Dialogo tra fede e ragione
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«Il cristianesimo, come ho ricordato nell’enciclica Spe salvi, non è soltanto un messaggio informativo, ma performativo (n. 2). Ciò significa che da sempre la fede cristiana non può essere rinchiusa nel mondo astratto delle teorie, ma deve essere calata in un’esperienza storica concreta che raggiunga l’uomo nella verità più profonda della sua esistenza. Questa esperienza, condizionata dalle nuove situazioni culturali e ideologiche, è il luogo che la ricerca teologica deve valutare e su cui è urgente avviare un dialogo fecondo con la filosofia. La comprensione del cristianesimo come reale trasformazione dell’esistenza dell’uomo, da un lato spinge la riflessione filosofica ad un nuovo approccio con la religione, dall’altro la incoraggia a non perdere la fiducia di poter conoscere la realtà. La proposta di “allargare gli orizzonti della razionalità” non va, pertanto, semplicemente annoverata tra le nuove linee di pensiero teologico e filosofico, ma deve essere intesa come la richiesta di una nuova apertura verso la realtà a cui la persona umana nella sua uni - totalità è chiamata, superando antichi pregiudizi e riduzionismi, per aprirsi anche così la strada verso una nuova comprensione della modernità. Il desiderio di una pienezza di umanità non può essere disatteso: attende proposte adeguate. La fede cristiana è chiamata a farsi carico di questa urgenza storica, coinvolgendo tutti gli uomini di buona volontà in una simile impresa. Il nuovo dialogo tra fede e ragione, oggi richiesto, non può avvenire nei termini e nei modi in cui si è svolto in passato. Esso, se non vuole ridursi a sterile esercizio intellettuale, deve partire dall’attuale situazione concreta dell’uomo e su di essa sviluppare una riflessione che ne raccolga la verità ontologico - metafisica» [Benedetto XVI ai Partecipanti al VI Simposio europeo dei docenti universitari, sul tema: “Allargare gli orizzonti della razionalità. Prospettive per la Filosofia”, 7 giugno 2008].
A dieci anni dall’Enciclica “Fides et ratio” resta attuale l’invito a dare nuova forma al dialogo tra fede e ragione e quindi tra filosofia e teologia, superando “antichi pregiudizi e riduzionismi” per offrire una più profonda comprensione della modernità e della “questione antropologica” raccogliendo “la verità ontologico - metafisica”.
Gli eventi succedutesi nei dieci anni trascorsi dalla pubblicazione dell’enciclica hanno delineato con maggiore evidenza lo scenario storico e culturale nel quale la ricerca filosofica è chiamata ad inoltrarsi. “Infatti - osserva il Santo Padre con un acuto e profondo giudizio su cui riflettere - la crisi della modernità non è sinonimo di declino della filosofia; anzi la filosofia deve impegnarsi in un nuovo percorso di ricerca per comprendere la vera natura di tale crisi e individuare prospettive nuove verso cui orientarsi. La modernità, se ben compresa, rivela una “questione antropologica” che si presenta in modo molto più complesso e articolato di quanto non avvenisse nelle riflessioni filosofiche degli ultimi secoli, soprattutto in Europa. Senza sminuire i tentativi compiuti, rimane ancora molto da indagare e da comprendere. La modernità non è un semplice fenomeno culturale, storicamente datato; essa in realtà implica una nuova progettualità, una più esatta comprensione della natura dell’uomo. Non è difficile cogliere negli scritti di autorevoli pensatori contemporanei un’onesta riflessione sulle difficoltà che si frappongono alla soluzione di questa prolungata crisi. L’apertura di credito che taluni autori propongono nei confronti delle religioni e, in particolare del cristianesimo, è un segno evidente del sincero desiderio di far uscire dall’autosufficienza la riflessione filosofica”.
E qui Benedetto XVI ricorda che fin dall’inizio del suo ministero petrino ha voluto il rilancio della filosofia all’interno del mondo accademico e culturale. E ha quindi lodato il Simposio che ha messo a tema l’invito fatto a Verona di “allargare gli orizzonti della razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. E’ questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. E’ questa la sua profonda convinzione già espressa in Introduzione al cristianesimo, capitolo III: “La fede cristiana ha fatto la sua scelta netta: contro gli dei della religione per il Dio dei filosofi, vale a dire contro il mito della sola consuetudine per la verità dell’essere”. Tale affermazione, che rispecchia il cammino del cristianesimo fin dai suoi albori, si rivela pienamente attuale nel contesto storico culturale che stiamo vivendo. Infatti solo a partire da tale premessa, che è storica e teologica ad un tempo, è possibile venire incontro alle nuove attese della riflessione filosofica. Il rischio che la religione, anche quella cristiana, sia strumentalizzata come fenomeno surrettizio è molto concreto anche oggi.
La comprensione non solo informativa nel mondo astratto delle teorie ma performativa del cristianesimo come reale trasformazione dell’esistenza di ogni uomo
Una puntuale esemplificazione di questo giudizio e di questo tema centrale di Benedetto XVI l’ho colto nell’intervista del cardinal Caffarra su Avvenire dell’8 giugno 2008. Come nella prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico - romano, realizzata da una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti, anche oggi solo da una rinnovata amicizia fra fede e ragione può nascere quella grande testimonianza di carità che è la forma creativa, performante, del cristianesimo. E sull’esempio di san Paolo dobbiamo conoscere le difficoltà che pongono ostacolo di evangelizzazione dell’Occidente oggi ma con una fede che fa avere un animo da vincitori, da più che vincitori e che non si lascia mai sopraffare dalle difficoltà, ingigantendole fcendo diventare la vita triste e sterile. “Da una parte - osserva il card. Caffarra -, una ragione che si è auto mutilata e quindi non riconosce nella fede (nella conoscenza indiretta ma veritativa del testimone) alcuna dimensione conoscitiva, veritativa. Dall’altra, una fede che in non pochi cristiani si accontenta di essere esclamata e non interrogata, professata (celebrata, pregata) e non pensata. E di conseguenza, una ragione che si è interdetta la possibilità di guidare l’uomo verso gli interrogativi ultimi, e una fede che non sa più mostrare la sua ragionevolezza. In questa frattura, a rischio è l’umanità (e la libertà) di ogni persona”.
Altro elemento di questa frattura tra fede - ragione - amore, tra Vangelo - cultura è l’emergenza educativa, come si fosse spezzato il racconto tra padri e figli. Un popolo continua se, nel corso delle generazioni, custodisce il fondo storico dell’umana sapienza e quindi all’università la filosofia, con una ragione astorica, con una razionalità astorica, non si sente più capace del suo vero compito e si degrada, si piega alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Un popolo può continuare se custodisce la sua tradizione rendendola viva e attuale nel rapporto fra generazioni. Se il tramandare ai figli si interrompe, sono come sradicati, orfani di una dimora spirituale. La sapienza, il conoscere delle grandi tradizioni religiose è da valorizzare e non si può impunemente gettare nel cestino della storia. Per superare questo rischio occorre in famiglia il recupero dell’autorevolezza: “Autorevolezza - ancora il card. Caffarra - vuol dire che io, padre e madre, offro a te, figlio, una proposta di vita, della cui bontà e verità sono certo: e ne sono certo perché l’ho verificata nella mia vita. Nel momento in cui queste premesse vengono meno, non resta più niente di vero da dare ai figli. Dentro a una mentalità relativistica, l’educazione non diventa difficile, ma impossibile. L’atto educativo stesso è percepito quasi come un sopruso. “Deciderà lui, quando sarà grande”, dicono oggi i genitori. Così creiamo, in realtà, degli schiavi”.
Molti cristiani non sono preparati, come richiede Benedetto XVI, a “una vera comprensione della modernità. Il desiderio di una pienezza di umanità non può essere disatteso: attende risposte adeguate. La fede cristiana è chiamata a farsi carico di questa urgenza storica, coinvolgendo tutti gli uomini di buona volontà in una simile impresa. Il nuovo dialogo tra fede e ragione, oggi richiesto, non può avvenire nei termini e nei modi in cui si è svolto in passato. Esso, se non vuole ridursi a sterile esercizio intellettuale, deve partire dall’attuale situazione concreta dell’uomo, e su di essa sviluppare una riflessione che ne raccolga la verità ontologica - metafisica”. Ma questa, oggi, è la vera debolezza del soggetto cristiano: la incapacità di fare della fede un modo di stare dentro la realtà. Ciò che si celebra la domenica, per molti non ha nulla a che fare con ciò che si ricomincia il lunedì. E’ solo una pia elevazione dalle bruttezze del mondo. Spesso cosa c’entra, con la presenza e l’incontro con la Persona di Gesù Cristo cioè l’essere cristiani, il modo in cui si pensa e si vive in famiglia? Le grandi esperienze della nostra vita, che rimandano come dono al Donatore divino del proprio e altrui essere, innamorarsi, avere figli, lavorare, come c’entrano con Chi ce li dona? Dovremo umilmente affrontare tutto, come ci testimonia Paolo nella Lettera agli Ebrei, da vincitori, da più che vincitori senza ingigantire le difficoltà. E’ la consapevolezza e quindi la capacità di stare cristianamente dentro la realtà che oggi viene meno, conseguenza della emarginazione della ragione dalla fede. La fede va continuamente pensata. Agostino ricorda che una fede non pensata non è fede vera e tutti ne hanno la capacità, i semplici più dei dotti, e Benedetto XVI ripete che da una fede divisa dalla ragione e dall’amore non sorgerà mai una grande testimonianza cristiana.
Un’altra grave frattura tra Vangelo e cultura è la perdita della coscienza del “bene comune” a livello sociale, economico, politico. Il bene umano vero è sempre comune, vi giunse a coglierlo anche Platone. E’ un bene condiviso in cui ogni uomo ragionevole si riconosce: mentre gli interessi solo individuali dividono. Ma il bene comune nella coscienza civile può essere solamente frutto di etica condivisa, di una riscoperta di valori? “L’agostiniano - dice il card. Caffarra - che è in me dice di no: perché siamo di fatto più sensibili al nostro bene privato. E però l’invocazione di salvezza che l’uomo consapevolmente o no oggi rivolge alla Chiesa è: ridateci la possibilità di vivere una vera comunione, senza la quale periamo nella nostra solitudine. Cristo è venuto per questo, per raccogliere i figli divisi e dispersi. E’ la sfida di evangelizzazione … a partire dall’educazione e dalla ricostruzione della famiglia e del matrimonio, perché la comunità umana comincia fra un uomo e una donna”.
L’avventura affascinante nella quale merita spendersi
Benedetto XVI non ingigantisce certo gli ostacoli, le difficoltà perché la presenza del Risorto fa avere, pur nell’umiltà, un animo da vincitori, da più che vincitori e quindi programma. “Innanzitutto è necessario promuovere centri accademici di alto profilo, in cui la filosofia possa dialogare con le altre discipline, in particolare con la teologia, favorendo nuove sintesi culturali idonee a orientare il cammino della società… Confido che le istituzioni accademiche cattoliche siano disponibili alla realizzazione di veri laboratori culturali. Vorrei anche invitarvi a incoraggiare i giovani ad impegnarsi negli studi filosofici, favorendo opportune iniziative di orientamento universitario. Sono certo che le nuove generazioni, con il loro entusiasmo, sapranno rispondere generosamente alle attese della Chiesa e della società”.
E come icona di questo ottimismo soprannaturale Benedetto XVI annuncia la gioia di aprire l’Anno Paolino per riscoprire, sulle orme del grande Apostolo, la fecondità storica del Vangelo e le sue straordinarie potenzialità anche per la cultura contemporanea.