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Dio ha tempo per noi!

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it

«La Chiesa ha “una buona notizia” da portare: Dio ci dona il suo tempo. Noi abbiamo sempre poco tempo; specialmente per il Signore non sappiamo o, talvolta, non vogliamo trovarlo. Ebbene, Dio ha tempo per noi! Questa è la prima cosa che l’inizio di un anno liturgico ci fa riscoprire con meraviglia sempre nuova. Sì: Dio ci dona il suo tempo, perché è entrato nella storia con la parola e le sue opere di salvezza, per aprirla all’eterno, per farla diventare storia di alleanza. In questa prospettiva, il tempo è già in se stesso un segno fondamentale dell’amore di Dio: un dono che l’uomo, come ogni altra cosa, è in grado di valorizzare e, al contrario, di sciupare; di cogliere nel suo significato, o di trascurare con ottusa superficialità.
Tre poi sono i grandi “cardini” del tempo, che scandiscono la storia della salvezza: all’inizio la creazione, al centro l’incarnazione – redenzione e al termine la “parusia”, la venuta finale che comprende anche il giudizio universale. Questi tre momenti però non sono da intendersi semplicemente in successione cronologica. Infatti, la creazione è sì all’origine di tutto, ma è anche continua e si attua lungo l’intero arco del divenire cosmico, fino alla fine dei tempi. Così pure l’incarnazione – redenzione, se è avvenuta in un determinato momento storico, il periodo del passaggio di Gesù sulla terra, tuttavia estende il suo raggio d’azione a tutto il tempo precedente e a tutto quello seguente. E a loro volta l’ultima venuta e il giudizio finale, che proprio nella Croce di Cristo hanno un decisivo anticipo, esercitano il loro influsso sulla condotta degli uomini di ogni epoca» [Benedetto XVI, Angelus, 30 novembre 2008].

Il numero 12 della Costituzione sulla Divina Rivelazione del Concilio Vaticano II aveva già messo in risalto l’unità dei tre grandi “cardini” del tempo, che scandiscono la storia della salvezza e quindi chi vuole comprendere la Scrittura nello spirito in cui è stata scritta cioè come Parola di Dio, come continuo intervento di Dio all’origine della storia, deve badare al contenuto e all’unità dell’intera Scrittura in connubio con la divina tradizione di tutta la Chiesa, cioè alla globalità degli interventi di Dio nella storia, globalità che sol mi dà la verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza sul chi sono? Da dove vengo e dove vado? Perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita? I tre momenti cioè all’inizio la creazione, al centro l’incarnazione-redenzione di Cristo chiave del tutto, al termine la “parusia”, non sono da intendersi semplicemente in successione cronologica perché la creazione è sì all’origine di tutto ma è anche continua e si attua lungo l’intero arco del divenire storico, fino alla fine dei tempi; così pure l’incarnazione-redenzione, se è avvenuta in un determinato momento storico, il periodo del passaggio di Gesù nella fase terrena sulla terra, tuttavia Risorto estende il suo raggio d’azione a tutto il tempo precedente e a tutto quello seguente; l’ultima venuta e il giudizio finale, che proprio nella Croce di Cristo hanno un decisivo anticipo, esercitano il loro influsso sulla condotta non solo degli uomini di ogni epoca ma di tutti gli esseri creati intelligenti e liberi.
Soffermiamoci sull’unità della Scrittura. L’esegesi moderna ha mostrato come le parole trasmesse nella Bibbia cioè Dio che ha tempo per noi divengono Scrittura, Dio che parla, attraverso un processo di sempre nuove riletture: i testi antichi, in una situazione nuova, vengono ripresi, compresi e letti in modo nuovo. Nella rilettura, nella lettura progrediente, mediante correzioni, approfondimenti e ampliamenti taciti, la formazione della Scrittura si configura come un processo della parola che a poco a poco dischiude le sue potenzialità interiori, che in qualche modo erano presenti come semi, ma si aprono solo di fronte alla sfida di nuove situazioni, nuove esperienze, nuove sofferenze che rimandano a Dio che ci dona il suo tempo. Chi osserva questo processo – certamente non lineare, spesso drammatico perché il tempo è un dono dell’amore di Dio che l’uomo è in grado di valorizzare o, al contrario, di sciupare; di cogliere nel suo significato, o di trascurare con ottusa superficialità – a partire da Gesù Cristo cioè dalla fase terrena dell’incarnazione-redenzione può riconoscere che nell’insieme c’è una direzione, che l’Antico e il Nuovo Testamento sono intimamente collegati tra loro, c’è un’intima unità della Scrittura. L’interpretazione storico-critica permette di individuare con precisione il senso originario delle parole, quali erano intese nel loro luogo e nel loro tempo. Ma ogni parola umana reca in sé una rilevanza superiore alla immediata consapevolezza che può averne avuto l’autore al momento. Questo intrinseco valore aggiunto della parola, che trascende il momento storico, vale ancora di più per le parole che sono maturate nel processo della storia della fede. Lì l’autore non parla semplicemente da sé e per sé. Parla a partire dalla storia comune che lo sostiene e nella quale sono già silenziosamente presenti le possibilità del suo futuro, del suo ulteriore cammino. L’autore ispirato non parla da privato, ma in una comunità viva nella quale Dio ha tempo per intervenire e quindi in un movimento storico che non è fatto da lui e neppure dalla collettività, ma nel quale è all’opera una superiore forza guida. La Scrittura è cresciuta nel e dal soggetto vivo del popolo di Dio in cammino e vive in esso. Questo popolo non è autosufficiente, ma sa di essere condotto e interpellato da Dio che, nel profondo, ha tempo per gli uomini e per la loro umanità.
Per la Scrittura il rapporto con il soggetto “popolo di Dio” nei tre “cardini” del tempo è vitale. Da una parte, questo libro – la Scrittura – è il criterio che viene da Dio e la forza che indica la strada al popolo, ma, dall’altra parte, la Scrittura vive solo in questo popolo, che nella Scrittura trascende se stesso e così – nella profondità definitiva in virtù della Parola fatta carne, Dio che possiede un volto umano e che ci ama fino alla fine cioè fino alla Croce: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme – diventa appunto popolo di Dio. Il popolo di Dio – la Chiesa – è il soggetto vivo della Scrittura; in esso le parole della Bibbia sono sempre presenza di Dio che crea, che possiede un volto umano e redime, che alla fine della storia ritorna e giudica. Naturalmente, però, si richiede che l’uomo valorizzi e non sciupi, colga il significato e non trascuri con ottusa superficialità.

Il tempo liturgico dell’Avvento
Sono quattro settimane con cui inizia un nuovo anno liturgico e che immediatamente ci prepara alla festa di Natale, memoria dell’incarnazione di Cristo nella storia. Ma il messaggio spirituale della fede celebrata in Avvento è più profondo e ci proietta già verso il terzo cardine del tempo cioè il ritorno glorioso del Signore, alla fine della nostra storia. Adventus è la parola latina, che potrebbe tradursi con ‘arrivo’, ‘venuta ’, ‘presenza’. Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico che indicava l’arrivo di un funzionario, in particolare la visita di re e di imperatori nelle province, ma poteva essere utilizzato anche per l’apparire di una divinità, che usciva dalla sua nascosta dimora e manifestava così la sua potenza divina: la presenza veniva solennemente celebrata nel culto. Adottando questo termine Avvento i cristiani intesero esprimere la speciale relazione che li univa a Cristo crocifisso e risorto. Egli è il Re, che, entrato in questa povera provincia denominata terra, ci ha fatto dono della sua visita e, dopo la sua risurrezione ed ascensione al Cielo, ha voluto comunque rimanere con noi: percepiamo questa sua misteriosa presenza nell’assemblea liturgica. Celebrando l’Eucaristia, proclamiamo infatti che Egli non si ritirato dal mondo e non ci ha lasciati soli, e se pure non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà materiali e sensibili, Egli è comunque con noi e tra noi; anzi è in noi, perché può attrarre a sé e comunicare la propria vita ed ogni credente che gli apre il cuore. Avvento significa dunque far memoria del secondo cardine centrale, dopo la creazione, della storia, cioè la prima venuta del Signore nella carne, pensando già al terzo cardine finale cioè al suo definitivo ritorno e, al tempo stesso, significa riconoscere che Cristo presente tra noi si fa nostro compagno di viaggio nella vita della Chiesa che ne celebra il mistero. Questa consapevolezza, alimentata dall’ascolto della Parola di Dio cioè di Dio che ha tempo di parlare a noi – ha ricordato il Papa nell’Omelia alla Basilica di san Lorenzo fuori le mura il 30 novembre 2008 – “dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi, ad interpretare i singoli eventi della vita e della storia come parole che Iddio ci rivolge, come segni del suo amore che ci assicurano la sua vicinanza in ogni situazione; questa consapevolezza, in particolare, dovrebbe prepararci ad accoglierlo quando “di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine”, come ripeteremo nel Credo. In questa prospettiva l’Avvento diviene per tutti i cristiani un tempo di attesa e di speranza, un tempo privilegiato di ascolto e di riflessione, purché ci si lasci guidare dalla liturgia che invita ad andare in contro al Signore che viene. Vieni, Signore Gesù”: tale ardente invocazione della comunità cristiana degli inizi deve diventare, cari amici, anche nostra costante aspirazione, l’aspirazione della Chiesa di ogni epoca, che anela e si prepara all’incontro con il suo Signore”.

Il tempo è già in se stesso un segno fondamentale dell’amore di Dio: sciuparlo? Non cogliere il suo significato? Trascurarlo con ottusa superficialità?
Benedetto XVI, ricevendo le comunità dei Pontifici seminari regionali marchigiano, pugliese e abruzzese-molisano, ha notato che nell’attuale contesto, una certa cultura pare mostrarci il volto di una umanità autosufficiente, desiderosa di realizzare i propri progetti da sola, che sceglie di essere unica artefice dei propri destini, e che di conseguenza, manca il tempo per Dio, ritiene ininfluente che Dio abbia tempo per noi e perciò esclude la sua presenza ritenendola ininfluente nelle sue scelte e decisioni. In un clima segnato talora da un razionalismo chiuso in sé stesso, che considera l’empiricamente verificabile delle scienze pratiche l’unico modello di conoscenza per cui il resto diventa tutto soggettivo, relativo e di conseguenza anche l’esperienza religiosa rischia di essere vista come una scelta soggettiva, non essenziale e determinante per la vita. Certamente oggi è diventato sicuramente più difficile credere nei tre “cardini” del tempo che scandiscono la storia (creazione, incarnazione – redenzione, venuta finale e giudizio universale), sempre più difficile accogliere la Verità che è Cristo, sempre più difficile spendere la propria esistenza per la causa del Vangelo.
E tuttavia, come la cronaca quotidianamente registra, l’uomo contemporaneo appare spesso smarrito e preoccupato per il suo futuro, in cerca di certezze e desideroso di punti di riferimento sicuri. Ogni uomo del terzo millennio, come del resto in ogni epoca, non può non rispondere alle domande di fondo che caratterizzano la sua esistenza, il senso della vita e quindi ha bisogno di Dio, di sapere che Dio ha tempo per lui e lo cerca talora anche senza rendersene conto. Siccome la fede si rafforza donandola raccogliere questo anelito profondo del cuore umano e offrire a tutti, con mezzi e modi rispondenti alle esigenze dei tempi, l’immutabile e perciò sempre viva e attuale Parola di Dio che ha tempo per noi, della presenza di Dio dal volto umano nella sua Chiesa, unica speranza del mondo è per cristiani e sacerdoti un’avventura affascinante, oggi più di ieri, nella quale merita spendersi per il proprio bene e per il bene di tutti.

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