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Non ci cambiano i discorsi...

Autore:
Oliosi, don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Paolo è stato trasformato non da un pensiero, ma da un evento, dalla presenza irresistibile del Risorto. Anche noi cristiani siamo tali soltanto se incontriamo Cristo oggi nei fatti.

«Nella Chiesa antica il battesimo era chiamato anche “illuminazione”, perché tale sacramento dà la luce, fa vedere realmente. Quanto così si indica teologicamente, in Paolo si realizza anche fisicamente: guarito dalla cecità interiore, vede bene. San Paolo, quindi, è stato trasformato non da un pensiero ma da un evento, dalla presenza irresistibile del Risorto, della quale in seguito mai potrà dubitare tanto era forte l’evidenza dell’evento, di questo incontro. Esso cambiò fondamentalmente la vita di Paolo; in questo senso si può e si deve parlare di conversione…
Venendo ora a noi stessi, ci chiediamo che cosa vuol dire questo per noi? Vuol dire che anche per noi il cristianesimo non è una nuova filosofia o una nuova morale (non saremo mai certi e sicuri). Cristiani siamo soltanto se incontriamo Cristo. Certamente Egli non si mostra a noi in questo modo irresistibile, luminoso, come ha fatto con Paolo per farne l’apostolo di tutte le genti. Ma anche noi possiamo incontrare Cristo, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa. Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani. E così si apre la nostra ragione, si apre tutta la saggezza di Cristo e tutta la ricchezza della verità. Quindi preghiamo il Signore perché ci illumini, perché ci doni nel nostro mondo l’incontro con la sua presenza: e così ci dia una fede vivace, un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare il mondo» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 3 settembre 2008].

In tutte le catechesi di Benedetto XVI nell’anno paolino ci sono due risposte a due domande: chi è Paolo in rapporto a Cristo allora, chi è Paolo oggi per noi.

Ragione ed esperienza in san Paolo sulla via di Damasco e quindi in quella che si chiama comunemente conversione
C’è stato un fatto proprio sulla strada di Damasco, nei primi anni 30 del secolo I°, e dopo un periodo in cui aveva perseguitato la Chiesa, si verificò il momento decisivo della vita di Paolo: avvenne una svolta, un capovolgimento di prospettiva. Sempre, tutta la conoscenza di Paolo è stata un avvenimento cioè un giungere a Dio, un tendere alla perfezione, all’essere santo come Dio è santo cioè nel seguire, nell’osservare la Torah e perciò tutta la sua conoscenza era avvenimento. Dopo l’esperienza sulla via di Damasco tutta la conoscenza consiste nel seguire Gesù in tutto quello che accade, nel lasciarsi assimilare a Lui e amare con il suo amore. E ciò non è avvenuto in seguito ad una propria riflessione, ma in seguito ad un evento forte, ad un incontro con il Risorto, un fatto, una esperienza immediata di Gesù risorto ricevendo rivelazione e missione di apostolo. Il testo più chiaro su questo punto si trova nel suo racconto su ciò che costituisce il centro della storia della salvezza ieri e oggi: la morte e la risurrezione di Gesù e le apparizioni avvenute nella storia ai testimoni e non certo creatori (1 Cor 15).Con parole attinte dalla tradizione antichissima e quindi ortodosse, che anch’egli ha ricevuto dalla Chiesa Madre di Gerusalemme, dice fedele anche al fatto dell’incontro con il Risorto, che Gesù morto crocifisso, sepolto, risorto apparve, dopo la risurrezione, prima a Cefa, cioè a Pietro, poi ai Dodici, poi a cinquecento fratelli che in gran parte in quel tempo vivevano ancora, poi a Giacomo, poi a tutti gli Apostoli. E a questo racconto ortodosso ricevuto dalla tradizione aggiunge, fedele all’esperienza da lui fatta personalmente, “ultimo fra tutti apparve anche a me” (1 Cor 15,8). E così fa capire che questo è il fondamento del suo apostolato e della sua nuova vita. Ma il testo che esprime continuità della sua conoscenza come avvenimento fino alle origini, a Dio Creatore e Signore attraverso la Legge, e novità con l’esperienza del Risorto si legge in Gal 1,15-17: “Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo a i pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco”. In questa “autoapologia o automanifestazione” sottolinea decisamente che anche lui è vero testimone non creatore del Risorto, ha una propria missione ricevuta immediatamente dal Risorto. Il Risorto ha parlato a Paolo, lo ha chiamato all’apostolato, ha fatto di lui un vero apostolo, testimone della risurrezione, con l’incarico specifico di annunciare il vangelo ai pagani, al mondo greco-romano. Ma con la fedeltà all’immediatezza del suo rapporto con il Risorto egli sente la necessità di una verifica e di entrare nella comunione della Chiesa, deve farsi battezzare, deve vivere in sintonia con gli altri apostoli. Solo in questa comunione con tutti egli potrà essere un vero apostolo: “Sia io che loro così predichiamo e così avete creduto” (1 Cor 15,11). C’è un solo annuncio del Risorto, il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio e fino alla fine dei tempi, perché Cristo è uno solo, tutto in tutti e in tutto.

Perché Paolo non interpreta mai questa esperienza originaria come un fatto di conversione, pur essendola?
Di fronte a tante ipotesi Benedetto XVI ne preferisce una. Questa svolta della sua vita, questa trasformazione del suo essere non fu un frutto di un processo psicologico, di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall’esterno: non fu il frutto del suo pensiero, ma dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo “io”, ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì a una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto. In nessun altro modo si può spiegare questo rinnovamento di Paolo. Tutte le analisi psicologiche non possono chiarire e risolvere il problema. Solo l’avvenimento, l’incontro forte con Cristo, è la chiave per capire che cosa era successo: morte e risurrezione, una mutazione mai “accaduta”, l’ingresso in una vita profondamente nuova per Gesù di Nazaret e con Lui anche per Paolo, per tutta la famiglia umana,per la storia, per l’intero universo, quindi rinnovamento che ha cambiato tutti i suoi parametri di una conoscenza già tutta avvenimento fino alle origini del Creatore. Adesso può dire che ciò che prima era per lui essenziale e fondamentale come tutto, è diventato per lui “spazzatura”; non è più “guadagno” del suo impegno, ma perdita, perché ormai conta solo la vita in Cristo, il lasciarsi assimilare a Lui, amare con il suo amore. Non è stata inutile tutta la sua conoscenza precedente come avvenimento fino alle origini divine da ebreo, perché il Cristo Risorto non ha abolito uno iota della legge ma è la luce della verità, la luce di Dio stesso che fa appello all’intelligenza svelando non solo la verità dell’essere di ogni io umano, del suo destino ma la via per raggiungerlo. E la via umana di Cristo alla Verità e alla Vita ha allargato il suo cuore, lo ha reso aperto a tutti e non solo al popolo di Israele. Con questa esperienza del Risorto, con questo fatto accaduto nella sua vita non ha perso quanto c’era di bene e di vero nella sua vita precedente, nella sua eredità, ma ha capito in modo nuovo la saggezza, la verità, la profondità della legge e dei profeti, se n’è appropriato in modo nuovo. Nello stesso tempo, la sua ragione si è aperta anche alla ragione - esperienza dei pagani nella loro conoscenza come avvenimento di ricerca delle origini di tutto ciò che viene all’esistenza; essendosi aperto a Cristo con tutto il cuore, con tutta l’affezione, è divenuto capace di un dialogo ampio con tutti e con tutto, è soprattutto divenuto capace di farsi tutto a tutti. Solo così poteva essere realmente l’apostolo dei pagani.

Ma tutta questa memoria del percorso cristiano di Paolo cosa dice a noi oggi?
Anche per noi l’esser cristiani non è una nuova filosofia o una nuova morale. Cristiani siamo solo se incontriamo Cristo nella lettura e nell’interpretazione ecclesiale della Sacra Scrittura, nella fede celebrata nella liturgia e pregata per viverla nei fatti, in vissuti fraterni di comunione, tenendo presente che la morale cristiana è tensione cioè un tentare e ritentare con fiducia e speranza abbracciati da Lui mentre la coerenza, il riuscire, il compimento è sempre un dono di Lui: Lui solo porterà a compimento. Possiamo anche noi, come Giovanni e come Paolo, toccare il cuore di Cristo e tutta la ricchezza della verità e dell’amore, perché Lui risorto è contemporaneo a noi nei fatti come lo era per Paolo. Quindi la preghiera perché ci doni nei fatti del nostro mondo, nella nostra vita, nel nostro vissuto ecclesiale di comunione l’incontro continuo con la sua presenza: e così ci dia una fede vivace, un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare questo mondo nel quale viviamo e che è diverso da quello di Paolo religioso fin dal seno materno, dalla famiglia, dalla formazione al tempio di Gerusalemme per cui Dio era tutto in tutti e in tutto. Oggi culturalmente domina una irreligiosità che inizia senza che nessuno se ne accorga, anche per la drammatica frattura non solo tra cultura e Vangelo ma fra ragione ed esperienza storica. C’è un distacco da Dio come origine e futuro della vita, non c’entra con il vissuto spesso anche in chi prega con le lodi e la messa quotidiana. E questo avviene senza accorgersene negli adulti e diventa emergenza educativa nei giovani. Addirittura questo distacco della ragione dall’esperienza cioè dalla conoscenza come avvenimento che rimanda all’origine dei fatti cioè al senso religioso, alla destinazione di tutti e di tutto, è teorizzato come una ragione a-storica e una storia a-razionale, senza senso, dando il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità. Che dramma staccare Dio dalle creature che attraverso la conoscenza come avvenimento lo rivelano, come staccare la presenza del Risorto che si professa, si celebra, si prega dai fatti in cui si rende reale. Sono stati un miracolo al XXIX Meeting i fatti testimoniati: vedere lo splendore della verità cioè di Cristo nella via umana di tanti poveri di spirito! Non si tratta di proporre percorsi accademici per la conoscenza come avvenimento che porta alle origini dell’esperienza, dei fatti, ma come per il Gesù di Nazaret gli uccelli rimandavano al Padre, come per gli Apostoli che guardano Gesù e dicono da chi andremo, tu solo hai parole di vita veramente vita in una solitudine che inquieta, che spinge a cercare senza isolarsi mai. Nell’attuale emergenza educativa quanti possono essere insieme e sentirsi soli, abbandonati per il dualismo tra ragione ed esperienza senza conoscenza come avvenimento che rimanda all’origine e alla destino di tutti e di tutto. E spesso si è incapaci di educare anche cristiani per il dualismo non tanto morale ma di consapevolezza tra fede professata, celebrata, pregata e vissuto reale. Il Papa ha concluso affermando che anche oggi, come Paolo allora, nei fatti e nei volti possiamo toccare il cuore di Cristo che si fa contemporaneo e sentire che Egli tocca in continuità il nostro con una grande affezione.

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