è contrario a questa cultura o civiltà dell’amore, e pertanto contrario alla famiglia, è contrario a ogni verità sull’uomo e allo stesso uomo, costituisce una minaccia per lui. Nella famiglia, basata sulla verità che la costituisce, sta il futuro dell’umanità e di ogni uomo. Solo la difesa e l’affermazione della famiglia nella sua verità e identità più autentica aprirà il cammino, necessario e urgente, verso la civiltà dell’amore e della pace, verso la cultura della vita superando la tenebrosa cultura della morte che con tanta potenza ci minaccia. Come disse il Papa Benedetto XVI nella sua allocuzione ai quasi due milioni di persone nella plaza de Còlon a Madrid lo scorso 30 dicembre, “vale la pena lavorare per la famiglia e il matrimonio, perché vale la pena lavorare per l’essere umano”.
Certo l’integrità della famiglia sta soffrendo seri e preoccupanti attacchi, viviamo tempi non facili per le famiglie, scosse come sono le loro basi dalle gravi minacce, chiare e sottili, comprese legislazioni ingiuste come permettere le unioni stabili di coppie dello stesso sesso, equiparandole al matrimonio, chiamandole “matrimonio”, e permettendo loro anche l’adozione di figli. Sono terribili le leggi che facilitano lo scioglimento dell’unione matrimoniale senza necessità di addurne ragione alcuna e inoltre sopprimere il riferimento all’uomo e alla donna come soggetti della stessa. Ci sono leggi che non solamente non proteggono il matrimonio, ma che neanche lo riconoscono nella sua essenza propria e specifica.

L’ideologia del genere, la mentalità abortista e antivita, visione distorta della sessualità
La famiglia oggi si vede messa sotto assedio nella nostra cultura e nella nostra società, per un’infinità di gravi difficoltà - tra le altre per l’ideologia del genere, la mentalità abortista e anti vita, per una visione distorta della sessualità, per un insufficiente sostegno al problema della casa e all’economia familiare; alla famiglia arrivano attacchi di grande portata che nessuno si nasconde. Questa situazione è tanto delicata, tanto grave e con tante gravi conseguenze, che oggi, senza dubbio, si può considerare la stabilità del matrimonio, la salvaguardia e la difesa della famiglia, il suo sostegno e riconoscimento pubblico come il maggior problema sociale.
La chiesa non vuole né può imporre un modello proprio sulla sessualità né una determinata cultura su questa realtà basilare di ogni essere umano. Il recente magistero della chiesa sulla sessualità umana è ricchissimo, è ben fondato, è conforme alla ragione; non la presenta come una mera questione morale o una norma in più di comportamento. Sa che in una concezione vera della sessualità è in gioco una visione integrale dell’uomo. Tale è per la chiesa la grandezza della sessualità.
Il tema del “genere” è una questione molto importante, nella quale sono in gioco molte cose. Senza dubbio è in gioco la grandezza e la verità della donna, che non è favorita dalla teoria del “genere”. Questa questione si è trasformata in una vera ideologia e costituisce uno degli aspetti più importanti della “rivoluzione culturale” di cui sopra. Conta di molti mezzi e strumenti posti al servizio di coloro che la promuovono e di alleanze con poteri e lobby molto potenti e influenti. La promozione di leggi diverse, nelle nazioni e nel concerto delle stesse, è un altro di questi strumenti. Alcuni poteri mediatici e certi spazi televisivi sono espliciti nel mostrare quel che si sta tentando di fare.
In questa ideologia, al posto della parola “sesso” si introduce e si utilizza la parola “genere”.Il linguaggio non è neutrale E con questo cambiamento semantico si sta dicendo semplicemente che le differenze tra l’uomo e la donna, al di là delle ovvie differenze anatomiche, non corrispondono a una natura fissa, ma sono il prodotto della cultura di un paese o di una epoca determinati. Secondo questa ideologia, la differenza tra i sessi si considera come qualcosa attribuito convenzionalmente dalla società, e ognuno può inventarsi se stesso.
La sessualità, in questa ideologia, non è vista propriamente come “costitutiva” dell’uomo; l’essere umano sarebbe il risultato del desiderio della scelta. Sia quale sia il suo sesso fisico, l’uomo - maschio o donna - potrebbe scegliere il suo genere, e cioè: potrebbe decidersi, in qualsiasi momento, - e conseguentemente cambiare la sua decisione quando vuole - per l’eterosessualità, per l’omosessualità, il lesbismo, il transessualismo…A nessuno può sfuggire quanto ciò implica e le questioni di fondo qui racchiuse.
Al di là dell’ideologia femminista radicale, o di una nuova versione della “lotta di classe” e del marxismo, che nella sua origine e sviluppo sta motivando questa ideologia, il cambio sociale e culturale che questa ideologia comporta è di grande portata: In questa ideologia e per questa rivoluzione culturale non esiste natura, non esiste verità dell’uomo, solo la liberà multiforme e solo cultura creata dall’uomo e da lui cambiabile. Non c’è niente di costitutivo. Tutto è libertà senza verità: non sono ma sarò, potrò essere. Non c’è un ordine morale valido in sé e per sé; tutto dipende da ciò che si decide. Non esiste un unico e universale ordine morale. Il nesso individuo - famiglia - società, in questa rivoluzione,si perde e la persona si riduce a individuo. Questa dissociazione tra sesso e genere, o tra natura e cultura distrugge la dimensione personale dell’essere umano e la riduce a semplice individualità. L’ideologia del genere porta con sé la messa in discussione radicale della famiglia e della sua verità - il matrimonio tra un uomo e una donna aperto alla vita - e pertanto la messa in discussione di tutta la società. La famiglia, in verità scompare; forse è proprio questo che si cerca.
Ma questa ideologia suppone anche la messa in discussione di tutto ciò che significa e comporta “tradizione” e identità. Tale rivoluzione, inoltre, escludendo alla sua base ogni riferimento alla dimensione trascendente dell’uomo e della società, escludendo Dio, creatore dell’uomo e che ama ogni uomo in sé e per se stesso, comporta una concezione laicista della vita in cui non hanno spazio né Dio né verità oggettiva alcuna. Il relativismo radicale è un altro dei suoi supporti. Ci troviamo, dunque, di fronte a una sovversione in piena regola, di fronte a una vera rivoluzione culturale di conseguenze incalcolabili per il futuro dell’uomo e della società.

Tutela del diritto e della libertà dei genitori di educare i propri figli
Suscitare il grande tema educativo è oggi una questione incandescente. La sfida prima e principale dell’educazione è l’orientamento che richiede l’insegnamento: cioè: educare la persona, rende possibile lo sviluppo pieno e integrale della personalità umana, insegnare (e apprendere) a essere integralmente uomo. E’ la sfida che ogni uomo arrivi ad essere ogni volta più uomo, che possa essere di più e non solo avere di più, che attraverso tutto quello che possiede - incluse conoscenze e abilità sappia essere più pienamente uomo in tutte le dimensioni dell’essere umano, inclusa quella trascendente. Educare non è mai stato facile e oggi sembra diventare sempre più difficile: perciò non pochi genitori e insegnanti sono tentati di rinunciare al proprio compito, e non riescono più nemmeno a comprendere quale sia, veramente, la missione loro affidata. Troppe incertezze e troppi dubbi, infatti circolano nella nostra società e nella nostra cultura, troppe immagini distorte sono veicolate dai mezzi di comunicazione sociale. Diventa difficile, così, proporre alle nuove generazioni qualcosa di valido e di certo, delle regole di comportamento e degli obiettivi per i quali meriti spendere la propria vita. In realtà, l’aspetto più grave dell’emergenza educativa è il senso di scoraggiamento che prende molti educatori, in particolare genitori e insegnanti, di fronte alle difficoltà che presenta oggi il loro compito. Ma anima dell’educazione può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti, e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini ‘senza speranza e sena Dio in questo mondo ’. Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita, che non è altro che sfiducia in quel Dio che ci ha chiamati alla vita. Per questo il problema e la questione principale dell’educazione è la famiglia, che è l’ambito naturale e imprescindibile per questo apprendere e crescere nell’amore alla vita, al divenire quello che si è; la famiglia è insostituibile, è anteriore alla scuola e alla società.
Oggi si è politicizzato, ideologizzato e strumentalizzato all’eccesso quanto si riferisce all’insegnamento e alla scuola. Impadronirsi della scuola, senza pensare sufficientemente alla persona di ogni ragazzo, o ponendola a servizio di determinati interessi di parte è un rischio che si corre. Gli attuali sistemi educativi o scolastici sembrano falliti; sembrano non rispondere alle domande e alle esigenze dell’educazione cioè del cuore dei giovani. Diventa attuale il discorso di Benedetto XVI a Verona il 19 ottobre 2006 indicando l’essenziale del cammino: l’annuncio e la testimonianza di Dio, annunciare il “sì” di Dio all’umanità in Gesù Cristo e, per questo, viverlo all’interno della comunità cristiana rivitalizzata nella sua fede e pensata alla luce dell’enciclica Fides et ratio.

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