Scegliere o combattere la povertà?
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«Il Concilio Vaticano II ha detto… che “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et spes, 22). Questa unione è venuta a confermare l’originario disegno di un’umanità creata ad “immagine e somiglianza” di Dio. In realtà, il Verbo incarnato è l’unica immagine perfetta e consustanziale del Dio invisibile. Gesù Cristo è l’uomo perfetto. “In Lui – osserva ancora il Concilio – la natura umana è stata assunta…., perciò essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime” (ibid.). Per questo la storia terrena di Gesù, culminata nel mistero pasquale, è l’inizio di un mondo nuovo, perché ha realmente inaugurato una nuova umanità, capace, sempre e solo con la grazia di Cristo, di operare una “rivoluzione” pacifica. Una rivoluzione non ideologica ma spirituale, non utopistica ma reale, e per questo bisognosa di infinita pazienza, di tempi talora lunghissimi, evitando qualunque scorciatoia e percorrendo la via più difficile: la via della maturazione delle coscienze.
Cari amici, questa è la via evangelica della pace, la via che anche il Vescovo di Roma è chiamato a riproporre con costanza ogni volta che mette mano all’annuale Messaggio per la Giornata della Pace. Percorrendo questa strada occorre talvolta ritornare su aspetti e problematiche già affrontati, ma così importanti da richiedere sempre nuova attenzione. E’ il caso del tema che ho scelto per il Messaggio di quest’anno: “Combattere la povertà, costruire la pace”. Un tema che si presta a un duplice ordine di considerazioni, che ora possono solo brevemente accennare. Da una parte la povertà scelta e proposta da Gesù, dall’altra la povertà da combattere per rendere il mondo più giusto e solidale» [Benedetto XVI, Omelia nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e XLII Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2009].
La povertà scelta e proposta da Gesù
La storia terrena di Gesù, culminata nel mistero pasquale cioè nella più grande “mutazione” mai accaduta con il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, storia terrena di Gesù da riattualizzare soprattutto in ogni incontro liturgico con il Crocifisso risorto per lasciarci assimilare a Lui, ha realmente inaugurato una “rivoluzione” pacifica, non ideologica ma spirituale, non utopistica ma reale, e per questo bisognosa di infinita pazienza, di tempi talora lunghissimi, evitando ogni scorciatoia ideologica o utopistica e percorrendo la via più difficile: la via che non costringe ma converte liberamente a questo nuovo orizzonte e con ciò nella direzione decisiva nella maturazione delle coscienze e dando continuamente vita a livello sociale ed economico a quella cultura cristiana umanistica a fondamento di ogni politica di bene comune. Così è nata l’Europa e tutto il mondo occidentale con la luce che illumina la storia ed aiuta a trovare il via verso il futuro. Memorizzando e attualizzando personalmente e comunitariamente con Lui risorto nella fede professata, celebrata, vissuta, pregata, la storia terrena di Gesù, del Verbo incarnato vediamo non solo chi è l’unico Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo, la sua volontà di salvezza dell’intera umanità e del cosmo ma anche chi è ogni uomo che Dio Padre in Cristo nello Spirito Santo ama singolarmente e collettivamente, ciò che fu inteso essere all’atto della creazione ed è divenuto in virtù dell’incarnazione del Figlio di Dio, della crocifissione, risurrezione, ascensione dell’uomo – Dio Gesù Cristo con il dono continuo del Suo Spirito nell’organismo sociale della Chiesa per la crescita del suo Corpo. Cristo, centro della storia e del mondo, rivela ad ogni uomo non solo l’origine, la faccia del Padre ma il pieno significato dell’essenza di ogni uomo destinato a figlio nel Figlio con lo Spirito del Risorto; Egli solo è la risposta esistenzialmente adeguata al desiderio di bene, di verità e di vita che è nel cuore, nell’anima, originariamente in ogni io umano.
La nascita di Gesù a Betlemme che attualizziamo nella fede celebrata a Natale ci rivela che Dio ha scelto la via umana della povertà per se stesso nella sua venuta in mezzo a noi, senza alcuna spettacolarità e senza nessuna costrizione perché essendo Amore attende una risposta libera, di amore da parte di ogni uomo che ama fino al perdono. La scena che i pastori videro per primi, e che confermò l’annuncio fatto loro dall’angelo, è quella di una stalla dove Maria e Giuseppe avevano cercato rifugio, e di una mangiatoia in cui la Vergine aveva deposto il Neonato avvolto in fasce (Lc 2,7.12.16). Questa povertà Dio l’ha scelta per amore. Ha voluto nascere così – ma potremmo subito aggiungere: ha voluto vivere, ed anche morire così. Perché? Benedetto XVI si è rifatto alla spiegazione che in termini popolari sant’Alfonso Maria de’ Liguori ha espresso con il canto natalizio italiano: “A Te, che sei del mondo il Creatore, mancano panni e fuoco, o mio Signore. Caro eletto pargoletto, quanto questa povertà più m’innamora, giacché ti fece amor povero ancora”. Ecco la risposta: l’amore per noi ha spinto Gesù non soltanto a farsi uomo, ma a farsi povero. In questa stessa linea si esprime san Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi: “Conoscete infatti – egli scrive – la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (8,9). Quanti nella fede professata, celebrata, vissuta, pregata della fase terrena di Gesù lo hanno seguito, si sono lasciati assimilare a Lui beati nella povertà e fecondi nella carità. Testimone esemplare di questa povertà scelta per amore è san Francesco d’Assisi, che ha avviato l’icona del presepe. Il francescanesimo, nella storia della Chiesa e nella civiltà cristiana, costituisce una diffusa corrente di povertà evangelica, che tanto bene ha fatto e continua a fare alla Chiesa e alla famiglia umana attirando al connubio di sobrietà e solidarietà. Benedetto XVI è ritornato sulla sintesi di san Paolo su Gesù esortando i cristiani di Corinto ad essere generosi nella colletta in favore dei poveri per un valore che per la fraternità cristiana è sempre una tensione, un’etica sociale cioè l’uguaglianza: “Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza” (8,13).
C’è una povertà, un’indigenza che Dio non vuole e che va “combattuta”
E’ la povertà che impedisce alle persone e alla famiglie di vivere secondo la loro dignità; una povertà che offende la giustizia e l’uguaglianza e che, come tale, minaccia la convivenza pacifica. In questa accezione negativa, come è richiamato dal n. 2 del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2009, rientrano anche le forme di povertà non materiale che si riscontrano pure nelle società ricche e progredite: emarginazione, miseria relazionale, morale e spirituale che attualmente provocano l’emergenza educativa.
Ritornando a considerare attentamente l’attuale fenomeno complesso della globalizzazione ha richiamato senz’altro un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare i poveri del mondo nella prospettiva di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire un’unica famiglia in cui tutti – individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoli ai principi di fraternità e di responsabilità. Forse in sintesi è la prossima enciclica sociale di Benedetto XVI. Immediatamente ha invitato a valutare i rapporti con la povertà su vasta scala a cominciare dalle piaghe diffuse quali le malattie pandemiche come la malaria e l’AIDS. Drammatica causa di povertà è difficile combatterla senza affrontare le problematiche della povertà morale con cui la diffusione del virus è collegata. Dove si sono svolte campagne per una sessualità pienamente rispondente alla dignità della persona si sono avuti frutti significativi, facendo diminuire la diffusione dell’AIDS. Ma occorre mettere a disposizione dei paesi poveri le medicine e le cure necessarie a prezzi accessibili. Un ambito particolare cui Benedetto XVI ha puntato nella stessa notte di Natale è la povertà dei bambini, le vittime più vulnerabili. Prioritari gli obiettivi come la cura delle madri, l’impegno educativo, l’accesso ai vaccini, alle cure mediche e all’acqua potabile, la salvaguardia dell’ambiente e, soprattutto, l’impegno a difesa della famiglia e della stabilità delle relazioni al suo interno. Anche la crisi alimentare è caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi. Occorre denunciare l’inaccettabile corsa ad accrescere gli armamenti. Da una parte si celebra la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo,e dall’altra si aumentano le spese militari, violando la stessa Carta delle Nazioni Unite, che impegna a ridurle al minimo la produzione di armi e solo per promuovere lo stabilimento della pace e della sicurezza internazionale.
La globalizzazione elimina certe barriere, ma però può costruirne di nuove e perciò bisogna che la comunità internazionale e i singoli Stati siano sempre vigilanti; bisogna che non abbassino mai la guardia rispetto ai pericoli di conflitto, anzi, si impegnino a mantenere alto il livello della solidarietà.
Occorre cercare di stabilire un “circolo virtuoso” tra la “povertà da scegliere” e la povertà “da combattere”
La speranza cristiana, però, spinge a vedere l’attuale crisi economica globale come un banco di prova: siamo pronti a leggerla, nella sua complessità, quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo, in particolare con l’emergenza educativa.
Si apre una via feconda di frutti per il presente e per il futuro dell’umanità, che si potrebbe riassumere così: per combattere la povertà iniqua che Dio assolutamente non vuole, povertà che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso umanamente universali. Più in concreto, non si può efficacemente combattere la miseria, se non si fa quello che scrive Paolo ai Corinzi, e cioè se non si cerca di “fare uguaglianza”, riducendo il dislivello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessario. Ciò comporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltro obbligate dall’esigenza di amministrare saggiamente le limitate risorse della terra. Quando afferma che Gesù Cristo ci ha arricchiti “con la sua povertà”, san Paolo offre una indicazione importante non solo sotto il profilo teologico, ma anche sul piano sociologico. Non nel senso che la povertà sia un valore in sé, ma perché essa è condizione necessaria per realizzare la solidarietà. Quando Francecso d’Assisi si spoglia pubblicamente dei suoi beni, fa una scelta di testimonianza ispiratagli direttamente da Dio, ma nello stesso tempo mostra a tutti la via della fiducia nella Provvidenza di Dio Padre che per i figli nel Figlio vede e provvede con una onnipotenza più grande di tutte le necessità. Così, nella Chiesa, la modalità del voto di povertà non può essere di tutti ma la vocazione, l’impegno di alcuni, che però ricorda a tutti l’esigenza del distacco dai beni materiali e il primato delle ricchezze dello spirito cioè l’amore gratuito o regno di Dio già presente: non il rapportarsi prioritariamente e soprattutto non in modo esclusivo per motivo di sesso, di possesso, di successo. Ecco l’attualità del beati i poveri e del modo carismatico di testimoniarlo soprattutto oggi da parte di vocazioni giovanili: la povertà della nascita di Cristo a Betlemme, oltre che oggetto di adorazione per i cristiani che credono del darsi definitivo di Dio, uno dei tre, con l’incarnazione del figlio, è anche scuola di vita per ogni uomo. Essa ci insegna che per combattere la miseria, tanto materiale quanto spirituale, la via da percorrere è quella della solidarietà, che ha spinto la via umana alla Verità e alla Vita cioè Gesù a condividere la nostra condizione umana.
Maria ha compreso appieno il mistero, il valore insostituibile della povertà di Dio nell’assumere un volto umano
“Cari fratelli e sorelle – così ha concluso il suo argomentare di fede Benedetto XVI – penso che la vergine Maria si sia posta più di una volta questa domanda: perché Gesù ha voluto nascere da una ragazza semplice e umile come me? E poi, perché ha voluto venire al mondo in una stalla ed avere come prima visita quella dei pastori di Betlemme? La risposta Maria l’ebbe pienamente alla fine, dopo aver deposto nel sepolcro il corpo di Gesù, morto e avvolto in fasce (Lc 23,53). Allora comprese appieno il mistero della povertà di Dio. Comprese che Dio si era fatto povero per noi, per arricchirci della sua povertà piena di amore, per esortarci a frenare l’ingordigia insaziabile che suscita lotte e divisioni, per invitarci a moderare la smania di possedere e ad essere così disponibili alla condivisione e all’accoglienza reciproca. A Maria, Madre del Figlio di Dio fattosi nostro fratello, rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera, perché ci aiuti a seguirne le orme, a combattere e vincere la povertà, a costruire la vera pace, che è opus iustitiae. A Lei affidiamo il profondo desiderio di vivere in pace che sale dal cuore della grande maggioranza delle popolazioni israeliana e palestinese, ancora una volta messe a repentaglio dalla massiccia violenza scoppiata nella striscia di Gaza in risposta ad altra violenza. Anche la violenza, anche l’odio e la sfiducia sono forme di povertà – forse le più tremende – “da combattere”. Che esse non prendano il sopravvento” In tal senso i Pastori di quelle Chiese, in questi tristi giorni, hanno fatto udire la loro voce. Insieme ad essi e ai loro carissimi fedeli, soprattutto quelli della piccola ma fervente parrocchia di Gaza, deponiamo ai piedi di Maria le nostre preoccupazioni per il presente e i timori per il futuro, ma altresì la fondata speranza che, con il saggio e lungimirante contributo di tutti, non sarà impossibile ascoltarsi, venirsi incontro e dare risposte concrete all’aspirazione diffusa a vivere in pace, in sicurezza, in dignità”.