Quel Bambino si chiama Jehoshua
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“E’ apparsa a tutti gli uomini la grazia di Dio nostro Salvatore”!

«E’ apparsa! Questo è ciò che la Chiesa oggi (crede), celebra, (vive, prega). La grazia di Dio, ricca di bontà e di tenerezza, non è più nascosta, ma “è apparsa”, si è manifestata nella carne, ha mostrato il suo volto. Dove? A Betlemme. Quando? Sotto Cesare Augusto, durante il primo censimento, al quale fa cenno anche l’evangelista Luca. E chi il rivelatore? Un neonato, il Figlio della Vergine Maria. In Lui è apparsa la grazia di Dio Salvatore nostro. Per questo quel Bambino si chiama Jehoshua, Gesù, che significa “Dio salva”, (l’incontro con Lui, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi, giusti, immacolati, in grazia di Dio, figli nel Figlio)».
La grazia di Dio è apparsa definitivamente e niente di male e nessuno, pur con la cattiveria più grande, può oscurarla: ecco perché il Natale è festa della luce. Certo non una luce totale, come quella che avvolge ogni cosa in pieno giorno, ma un chiarore che si accende nella notte e si diffonde a partire da un punto preciso dell’universo, “sempre – come è il piano di Dio – i pochi per i molti, per la moltitudine”: dalla grotta di Betlemme, dove il divino Bambino è “venuto alla luce”, unendosi in qualche modo con ogni uomo, con tutta la famiglia umana, con l’universo, attraverso la via umana alla Verità e alla Vita che continua anche oggi nel suo corpo, nell’organismo della Chiesa. In realtà, è Lui la luce stessa che si propaga, come ben raffigurano tanti dipinti della natività. Storicamente Lui solo è la luce, che apparendo rompe la caligine, dissipa le tenebre e ci permette di capire il senso ed il valore della nostra esistenza e della storia, l’unica via verso il futuro. Ogni presepe ci sollecita a scorgere le luci sorte lungo la storia ed è un invito semplice ed eloquente ad aprire il cuore e la mente, il nostro io personale e comunitario, al mistero della vita, della vita che è “veramente vita”. E’ quindi un incontro con la Vita immortale, che si è fatta mortale nella mistica scena del Natale; una scena che ammiriamo in piazza san Pietro, come in innumerevoli chiese e cappelle del mondo intero, e in ogni casa dove è adorato il nome di Gesù: per chi crede non può fare a meno in privato e in pubblico del presepio perché è per tutti gli uomini, perché – come richiama l’Evangelii nuntiandi – la fede nell’incarnazione che rivela ad ogni uomo chi è deve essere proposta alla libera adesione di tutti, in tutti i popoli e le nazioni: “le moltitudini hanno il diritto di conoscere il Mistero di Cristo nel quale noi crediamo che tutta l’umanità può trovare in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità”.
Il sapere da dove veniamo e a che cosa siamo destinati, questa grazia di Dio che rende liberi nella ricerca della verità insita nella natura di ogni uomo, mentre l’ignoranza mantiene in una condizione di schiavitù, è apparsa a tutti gli uomini. Sì Gesù, il volto di Dio – che – salva, non si è manifestato solo per pochi, per alcuni che l’hanno accolto, ma per tutti. Storicamente è vero, nella umile e disadorna dimora di Betlemme lo hanno incontrato poche persone, ma Lui è venuto per tutti: giudei e pagani, ricchi e poveri, vicini e lontani, credenti e non credenti, che lo colgono e accolgono come Dio che possiede un volto umano come i cristiani (oggi due miliardi), come uno dei profeti come i musulmani (un miliardo e mezzo che con di due miliardi sono tre miliardi e mezzo dono più del 50% dell’attuale popolazione mondiale)…tutti. La grazia soprannaturale, come fu intesa già nella creazione per volere di Dio, è destinata ad ogni creatura. Occorre però che l’essere umano la colga e l’accolga, pronunci il suo “sì”, come Maria, affinché il cuore, l’io aperto originariamente alla realtà in tutti fattori o verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza, sia rischiarato da un raggio di quella luce divina che svela ad ogni uomo la verità del suo destino e la via per raggiungerlo. Ad accogliere il Verbo incarnato, in quella notte, furono Maria e Giuseppe che lo attendevano con amore ed i pastori, che vegliavano accanto alle greggi (Lc 2,1-20). Una piccola comunità, dunque, che accorse ad adorare Gesù Bambino; una piccola comunità di vissuti fraterni che rappresenta la Chiesa e tutti gli uomini di buona volontà che Dio ama. Anche oggi coloro che nella vita Lo attendono e Lo cercano incontrano Dio che per amore si è fatto nostro fratello; quanti hanno il cuore proteso verso di Lui desiderano conoscere il suo volto e contribuire all’avvento del suo Regno che non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è già presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi, per ogni io umano garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo, ogni io inquieto aspetta finché non lo incontra: la vita “veramente vita”. Gesù stesso lo dirà, nella sua predicazione: sono soprattutto i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia (Mt 5,3-10). Questi sono nella circostanza migliore per riconoscere in Gesù il volto di Dio e ripartono, come i pastori di Betlemme, rinnovati nel cuore dalla gioia del suo amore.
A tutti gli uomini è destinato l’annuncio della speranza che costituisce il cuore del messaggio di Natale e noi, secondo il comandamento dell’apostolo ( 1 Pt 3,15) dobbiamo renderne conto a coloro che lo richiedono. Per tutti è nato Gesù e, come a Betlemme Maria lo offrì ai pastori, in questo giorno la Chiesa lo presenta, come ha sempre fatto, all’intera umanità, perché ogni persona e ogni umana situazione possa esperimentare la potenza della grazia salvatrice di Dio,che sola può trasformare il male in bene, che sola può cambiare il cuore di ogni uomo e renderlo un’”oasi di pace”.
Ci sono popolazioni che in modo particolare vivono nelle tenebre e nell’ombra di morte (Lc 1,7)). La Luce divina di Betlemme, l’incontro con Lui oggi si diffonda in terra Santa, dove l’orizzonte sembra tornare a farsi cupo per gli israeliani e i palestinesi; si diffonda in Libano, in Iraq e ovunque nel Medio Oriente. Fecondi gli sforzi di quanti non si rassegnano alla logica perversa dello scontro e della violenza e privilegiano invece la via del dialogo e del negoziato, per comporre le tensioni interne ai singoli Paesi e trovare soluzioni giuste e durature ai conflitti che travagliano la regione. A questa Luce dell’incontro con Lui, luce che trasforma e rinnova anelano gli abitanti dello Zimbabwe, in Africa, stretti da troppo tempo nella morsa di una crisi politica e sociale che purtroppo, continua ad aggravarsi, come pure gli uomini e le donne della Repubblica Democratica del Congo, specialmente nella martoriata regione del Kivu, del Darfur, in Sudan, e della Somalia, le cui interminabili sofferenze sono tragica conseguenza dell’assenza di stabilità e di pace. Questa Luce attendono soprattutto i bambini di quei Paesi e di tutti i Paesi in difficoltà. Affinché sia restituita speranza trovando la via verso il futuro, percependo Gesù Cristo come luce che illumina il futuro.
Dove la dignità e i diritti di ogni persona umana sono conculcati; dove gli egoismi personali o di gruppo prevalgono sul bene comune; dove si rischia di assuefarsi all’odio fratricida e allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; dove le lotte intestine dividono gruppi ed etnie e lacerano la convivenza; dove il terrorismo continua a colpire; dove manca il necessario per sopravvivere; dove si guarda con apprensione ad un futuro che sta diventando sempre più incerto, anche nelle Nazioni del benessere: là non basta far conoscere le utili luci anche per la società sorte lungo la storia della fede cristiana: occorre far percepire la Luce del Natale nell’incontro nella Chiesa con Gesù Cristo, nell’ingresso di Lui in ogni io umano per essere trasformati in Lui, vivere in Lui e di Lui in spirito di autentica solidarietà superando la tentazione di pensare solo ai propri interessi, rischiando di far andare in rovina il mondo.
E’ un oggi quello dell’incarnazione che è originariamente eterno e quindi continuo nella storia: oggi “è apparsa la grazia di Dio Salvatore” (Tt 2,11), in questo nostro mondo secolarizzato, con le sue potenzialità e le sue debolezze, i suoi progressi e le sue crisi, con le sue piccole speranze e le sue angosce. Oggi, rifulge la luce della presenza nella storia, in ogni volto umano di Gesù Cristo, Figlio dell’Altissimo e figlio della vergine Maria: “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, (da Dio)”. Lo adoriamo quest’oggi, in ogni angolo della terra, avvolto in fasce e deposto in una povera mangiatoia. Lo adoriamo in silenzio mentre Lui con la dignità di persona che si offre al Padre fin dal concepimento verginale e nell’utero santifica in relazione con Giovanni ancora nel grembo di Elisabetta , ancora infante, sembra dirci a nostra consolazione: Non abbiate paura, “Io sono Dio, non ce n’è altri” (Is 45, 22). Venite a me, uomini e donne, popoli e nazioni, venire a me, non temete: sono venuto a portarvi l’amore del Padre, a mostrarvi la via della pace.
“Andiamo, dunque, fratelli! – ha concluso Benedetto XVI – Affrettiamoci, come i pastori nella notte di Betlemme… Dio ci è venuto incontro ( e ci viene incontro attraverso l’organismo della Chiesa, analogo alla natura umana assunta dal Verbo, che serve allo Spirito di Cristo che lo vivifica per la crescita del Corpo) e ci ha mostrato il suo volto, ricco di grazia e di misericordia! Non sia vana per noi la sua venuta! Cerchiamo Gesù, lasciamoci attirare dalla sua luce, che dissipa dal cuore dell’uomo la tristezza e la paura; avviciniamoci con fiducia; con umiltà prostriamoci per adorarlo”.