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Dio è morto?

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Se guardiamo la storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti… ma la vigna, la Chiesa non sarà distrutta!

«L’immagine della vigna, insieme a quella delle nozze, descrive dunque il progetto divino della salvezza, e si pone come una commovente allegoria dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Nel Vangelo, Gesù riprende il cantico di Isaia, ma lo adatta ai suoi ascoltatori e alla nuova ora della storia della salvezza. L’accento non è tanto sulla vigna quanto piuttosto sui vignaioli, ai quali i “servi” del padrone chiedono, a suo nome, il canone di affitto. I servi però vengono maltrattati e persino uccisi. Come non pensare alle vicende del popolo eletto e alla sorte riservata ai profeti inviati da Dio? Alla fine, il proprietario della vigna compie l’ultimo tentativo: manda il proprio figlio, convinto che ascolteranno almeno lui. Accade invece il contrario: i vignaioli lo uccidono proprio perché è il figlio, cioè l’erede, convinti di potersi così impossessare facilmente della vigna. Assistiamo pertanto ad un salto di qualità rispetto all’accusa di violazione della giustizia sociale, quale emerge dal cantico di Isaia. Qui vediamo chiaramente come il disprezzo per l’ordine impartito dal padrone si trasformi in disprezzo verso di lui: non è la semplice disubbidienza ad un precetto divino, è il vero e proprio rigetto di Dio: appare il mistero della Croce.
Quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo di pensare e di agire. Non parla solo dell’“ora” di Cristo, del mistero della Croce in quel momento, ma della presenza della Croce in tutti i tempi. Interpella, in modo speciale, i popoli che hanno ricevuto l’annuncio del Vangelo. Se guardiamo la storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di ciò, Dio, pur non venendo meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E’ spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia. Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca? Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna. Vi è chi, avendo deciso che “Dio è morto”, dichiara “dio” se stesso, ritenendosi l’unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo. Sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l’uomo crede di poter fare ciò che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire. Ma quando l’uomo elimina Dio dal proprio orizzonte, dichiara Dio “morto”, è veramente più felice? Diventa veramente più libero? Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una società dove regnino la libertà, la giustizia e la pace? Non avviene piuttosto – come la cronaca quotidiana dimostra ampiamente – che si estendano l’arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l’ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione? Il punto d’arrivo, alla fine, è che l’uomo si ritrova più solo e la società più divisa e confusa.
Ma nelle parole di Gesù vi è una promessa (divina e quindi infallibile): la vigna non sarà distrutta! Mentre abbandona al loro destino i vignaioli infedeli, il padrone non si distacca dalla sua vigna e l’affida ad altri suoi servi fedeli. Questo indica che, se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi, vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla» [Benedetto XVI, Apertura XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 5 ottobre 2008].

Perdendo la propria identità e dichiarando se stesso “dio”, l’uomo “si ritrova più solo” e rischia di incorrere nel castigo di Dio
Con la santa Messa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, ha preso inizio la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà in Vaticano nell’arco di tre settimane ed affronterà il tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Attraverso la fase preparatoria da parte di tutte le Chiese particolari di tutto il mondo, che hanno inviato i loro contributi alla Segreteria del Sinodo, è stato elaborato l’Instrumentum laboris, il documento su cui si confronteranno 253 Padri sinodali.
Il Sinodo è una particolare assemblea di Vescovi, scelti in modo da rappresentare tutto l’episcopato e convocati per apportare al Successore di Pietro un aiuto più efficace, manifestando e consolidando al tempo stesso la comunione ecclesiale. Si tratta di un organismo importante, istituito nel settembre del 1965 dal servo di Dio Paolo VI, durante l’ultima fase del Concilio Vaticano II per:
- favorire una stretta unione e collaborazione tra il Papa e i Vescovi di tutto il mondo;
- fornire informazioni dirette ed esatte circa la situazione e i problemi della Chiesa;
- favorire l’accordo sulla dottrina e sull’azione pastorale;
- affrontare tematiche di grande importanza ed attualità.
E drammaticamente, pur nell’orizzonte di fede nella promessa di Gesù che la vigna, la Chiesa, il popolo di Dio non saranno distrutti, il santo Padre dice che siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti.
Il Sinodo, soprattutto in questo momento veramente drammatico che esperimenta oggi il Popolo di Dio con tutta l’umanità nella storia della salvezza, è la possibilità, il dono dello Spirito di fronte a tute le difficoltà di “fare strada insieme” e sentirsi interpellati, in modo speciale, da parte di popoli che hanno ricevuto l’annuncio del Vangelo, oggi freddi, ribelli, incoerenti. “Se guardiamo la storia… Dio, pur non venendo meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere a castighi. E’ spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia”. Il riferimento più immediato è alle comunità cristiane del nord Africa e del Medio Oriente, per lo più inghiottite dall’islamizzazione. “Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca?”. Sembra fuori luogo parlare di Dio che deve spesso ricorrere a castigo perché volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto lo vediamo misericordia, grazia. Ma giustizia e grazia devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore. La grazia non esclude la giustizia, il castigo medicinale nel tempo, per sempre nell’eternità in persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio di verità e la disponibilità all’amore, arrivando alla situazione infernale di chi non ha più niente di rimediabile per cui la distruzione del bene in se stesse sarebbe irrevocabile. La misericordia, la grazia non cambia il torto in diritto, non è la spugna che cancella tutto così che tutto finisca nel tempo e nell’eternità per avere sempre lo stesso valore. La minaccia che preoccupa il Papa e il cui giudizio lo mette davanti a tutti i Padri sinodali, quindi alle Chiese particolari di tutto il mondo, in particolare a quelle secolarizzate, non è solo il rinnovarsi di persecuzioni e invasioni, quanto l’auto demolizione interna di chi si contrappone, per esempio, a Paolo VI, a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI circa la morale sessuale e matrimoniale. “Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni – spiega Benedetto XVI – ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna. Vi è chi, avendo deciso che “Dio è morto”, dichiara “dio” se stesso, ritenendosi l’unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo”. Il pericolo del mondo occidentale che punta con il suo relativismo a omologare il mondo intero è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità ritenendo che eliminando Dio dal proprio orizzonte ed egemonicamente da tutto il mondo possa diventare più felice e libero. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo anche per il problema ecologico. “Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una società dove regnino la libertà, la giustizia e la pace? Non avviene piuttosto – come la cronaca quotidiana dimostra ampiamente – che si estendano l’arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l’ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione? Il punto di arrivo, alla fine, è che l’uomo si ritrova più solo e la società più divisa e confusa”.

Ma la vigna, la Chiesa non sarà mai distrutta, ma affidata a vignaioli fedeli: il Vangelo è la certezza che il male e la morte non hanno l’ultima parola, ma a vincere alla fine è Cristo. Sempre!
Mentre abbandona al loro destino i vignaioli cocciutamente infedeli fino al momento terminale, Dio non si distacca dal suo popolo, dalla sua vigna, dalla sua Chiesa, dal suo corpo sacramentale e l’affida ad altri suoi servi fedeli. Questo indica che, se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi, vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla. Proprio per questo Gesù, mentre cita il Salmo 117 (118): “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo” (v. 22), assicura che la sua morte non sarà la sconfitta di Dio. Ucciso, Egli non resterà nella tomba, anzi, proprio quella che sembrerà essere una totale disfatta nella lotta tra Dio e Satana, tra i due regni, segnerà l’inizio di una definitiva vittoria. La vigna continuerà allora a produrre uva e sarà data in affitto dal padrone “ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo” (Mt 21,41).
L’immagine della vigna, con le sue implicazioni morali, dottrinali e spirituali, ritornerà nel discorso dell’Ultima Cena, quando, congedandosi dagli Apostoli, il Signore dirà: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto” (Gv 15,1-2). E’ questo il senso di Dio costretto spesso a ricorrere al castigo: potare perché porti più frutto. A partire dall’evento pasquale la storia della salvezza conoscerà dunque una svolta decisiva, e ne saranno protagonisti “altri contadini” che, innestati come scelti germogli in Cristo, vera vita di cui il Padre è l’agricoltore nello Spirito del Risorto, porteranno frutti abbondanti di vita eterna, non in un futuro che non arriva mai ma già là dove Egli è amato e dove il suo amore è accolto. Tra questi “contadini” ci siamo anche noi, innestati in Cristo, che volle divenire Egli stesso nel suo corpo che è la Chiesa la “vera vite”. Occorre, nella fede proclamata e celebrata, pregare che il Signore ci dia il suo sangue, Se stesso, nell’Eucaristia, ci aiuti, nella fede vissuta, a “portare frutto” per la vita eterna cioè nell’amore per questo nostro tempo.
Il consolante messaggio che ci viene dalla viva Parola di Dio attraverso questi testi biblici è la certezza che il male e la morte non hanno l’ultima parola, ma vincere alla fine è Cristo. Sempre!

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