Francesco e il dialogo
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«Dionigi Areopagita ebbe un grande influsso su tutta la teologia medioevale, su tutta la teologia mistica sia dell’Oriente sia dell’Occidente, fu quasi riscoperto nel tredicesimo secolo soprattutto da San Bonaventura, il grande teologo francescano che in questa teologia mistica trovò lo strumento concettuale per interpretare l’eredità così semplice e così profonda di San Francesco: il Poverello con Dionigi ci dice alla fine, che l’amore vede più che la ragione. Dov’è la luce dell’amore non hanno più accesso le tenebre della ragione; l’amore vede, l’amore è occhio e l’esperienza ci dà più che la riflessione. Che cosa sia questa esperienza Bonaventura lo vide in San Francesco: è l’esperienza di un cammino molto umile, molto realistico, giorno per giorno, è questo andare con Cristo, accettando la sua croce. In questa povertà e umiltà, nell’umiltà che si vive anche nella ecclesialità, c’è una esperienza di Dio che è più alta di quella che si raggiunge mediante la riflessione: in essa, tocchiamo realmente il cuore di Dio…
Si vede così che il dialogo non accetta la superficialità. Proprio quando uno entra nella profondità dell’incontro con Cristo si apre anche lo spazio vasto per il dialogo. Quando uno incontra la luce della verità, si accorge che è una luce per tutti; scompaiono le polemiche e diventa possibile capirsi l’un l’altro o almeno parlare l’uno all’altro, avvicinarsi. Il cammino del dialogo è proprio l’essere vicini in Cristo a Dio nella profondità dell’incontro con Lui, nell’esperienza della verità, la luce dell’amore… E in fin dei conti ci dice ci dice: prendete la strada dell’esperienza, dell’esperienza umile della fede, ogni giorno. Il cuore allora diventa grande e può vedere e illuminare anche la ragione perché veda la bellezza di Dio. Preghiamo il Signore perché ci aiuti anche oggi a mettere al servizio del Vangelo la saggezza dei nostri tempi, scoprendo di nuovo la bellezza della fede, l’incontro con Dio in Cristo» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 14 maggio 2008].
Mettere a servizio del Vangelo la saggezza dei nostri tempi, scoprendo di nuovo la bellezza della fede cioè l’incontro con Dio in Cristo
Partendo dalla constatazione che all’inizio del terzo millennio il cristianesimo si trova proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda per la sfiducia riguardo alla possibilità, per l’uomo, di conoscere la verità su Dio e sulle cose divine e per i dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche, sollevano a riguardo dei contenuti e delle origini del cristianesimo, Benedetto XVI vede nello pseudonimo Dionigi Areopagita una memoria feconda nella sua intenzione di mettere la saggezza greca a servizio del Vangelo e aiutare l’incontro tra la cultura e l’intelligenza greca e l’annuncio di Cristo nel suo tempo, segnato da acerrime polemiche. Benedetto XVI tra le due ipotesi dello pseudonimo Dionigi Areopagita cioè tra la teoria della falsificazione lui del VI secolo di dare alla sua produzione letteraria un’autorità apostolica del I secolo o quella di fare quanto il Dionigi, membro dell’Areopago, cioè il pensiero greco di incontrarsi con l’annuncio di san Paolo, preferisce la seconda cioè essendo greco del VI secolo, farsi discepolo di San Paolo del I secolo e così ecclesialmente discepolo di Cristo. Si tratta di non puntare a creare un monumento per se stesso con le sue opere, ma realmente servire il Vangelo creando una teologia ecclesiale, non individuale, una teologia che esprime un pensiero e un linguaggio comune. Era un tempo di acerrime polemiche dopo il Concilio di Calcedonia; lui invece, nella sua Settima Epistola, dice: “Non vorrei fare delle polemiche; parlo semplicemente della verità, cerco la verità”. E la luce della verità da se stessa fa cadere gli errori e fa splendere quanto è buono. E con questo principio puntò a purificare il pensiero greco che nei libri di un certo Proclo, morto nel 485 ad Atene, con la filosofia di Platone aveva creato una grande apologia del politeismo greco per dissolvere il successo del cristianesimo. Era un grande sistema cosmico di divinità, di forze misteriose, quello che mostrava Proclo, per il quale in questo cosmo deificato l’uomo poteva trovare l’accesso alla divinità. E distingueva le strade per i semplici, i quali non erano in grado di elevarsi ai vertici della verità – per loro certi riti potevano anche essere sufficienti – e le strade per i saggi, che invece dovevano purificarsi per arrivare alla pura luce. Si tratta di un pensiero religioso classista tra mito e filosofia, come in tutto il paganesimo, diversamente dal cristianesimo in cui non vive un sistema a due classi, ma popolare dal momento che Cristo ha rivendicato per i semplici la facoltà di essere, nel vero senso della parola “filosofi” e di comprendere ciò che è proprio e peculiare dei dotti, anzi meglio.
Il pensiero di Proclo è profondamente anticristiano. E’ una reazione tarda contro la vittoria del cristianesimo che con una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti aveva reso possibile la prima grande espansione missionaria nel mondo ellenistico – romano. Si tratta del primo uso anticristiano di Platone, mentre era già in corso un uso cristiano del grande filosofo. Lo Pseudo – Dionigi ha osato servirsi proprio di questo pensiero anticristiano per mostrare la verità salvifica di Cristo alla ragione del suo tempo, trasformando questo universo politeistico in un cosmo creato da Dio, nell’armonia del cosmo di Dio dove tutte le forze sono lode di Dio, e mostrare questa grande armonia, questa sinfonia del cosmo che va dai serafini, agli angeli e arcangeli, all’uomo e a tutte le creature che insieme riflettono la bellezza di Dio e sono lode a Dio. Trasformava così l’immagine politeista in un elegia del Creatore e della sua creatura. Tutta la creazione parla di Dio ed è un elogio di Dio. Essendo ogni creatura una lode a Dio, la teologia dello Pseudo – Dionigi diventa una teologia liturgica: Dio si trova soprattutto lodandolo, non solo riflettendo; e la liturgia, non è qualcosa di costruito, creato da noi, qualcosa di inventato come signori della liturgia per offrire un’esperienza religiosa durante un certo periodo di tempo; essa è il cantare continuo, ininterrotto con il coro delle creature e l’entrare nella realtà cosmica stessa del Creatore come Redentore. E proprio così la liturgia, apparentemente solo ecclesiastica, diventa larga e grande, diventa unione ininterrotta, continua con il linguaggio di tutte le creature. Lo Pseudo – Dionigi afferma: non si può parlare di Dio solo in modo astratto come l’Assoluto, come fanno i filosofi. Il Dio della fede cristiana è sì l’Essere tutto in Atto dei saggi purificati alla pura luce ma anche quello dei semplici bisognosi di salvezza proprio delle religioni pagane. Parlare di Dio è sempre – egli dice con parola greca – un “hymein”, un cantare per Dio con il grande canto delle creature, che si riflette e concretizza nella lode liturgica. Benedetto XVI osserva che pur essendo la sua teologia cosmica, ecclesiale e liturgica, essa è anche personale, creando la prima grande teologia mistica. Anzi la parola “mistica” acquisisce con lui un nuovo significato. Fino a quel tempo per i cristiani tale parola era equivalente alla parola “sacramentale”, cioè quanto appartiene al divino tramite la via umana di “mysterion” cioè al sacramento. Con lui la parola “mistica” diventa più personale, più intima: essendosi Dio con l’incarnazione unito in qualche modo con ogni uomo e quindi più intimo a noi che noi a noi stessi, esprime il cammino di ogni anima verso Dio.
La strada verso Dio è Dio stesso, il Quale si fa vicino a noi in Gesù Cristo
Con “l’io sono” che Gesù applica a se stesso nel Vangelo di Giovanni l’unico Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento è lo stesso ricercato dai filosofi, da Platone. Ma questo Dio supera radicalmente ciò che i filosofi erano giunti ad argomentare di Lui. Dio, come afferma Platone, è nettamente distinto dalla natura, dal mondo, che egli ha liberamente creato come la Bibbia annuncia: solo così la “fisica” e la “metafisica” giungono a una chiara distinzione l’una dall’altra. Ma questo Dio non è una realtà a noi inaccessibile, che noi non possiamo incontrare e a cui sarebbe inutile rivolgersi nella preghiera come ritenevano i filosofi. Al contrario il Dio biblico ama ogni uomo e per questo entra nella nostra storia, dà vita ad una autentica storia di amore con Israele, suo popolo e luce delle genti, e poi in Gesù Cristo, non solo dilata questa storia di amore e di salvezza all’intera umanità ma nella Croce di suo Figlio si lascia uccidere per rialzare l’uomo e salvarlo e risorto lo chiama a quell’unione di amore con Lui che culmina nell’Eucaristia.
Così la fede biblica riconcilia tra loro quelle due dimensioni della religione che prima erano criticamente separate una dall’altra, cioè il Dio eterno dei filosofi e il bisogno di salvezza che ogni uomo porta dentro di sé e che le religioni politeiste tentavano in qualche modo di soddisfare.
Apparentemente quanto dice Platone e quanto dice la grande filosofia su Dio è molto più alto, è molto più vero; la Bibbia appare abbastanza “barbara”, semplice, precritica si direbbe oggi, osserva Benedetto XVI; ma lui osserva che proprio questo è necessario, perché così possiamo capire che i più alti concetti su Dio non arrivano mai fino alla sua vera grandezza; sono impropri, formali. Queste immagini ci fanno capire, in realtà, che il concetto di Dio è sopra tutti i concetti. Il volto reale di Dio è la nostra incapacità di esprimere realmente che cosa Egli è. Così si parla – è lo stesso Pseudo – Dionigi a farlo – di una “teologia negativa”. A livello concettuale è più facile dire che cosa Dio non è, che non esprimere che cosa Egli è veramente. Solo tramite le immagini bibliche possiamo indovinare il suo vero volto, rivelatosi pienamente nella via umana concreta di Gesù Cristo. E benché Dionigi ci mostri, seguendo in questo Proclo, l’armonia dei cori celesti, resta vero che il nostro cammino verso Dio resta molto lontano da Lui; lo Pseudo – Dionigi dimostra che alla fine la strada verso Dio è Dio stesso, il Quale si fa vicino a noi in Gesù Cristo. Rifacendosi allo Pseudo – Dionigi, con una intuizione veramente formidabile, San Bonaventura arriva perfino ad affermare che il Verbo incarnato, il Risorto nei Sacramenti “rappresenta tutta la nostra metafisica”.
Nell’incontro con Cristo si apre anche lo spazio vasto per il dialogo
Per Benedetto XVI oggi esiste una nuova attualità di Dionigi Areopagita: egli appare come un grande mediatore nel dialogo moderno tra il cristianesimo e le teologie mistiche dell’Asia, la cui nota caratteristica sta nella convinzione che concettualmente non si può dire chi sia Dio; di Lui si può parlare solo in forme negative; di Dio si può parlare solo con il “non”, e solo entrando in questa esperienza del “non” Lo si raggiunge. E qui si vede una vicinanza tra il pensiero dell’Areopagita e quello delle religioni asiatiche: egli può essere oggi un mediatore come lo fu tra lo spirito greco e il Vangelo. Si vede così che il dialogo non accetta superficialità. Proprio quando uno entra nella profondità dell’incontro con Cristo cioè con quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme si apre anche lo spazio vasto per il dialogo. Quando uno incontra la luce della verità si accorge che è una luce per tutti; scompaiono le polemiche e diventa possibile capirsi l’un l’altro o almeno parlare l’uno con l’altro, avvicinarsi. Il cammino del dialogo è proprio l’essere vicini in Cristo a Dio nella profondità dell’incontro con Lui, nell’esperienza della verità che ci apre alla luce e ci aiuta ad andare con gli altri: la luce della verità, la luce dell’amore.