Parlare a tutti gli uomini
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

«Mediante le Nazioni Unite, gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell’umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso. I principi fondativi dell’Organizzazione - il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità di ogni persona, la cooperazione umanitaria e l’assistenza - esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali. Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta di argomenti che la Chiesa Cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiché vedono nella vostra attività come problemi e conflitti riguardanti la comunità mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione. Le Nazioni Unite incarnano l’aspirazione ad “un grado superiore di orientamento internazionale” (Sollicitudo rei socialis, 43), ispirato e governato dal principio di sussidiarietà, e pertanto capace di rispondere alle domande dell’umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli. Ciò è ancora più necessario in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale» [Benedetto XVI, All’Assemblea generale delle Nazioni Unite,18 aprile 2008].
Mai un Papa aveva potuto parlare di fronte ai rappresentanti di tanti Paesi riuniti insieme - quasi duecento, in pratica l’intero pianeta, dando giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca cioè nella verità della famiglia delle nazioni: una comune regolamentazione, avvenuta sessant’anni fa nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è il presupposto della libertà di tutte le nazioni, non il suo antagonista poiché è la verità che rende liberi dalla schiavitù dell’ignoranza. Ma come sessant’anni fa si è giunti democraticamente a individuare i criteri di giustizia per rendere possibile una libertà vissuta insieme a servizio dell’essere buono di ogni persona umana con strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli? La fondazione delle Nazioni Unite coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo. E quando ciò accade, sono sempre minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l’ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti ed inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite. Quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare “un terreno comune”, minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti. Il cammino dell’uomo, allora, non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo constatiamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità e quindi della giustizia a fondamento di ogni legalità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine purtroppo, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo dissolvendo, com’è l’attuale secolarismo e materialismo, ogni metafisica, ogni senso religioso trascendente della ragione, ogni fede sacramentale (l’Essere tutto in atto in un volto umano nell’incarnazione, il Risorto nei sacramenti della Chiesa) e quindi ogni etica e ogni morale. La memoria storica di quel grande avvenimento e delle circostanze che lo hanno reso possibile dopo due conflitti mondiali, dopo il nazismo e di fronte alla dittatura comunista stalinista, può offrire un orientamento per superare l’attuale paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi attuali del fenomeno della globalizzazione, che non può non riguardare le Nazioni Unite in quanto per la loro essenza sono il luogo della condizione planetaria dei problemi e delle possibili soluzioni, esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale. Questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, richiedono che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni più deboli del pianeta. Si tratta in particolare di quei Paesi dell’Africa e di altre parti del mondo che rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione. Nel contesto delle relazioni internazionali, è necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la libertà umana. Tali regole non limitano la libertà; al contrario la fondano, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l’effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana. Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri.
Urge reinserire il concetto di verità di ogni persona nel dibattito filosofico e in quello politico, superando, pur nella distinzione della laicità positiva, la drammatica frattura tra fede, cultura e politica
Nel 1948 la legittimità del riconoscimento dei Diritti dell’Uomo cioè della giustizia universale, quale presupposto della legalità di ogni Stato nazionale e dell’azione della comunità internazionale, è derivato, soprattutto dopo il dramma diabolico della dittatura nazista anticristiana e quindi antiumana e di fronte alla dittatura comunista staliniana, da due fonti: dalla partecipazione politica di tante nazioni e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici furono risolti. Nel processo democratico di formazione dell’opinione condivisa cioè pubblica o cultura non c’è stata solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma un processo di argomentazione sensibile alla verità cui il ministero pastorale della Chiesa cattolica ha sempre esercitato il compito di mantenere desta la sensibilità per la verità, pur non imponendo mai in modo autoritario la fede, che può essere donata solo in libertà. Protagonista di questo processo di argomentazione di ricerca della giusta convivenza ascoltando istanze diverse in rapporto a partiti e gruppi di interesse, senza contestare la loro importanza, è stata proprio l’avvenimento storico culturale della condivisione universale di quella sensibilità che ha reinserito il concetto di verità di ogni persona nel dibattito filosofico ed in quello politico. Vi hanno contribuito religioni liberamente praticate e le varie confessioni cristiane che, tenendo separata la sfera religiosa dall’azione politica hanno posto il proprio patrimonio storico di una fede pienamente accolta, vissuta e pensata divenuta cultura a servizio del bene comune. La Chiesa cattolica ha contribuito, com’è suo compito, a mantenere desta la sensibilità per la verità, la giustizia a fondamento della legalità, a collaborare sempre di nuovo, compito di ogni generazione, nella faticosa ricerca del vero, del bene, di Dio, di retti ordinamenti per le cose umane e su questo comune cammino a scorgere le luci sorte lungo la storia della fede, della tradizione cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro, la vita veramente vita, la speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo superare la tentazione del criterio dell’utile come criterio ultimo o ideologia utilitarista e affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, che può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta, che interessa tutta la famiglia umana, la storia, l’universo, è così grande da giustificare la fatica del cammino.
Ma oggi si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, l’uomo cerca di comprendere meglio se stesso. Nonostante gli enormi benefici che l’umanità può trarne, alcuni aspetti di tale applicazione rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, di ogni vita dal concepimento alla morte naturale, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale. Allo stesso modo, l’azione internazionale volta a preservare l’ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l’autentica immagine della creazione, come richiede il concetto di verità di ogni persona. Questo non chiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi metafisici, sacramentali e quindi etici affinché l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda anche politicamente, democraticamente non relativizzando i valori non negoziabili, davanti alla questione della verità di ogni persona, come è avvenuto storicamente nel 1948. Altrimenti la ragione rischia di piegarsi davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo con il pericolo della caduta nella disumanità, come lo vediamo oggi nel mondo occidentale e in prospettiva a livello globale. Occorre ridare cittadinanza pubblica al grande messaggio che viene dalla sapienza della fede cristiana e da tutte le tradizioni religiose praticate liberamente.
Il principio della “responsabilità di proteggere”
Il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per l’innata, originaria dignità di ogni uomo e ogni donna per cui moralmente tutti possano sentirsi di casa nella Nazioni Unite come, per così dire, un’unica famiglia di nazioni, trovano oggi una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Solo di recente questo principio è stato definito, ma era già implicitamente presente alle origini delle Nazioni Unite come famiglia delle Nazioni ed è ora divenuto sempre più caratteristica dell’attività dell’Organizzazione. Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazione gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali. L’azione della comunità internazionale e delle istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come una imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è più bisogno è una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione.
Il principio della “responsabilità di proteggere” era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: all’inizio cristiano della modernità e al tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore di ogni Dichiarazione moderna americana ed europea dei diritti dell’Uomo e dell’idea della Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli. “I diritti naturali - osserva Luigi Negri in Ripensare la modernità pp. 84 -85 - che Francisco de Vitoria riconosce agli indios, in quanto uomini, cioè creature fatte ad immagine e somiglianza di Dio, sono quelle presenti nelle dichiarazioni moderne: diritto alla vita (“per diritto naturale ogni uomo ha diritto alla vita, all’integrità fisica e psichica”), alla libertà (“per diritto naturale tutti gli uomini sono liberi e nell’uso di questa libertà fondamentale gli indios si costituiscono liberamente in comunità e liberamente scelgono i loro governanti”), alla libertà religiosa (“gli indios hanno diritto a non essere battezzati o costretti a convertirsi al cristianesimo contro la propria volontà”), alla sicurezza (cioè un anticipo profetico nell’attuale principio della responsabilità di protezione) (“per solidarietà umana e a tutela di quegli indios che, innocenti o indifesi, sono ancora sacrificati agli idoli, o sono assassinati per mangiarne le carni, gli Spagnoli non possono abbandonare le Indie finché non abbiano realizzato scambi politici e commerciali necessari a far terminare quel regime di terrore e di repressione”)…I diritti umani? Li ha scritti Mosé e trovano il loro fondamento nell’intera tradizione cristiana. Infatti, è fondarsi sul principio evangelico dell’uguaglianza di tutti gli uomini, in quanto figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza, e sulla teoria del diritto naturale elaborata a partire dalla riflessione filosofica, dicibile a tutti, di sant’Agostino e san Tommaso (il cui pensiero Francisco de Vitoria aveva ripreso sistematicamente e posto al centro del suo insegnamento) che egli elaborò quella che potremmo chiamare la prima Carta dei diritti. Essa risulta straordinaria non solo per la modernità, ma anche per il coraggio con cui fu divulgata e propugnata presso il Real Consiglio delle Indie e presso la Santa Sede”. “ Ora, come allora - afferma il Papa -, tale principio deve invocare l’idea della persona, quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà”. La fondazione delle Nazioni Unite, come abbiamo ricordato, coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo.
Verità, Giustizia, Diritti dell’Uomo e legalità, istituzioni
Il riferimento all’umana dignità, che è il fondamento e l’obiettivo della responsabilità di proteggere, ci porta al tema sul quale siamo invitati a concentrarci quest’anno, che segna il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il documento fu l’avvenimento storico, il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio condiviso di porre la persona, ogni persona (come sarebbe utile oggi giungere in modo condiviso a esplicitare dal concepimento al termine naturale) al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare ogni persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. Almeno a livello formale i diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani, cioè la verità che rende liberi dalla schiavitù dell’ignoranza, servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana e del bene di tutti cui finalizzare economia e politica. E’ evidente, tuttavia, che i diritti condivisi, riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine di ogni persona, (dal concepimento al termine naturale), la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore di ogni uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto universale, perenne cioè veritativo, metafisico, di fede sacramentale,significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, antimetafisica, antireligiosa, antisacramentale, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero, con una mentalità positivistica, variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che per essere veri non solo i diritti sono universali, ma lo è anche ogni persona umana (dal concepimento al termine naturale), soggetto di questi diritti mai politicamente negoziabili.
La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare sempre e dovunque, da parte di tutti il rapporto fra giustizia e ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto. La promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza. Certo, le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace. Tuttavia il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti, tanto meno la mondializzazione solo a livello economico, ciò che oggi tocca più da vicino la vita delle nazioni e dei singoli cittadini. Ma se è vero chela mondializzazione a livello economico può comportare occasioni di sviluppo e arricchimento, è altrettanto vero che può causare impoverimento e fame. Il merito dell’avvenimento storico, un bene da Chi, Dio, sa trarlo anche dal male, della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture una cultura che le trascende tutte e dà continuamente nuovo slancio universale cioè espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno al nucleo fondamentale dei valori e, quindi, di diritti. Oggi però occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità di ogni essere umano per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari.
La Dichiarazione fu condivisa e adottata come “comune concezione da perseguire” (preambolo), come punto di riferimento morale in cui tutte le nazioni del mondo possano sentirsi a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere una famiglia delle nazioni e non può, quindi essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità di ogni persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani.
L’esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato positivo di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere, dissolvendo la sensibilità a livello culturale e politico per la verità di ogni persona umana. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione metafisica della ragione e sacramentale della fede, e quindi dalla dimensione etica che è il loro fondamento e scopo. Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia mai, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali. Tale aspetto viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione davanti alla pressione degli interessi e dell’utilità come criterio ultimo, in nome di una gretta prospettiva utilitaristica, una mentalità oggi dominante con tutta la forza mediatica e propagandistica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana, è facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli.” Questa intuizione - ricorda Benedetto XVI - fu espressa sin dal quinto secolo da Agostino di Ippona, uno dei maestri della nostra eredità intellettuale, il quale ebbe a dire al riguardo non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te e che tale massima “ non può in alcun modo variare a seconda delle diverse comprensioni presenti nel mondo (De Doctrina christiana, III, 14). Perciò i diritti umani debbono essere rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante volontà dei legislatori”. Si tratta di valori non negoziabili.
Riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e di ogni donna e conversione del cuore
Il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male, diviene ancor più essenziale nel contesto di esigenze che riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli. Affrontando il tema dei diritti, dato che vi sono coinvolte situazioni importanti e realtà profonde, il discernimento è al tempo stesso una virtù indispensabile e fruttuosa.
Il discernimento, dunque, mostra come l’affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni delle persone, comunità e popoli interi, può talvolta avere conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti di ogni persona, costi quel che costi. D’altra parte, una visione della vita saldamente ancora alla dimensione religiosa, liberamente praticata, può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e di ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace. E il Papa vede che ciò fornisce il contesto proprio anche per quel dialogo interreligioso che le Nazioni Unite sono chiamate a sostenere, allo stesso modo in cui sostengono il dialogo in altri campi dell’attività umana. Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardanti valori veri sempre più condivisi ed obiettivi particolari. E’ proprio della natura delle religioni, liberamente praticate, il fatto che possano autonomamente condurre un dialogo di pensiero e di vita. Se anche a tale livello la sfera religiosa è tenuta separata dall’azione politica, grandi benefici ne provengono per gli individui e per le comunità D’altro canto, le Nazioni Unite possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto della disponibilità dei credenti a porre le proprie esperienze a servizio del bene comune. Loro compito è quello di proporre una visione della fede non in termini di intolleranza, di discriminazione e di conflitto, ma in termini di rispetto totale della verità, della coesistenza, dei diritti di ogni uomo, della riconciliazione.
I diritti dell’uomo includono il diritto di libertà religiosa, nella distinzione fra la dimensione di cittadino e quella di credente
Ovviamente i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente. L’attività delle Nazioni Unite negli anni recenti ha assicurato che il dibattito pubblico offra spazio a punti di vista ispirati ad una visione religiosa in tutte le sue dimensioni cioè veritativa, inclusa quella rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la libertà di professare o di scegliere una religione. E’ perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della liberà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve essere tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale. In verità, già lo stanno facendo,ad esempio, attraverso il loro coinvolgimento influente e generoso in una vasta rete di iniziative, che vanno dalle università, alle istituzioni scientifiche, alle scuole, alle agenzie di cure mediche e ad organizzazioni caritative al servizio dei poveri e dei più marginalizzati. Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto - per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone - privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità di ogni persona e quindi della società.
L’Onu segno di unità fra Stati e strumento di servizio per tutta l’umana famiglia
A conclusione dell’intervento il Papa sottolinea che la sua presenza davanti all’Assemblea è un segno di stima per le Nazioni Unite ed espressione di speranza che l’Organizzazione possa servire sempre più come segno di unità fra Stati e quale strumento di servizio per tutta l’umana famiglia. La Chiesa cattolica offre il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza. La Chiesa opera per la realizzazione di tali obiettivi attraverso l’attività della Santa Sede, in modo coerente con il proprio contributo nella sfera etica e morale e con la libera attività dei propri fedeli.
Per la Chiesa l’Onu resta un luogo privilegiato per portare la propria “esperienza in umanità”
Questa esperienza in umanità si è sviluppata lungo i secoli fra i popoli di ogni razza e cultura e la mette a disposizione di tutti i membri della comunità internazionale. Questa esperienza ed attività, dirette ad ottenere la libertà per ogni credente, cercano inoltre di aumentare la protezione offerta ai diritti di ogni persona. Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendete della persona, che permette a uomini e donne di percorrere il loro cammino di fede e la loro ricerca di Dio in questo mondo. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell’umanità in un mondo migliore, e se vogliamo creare le condizioni per la pace, lo sviluppo, la cooperazione e la garanzia dei diritti delle generazioni future.
Il Papa ha concluso sottolineando che nella enciclica Spe salvi” ha affermato “ la sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione” (n.25). Per i cristiani tale compito è motivato dalla speranza che scaturisce dall’opera salvifica di Gesù Cristo. “Ecco perché la Chiesa è lieta di essere associata all’attività di questa illustre Organizzazione, alla quale è affidata la responsabilità di promuovere la pace e la buona volontà in tutto il mondo”.
In viaggio di andata, nell’intervista concessa ai giornalisti, di fronte alla domanda: “lei pensa che un’istituzione multilaterale come le Nazioni Unite possa salvaguardare i principi ritenuti “non negoziabili” dalla Chiesa Cattolica, cioè i principi fondati sulla legge naturale”, ha risposto: “E’ proprio questo l’obiettivo fondamentale delle Nazioni Unite: che salvaguardino i valori comuni dell’umanità, sui quali è basata la convivenza pacifica delle Nazioni: l’osservanza della giustizia e lo sviluppo della giustizia. Ho già brevemente accennato che a me sembra molto importante che il fondamento delle Nazioni Unite sia proprio l’idea dei diritti umani, dei diritti che esprimono valori non negoziabili, che precedono tutte le istituzioni e sono a fondamento di tutte le istituzioni. Ed è importante che ci sia questa convergenza tra le culture che hanno trovato un consenso sul fatto che questi valori sono fondamentali, che sono iscritti nello stesso essere Uomo. Rinnovare questa coscienza che le Nazioni Unite, con la loro funzione pacificatrice, possono lavorare soltanto se hanno il fondamento comune dei valori che si esprimono poi in “diritti” che devono essere osservati da tutti. Confermare questa concezione fondamentale e aggiornarla in quanto possibile, è un obiettivo della mia missione”.