Né sesso, né possesso, né successo
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

«In questo anno consacrato a san Paolo, è particolarmente opportuno ricordarci l’urgente necessità di annunciare il Vangelo a tutti. Questo mandato, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo rimane una priorità, giacché numerose sono ancora le persone che attendono il messaggio di speranza e di amore che permetterà loro di “conoscere la libertà, la gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21). Con voi dunque, cari Fratelli, sono le vostre comunità diocesane tutte intere ad essere inviate per rendere testimonianza del Vangelo. Il Concilio Vaticano II ha ricordato con forza che “l’attività missionaria attiene profondamente alla natura stessa della Chiesa” (Ad gentes, n. 6). Per guidare e stimolare il Popolo di Dio in questo compito, i Pastori devono essere essi stessi, prima di tutto, annunciatori della fede per condurre a Cristo nuovi discepoli. L’annuncio del Vangelo è proprio del Vescovo che, come san Paolo, può così proclamare: “Annunciare il vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annunciassi il Vangelo” (1 Cor 9,16). Per confermare e purificare la loro fede, i fedeli hanno bisogno della parola del loro Vescovo, che è il catechista per eccellenza… un padre e un fratello dei sacerdoti… il principale difensore dei diritti dei poveri che promuove e favorisce l’esercizio della carità, manifestazione dell’amore del Signore per i piccoli» [Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi del Camerun, 18 marzo 2009].
Per assumere questa missione d’evangelizzazione e rispondere alle molteplici sfide della vita del mondo d’oggi, al di là degli incontri istituzionali, che sono in sé necessari, una profonda comunione deve unire tra loro i Pastori della Chiesa
La qualità dei lavori di una Conferenza episcopale, che ben riflettono la vita di una Chiesa e di una società particolare, permettono di cercare insieme risposte alle molteplici sfide che la Chiesa deve affrontare e, attraverso le Lettere pastorali dei singoli Vescovi, offrire direttive comuni per aiutare i fedeli nella loro vita ecclesiale e sociale. La viva coscienza della dimensione collegiale del ministero dei Vescovi induce a realizzare fra loro le molteplici espressioni della fraternità sacramentale, che vanno dall’accoglienza e dalle stima reciproca alle diverse attenzioni di carità e di collaborazione concreta (Pastores gregis, n. 59).
Alla folla e ai suoi discepoli Gesù dichiara: “Uno solo è il Padre vostro” (Mt 23,9). In effetti, non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore “del mondo visibile e invisibile”. E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare all’unica paternità di Dio (Ef 3,15) anche attraverso la pienezza del sacramento dell’Ordine come Pastori, come Vescovi. San Giuseppe manifesta, è una icona di ciò in maniera sorprendete, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una responsabilità paterna piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe, patrono della Chiesa universale e di ogni Vescovo, ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Gesù ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in un luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: “Servite il Signore che è Cristo!” (Col 3,24). Come Vescovo si tratta non di essere un servitore mediocre, ma di essere un servitore “fedele e saggio”. L’abbinamento dei due aggettivi non è casuale cioè senza una ragione: esso suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità paterna di una Chiesa che Dio affida nella solidarietà fraterna con tutte le Chiese.
Una effettiva collaborazione fra le diocesi, segnatamente per una migliore ripartizione dei sacerdoti in un Paese, non può che favorire le relazioni di solidarietà fraterna con le chiese diocesane più povere così che l’annuncio del Vangelo non soffra della mancanza di ministri. Questa solidarietà apostolica si estende con generosità ai bisogni di altre chiese locali, e in particolare a quelle del continente di appartenenza. Così apparirà chiaramente che le comunità cristiane, sull’esempio di quelle che hanno recato la prima evangelizzazione, sono esse stesse una Chiesa missionaria.
Il Vescovo e i suoi sacerdoti sono chiamati a intrattenere relazioni di particolare comunione, fondate sulla loro speciale partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, anche se in gradi diversi
La qualità dei legami con i sacerdoti che sono i principali e irrinunciabili collaboratori del Vescovo, è di fondamentale importanza. Vedendo nel loro Vescovo un padre e un fratello che li ama, che li ascolta e li rinfranca nelle prove, che presta una attenzione privilegiata al loro benessere umano e materiale, essi sono incoraggiati a farsi carico pienamente del loro ministero in modo degno ed efficace. L’esempio e la parola del loro Vescovo è per essi un aiuto prezioso per dare alla loro vita spirituale e sacramentale un posto centrale nel loro ministero, incoraggiandoli a scoprire e vivere sempre più profondamente che lo specifico di ogni pastore è essere innanzitutto un uomo di preghiera e che la vita spirituale e sacramentale è una straordinaria ricchezza dataci per noi stessi e per il bene del popolo affidato. “Vi invito – ha sottolineato Benedetto XVI – a vigilare con particolare attenzione alla fedeltà dei sacerdoti e delle persone consacrate agli impegni assunti con la loro ordinazione e con il loro ingresso nella vita religiosa, affinché perseverino nella loro vocazione, per una maggiore santità della Chiesa e per la gloria di Dio. L’autenticità della loro testimonianza richiede che non vi sia alcuna differenza tra ciò che essi insegnano e ciò che vivono ogni giorno”.
Anche i sacerdoti possono rifarsi alla responsabilità paterna di San Giuseppe da vivere nel ministero quotidiano. In effetti, la Costituzione conciliare Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti “abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento” (n. 28). Come allora non tornare continuamente alla radice del proprio sacerdozio cioè all’avvenimento sacramentale con il Signore Gesù Cristo? La continua relazione con la sua persona, che ha dato alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva è costitutiva di ciò che ogni prete vuol vivere: la relazione con Lui che chiama suoi amici, perché tutto quello che egli l’ha appreso dal Padre lo fa conoscere (Gv 15,15). Vivendo questa amicizia profonda con Cristo risorto, presente, si trova la vera libertà e la gioia del cuore. Il sacerdozio ministeriale comporta una intimità profonda con Cristo che ci è quotidianamente donato nell’Eucaristia. La celebrazione dell’Eucaristia diviene il centro della vita sacerdotale, il centro della missione ecclesiale. In effetti, per tutta la vita, il Cristo chiama il prete a partecipare alla sua missione, a essere testimoni, affinché la sua Parola possa essere annunciata a tutti. Celebrando questo sacramento e il sacramento della penitenza a nome e nella persona del Signore, non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, umile strumento che rimanda a Cristo, poiché Cristo stesso si offre, soprattutto in ogni celebrazione eucaristica, in sacrificio per la salvezza del mondo. “Chi governa sia come colui che serve” (Lc 22,26), dice Gesù. Ed Origene scriveva: “Giuseppe capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. Ciò fa riflettere ogni prete: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che sembra comandargli. Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe.
Il ministero pastorale richiede molte rinunce, ma è anche sorgente di molta gioia. “In relazione confidente con i vostri vescovi – ha detto il Papa –, fraternamente uniti a tutto il presbiterio, e sostenuto dalla porzione del Popolo di Dio che vi è affidata, voi saprete rispondere con fedeltà alla chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare su Maria e sul Bambino Gesù! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro vescovo e davanti all’assemblea. Il Successore di Pietro vi ringrazia per il vostro generoso impegno al servizio della Chiesa e vi incoraggia a non lasciarvi turbare dalle difficoltà del cammino! Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un “sì” generoso a Cristo!”.
Occorre chiedere al Signore e puntare a far sì che in ogni diocesi siano numerosi i giovani che si presentano come candidati al sacerdozio e quindi ringraziarne il Signore. Ma è essenziale che sia fatto un serio discernimento. A tal fine, nonostante le difficoltà organizzative a livello pastorale che talvolta possono sorgere, occorre dare priorità alla selezione e alla formazione dei formatori e dei direttori spirituali. Essi devono avere una conoscenza personale e approfondita dei candidati al sacerdozio ed essere in grado di garantire loro una formazione umana, spirituale e sacramentale, pastorale solida che faccia di loro degli uomini maturi ed equilibrati, ben preparati per la vita sacerdotale. Il costante sostegno fraterno del Vescovo aiuta i formatori a svolgere il loro compito con l’amore per la Chiesa e la sua missione.
Contributo fondamentale alla vita della Chiesa in tutta la sua tradizione è offerta dagli impegnati nei movimenti ecclesiali o nella vita consacrata, dai religiosi e dalle religiose, come dagli operatori pastorali, in particolare i catechisti
Quanto oggi sono importanti gli impegnati nei movimenti ecclesiali che volgono lo sguardo a san Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe alla via umana al Dio vivente cioè al mistero dell’Incarnazione che continua nel Corpo della Chiesa. Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto la realtà divino -umana cioè il mistero che era in lei e il mistero che era lei stessa come madre di Dio. Egli l’ha amata con quel grande rispetto, con quella castità verginale che è il sigillo dell’amore autentico cioè là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge e quindi si fa presente il suo regno. San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere, in modo totalmente gratuito cioè non per motivo di sesso, di possesso, di successo. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive ed egoistiche a condizione di entrare nel progetto che Sio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, che lo amano e il suo amore giunge a loro, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva fatto in lei. E come la natura umana serve al Verbo divino da vivo organi di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile è l’organismo, ogni fraternità ecclesiale per il Risorto con il dono del Suo Spirito che la vivifica per la crescita del Corpo cioè della Chiesa. “Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali – ha augurato Benedetto XVI –, essere attenti a coloro che vi circondando e manifestare il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna ed in tanti altri modi”.
Il contributo spirituale portato dalle persone consacrate è anch’esso assai significativo ed indispensabile per la vita della Chiesa. Questa chiamata, attraverso l’avvenimento dell’incontro, a lasciarsi assimilare, a seguire Cristo, è un dono di ciò che di più intimo c’è in Lui, il suo stesso Spirito a vantaggio dell’intero popolo di Dio. Imitando Cristo verginalmente casto, povero e obbediente, totalmente consacrato alla gloria cioè all’amore del Padre suo e all’amore dei suoi fratelli e sorelle emerge nel mondo la missione di testimoniare, davanti al nostro mondo che ne ha molto bisogno, il primato di Dio e dei beni futuri (Vita consacrata, n. 85). “Con la vostra fedeltà senza riserve nei vostri impegni – ha riconosciuto Benedetto XVI – voi siete nella Chiesa un germe di vita che cresce al servizio del Regno di Dio (presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge). In ogni momento, ma in modo particolare quando la fedeltà è provata, san Giuseppe vi ricorda il senso e il valore dei vostri impegni. La vita consacrata è una imitazione radicale di Cristo. E’ quindi necessario che il vostro stile di vita esprima con precisione ciò che vi fa vivere e che la vostra attività non nasconda la vostra profonda identità. Non abbiate paura di vivere pienamente l’offerta di voi stessi che avete fatta a Dio e di darne testimonianza con autenticità attorno a voi”
Occorre pure pregare e sviluppare la vita consacrata tra le figlie e i figli di un Paese, vita che consente anche lo spazio di carismi specifici dello Spirito del Risorto propri di ogni Paese. La professione dei consigli evangelici è come “un segno che può e deve attirare efficacemente i membri della Chiesa a compiere generosamente i doveri della vocazione cristiana” (Lumen gentium, n.44).
“Cari fratelli e sorelle, la nostra meditazione sull’itinerario umano e spirituale di san Giuseppe, ci invita a cogliere la misura di tutta la ricchezza della sua vocazione e del modello che egli resta per tutti quelli e quelle che hanno voluto votare la loro esistenza a Cristo, nel sacerdozio come nella vita consacrata o in diverse forme di impegno del laicato. Giuseppe ha infatti vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione. Non solo con una prossimità fisica (il Figlio di Dio è un bambino veramente bambino, un uomo veramente uomo che piange perché ha fame, ha freddo. Bisogna cercare la legna, accendere un fuoco; guadagnare per Lui il pane quotidiano, fuggire in Egitto, preparare i bagagli, mettersi in cammino, affrontare pericoli…), ma anche con l’attenzione del cuore. Giuseppe ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza. In lui non c’è separazione tra fede e azione. La sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la liberà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un” uomo giusto” (Mt 1,19) perché la sua esistenza è “aggiustata” sulla Parola di Dio. La vita di san Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della chiesa. Il suo esempio ci sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che ogni uomo diventa operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ecclesia”
Nell’esercizio per annunciare il vangelo, Vescovo e sacerdoti sono aiutati anche da altri operatori pastorali, in particolare i catechisti. Nell’evangelizzazione hanno un ruolo determinante e la loro generosità e fedeltà sono un grande dono. Attraverso di loro si realizza una autentica inculturazione della fede cioè assumere dalla cultura di un ambiente elementi che permettono di mettere meglio in luce l’uno e l’altro aspetto dei misteri della fede, Un tale compito è certamente arduo e comporta dei rischi, ma è in se stesso legittimo e necessario e con l’aiuto anche di teologi, sotto la guida dei Pastori, deve essere incoraggiato. La loro formazione umana, spirituale, sacramentale e dottrinale è dunque essenziale. Il sostegno materiale, spirituale, sacramentale e morale che i pastori possono offrire per compiere la loro missione in buone condizioni di vita e di lavoro, è anche per essi l’espressione del riconoscimento da parte della Chiesa dell’importanza del loro impegno per l’annuncio e lo sviluppo della fede.
Oggi preoccupa particolarmente la situazione della pastorale familiare
Tra le numerose sfide per la responsabilità di amore pastorale preoccupa i pastori particolarmente la situazione della famiglia. Le difficoltà dovute in special modo all’impatto della modernità e della secolarizzazione con la società tradizionale incitano a preservare con determinazione i valori fondamentali della famiglia africana, facendo della sua evangelizzazione in modo approfondito una delle principali priorità. Nel promuovere la pastorale familiare emerge l’impegno a favorire una migliore comprensione della natura, della dignità e del ruolo del matrimonio che richiede un amore indissolubile e stabile.
La liturgia occupa un posto importante nella manifestazione e crescita della fede di ogni comunità
In Africa di solito queste celebrazioni ecclesiali sono festose e gioiose, esprimendo il fervore dei fedeli, felici di essere insieme, come Chiesa, per lodare il Signore. E’ dunque essenziale che la gioia così manifestata non sia, però, un ostacolo ma un mezzo per entrare in dialogo e in comunione con Dio, per mezzo di una effettiva interiorizzazione delle strutture e delle parole di cui si compone la liturgia, in modo che essa traduca ciò che succede nel cuore dei credenti, in unione reale con tutti i partecipanti. La dignità delle celebrazioni, soprattutto quando esse si svolgono con un grande afflusso di partecipanti, ne è un segno eloquente.
Lo sviluppo di sette e movimenti esoterici come pure la crescente influenza di una religiosità superstiziosa, come anche del relativismo, sono un invito pressante a dare un rinnovato impulso alla formazione dei giovani e degli adulti, in particolare al mondo universitario e intellettuale.
In questa prospettiva Benedetto XVI ha incoraggiato e lodato gli sforzi dell’Istituto cattolico di Yaundé e di tutte le istituzioni ecclesiali la cui missione è quella di rendere accessibile e comprensibile a tutti la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa. “Sono lieto – ha affermato il Papa – di sapere che nel vostro paese i fedeli laici sono sempre più impegnati nella vita della Chiesa e della società. Le numerose associazioni di laici fioriscono nelle vostre diocesi, sono segno dell’opera dello Spirito nel cuore dei fedeli e contribuiscono a un nuovo annuncio del Vangelo. Sono lieto di evidenziare e incoraggiare la partecipazione attiva di associazioni femminili nei vari settori della missione della Chiesa, dimostrando così una reale consapevolezza della dignità della donna e la sua specifica vocazione nella comunità ecclesiale e nella società Ringrazio Dio per l’impegno che i laici da voi manifestano di contribuire al futuro della Chiesa e all’annuncio del Vangelo. Attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana e i doni dello Spirito Santo, essi sono abilitati e impegnati ad annunciare il Vangelo servendo ogni persona e la società. Vi incoraggio pertanto attivamente a perseverare nei vostri sforzi per dare ad essi una solida formazione cristiana che consenta loro di ‘svolgere pienamente il loro ruolo di animazione cristiana dell’ordine temporale (politico, culturale, economico, sociale), che è una caratteristica della vocazione secolare del laicato’” (Ecclesia in Africa, n. 75).
Nel contesto della globalizzazione in cui ci troviamo, la Chiesa ha un interesse particolare per le persone più bisognose. La missione del Vescovo lo impegna ad essere il principale difensore dei diritti dei poveri, a promuovere e favorire l’esercizio della carità, manifestazione dell’amore del Signore per i piccoli. In questo modo, i fedeli sono portati a cogliere in modo concreto che la Chiesa è una vera famiglia di Dio, riunita dall’amore fraterno, che esclude ogni etnocentrismo e particolarismo eccessivi e contribuisce alla riconciliazione e alla cooperazione fra le etnie per il bene di tutti. D’altra parte, la Chiesa, attraverso la sua dottrina sociale, vuole risvegliare la speranza nei cuori degli esclusi. E’ anche dovere dei cristiani, specialmente dei laici che hanno responsabilità sociali, economiche, politiche, di lasciarsi guidare dalla dottrina sociale della Chiesa, per contribuire alla costruzione di un mondo più giusto in cui ciascuno potrà vivere dignitosamente.