3 - Riformare la riforma (liturgica)?
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Si parla sempre più spesso, quindi, di “riforma” della riforma liturgica dopo il Concilio. Che cosa aspettarci o sperare nei prossimi anni? Quali cambiamenti? In nessun caso bisognerebbe ricominciare a introdurre cambiamenti esteriori non ancora preparati interiormente alla luce anche della Sacrosanctum Concilium e del magistero post- conciliare come l’esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis.
Innanzitutto va valutata criticamente l’idea che la liturgia sia propriamente la manifestazione della comunità. Ciò è stato sottolineato fortemente, ideologicamente, in discontinuità con la Tradizione in questi anni: la comunità come soggetto della liturgia. Questo significava, pertanto, che la comunità decide come celebrare se stessa. Si sono quindi formati settori che hanno messo in pratica tutto ciò creando spaccature tra i fedeli. Altri non vi hanno partecipato e questo non è piaciuto ai primi. Ci troveremo d’accordo su forma ordinaria e straordinaria dello stesso rito cattolico, come il Motu proprio di Benedetto XVI offre, solo quando smetteremo di considerarla come l’elemento formante della comunità e di pensare di dover soprattutto “impegnare” noi stessi e di rappresentarci in essa. Dobbiamo di nuovo imparare a capire che essa nella sua continuità dinamica fino ad oggi, ai vari luoghi della tradizione del popolo di Dio ci introduce nella professione di fede professata, celebrata, vissuta, pregata del corpo della Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi, nella quale il Signore ci offre se stesso per essere ieri, oggi e sempre, assimilati a Lui. Una liturgia senza l’autentico comune accordo ecclesiale di fede non esiste. Quando si cerca di renderla interessante – Dio sa con quali idee – ma non si presuppone in ciò la fede, e quando viene ristretta soltanto alla comunità particolare e locale e non viene vista, invece, come incontro col Signore ieri, oggi e sempre nella grande comunità della Chiesa universale che si estende in continuità nel tempo e nello spazio, la liturgia cade in rovina. Pertanto non si capisce perché si debba andare avanti su questa strada, su questa tendenza senza una “riforma” della riforma. Sono necessarie delle correzioni interiori prima di porre mano a cose esteriori come gli impazienti richiedono rinnovando gli atteggiamenti negativi con cui si è realizzata la prima riforma. “Se ora – dice il cardinale Ratzinger nell’intervista – si ricomincia a inventare nell’esteriore, non prevedo nulla di buono- Dobbiamo arrivare ad una nuova educazione liturgica, in cui si divenga consapevoli che la liturgia appartiene in continuità dinamica a tutta la Chiesa, che in essa ogni comunità particolare e locale si unisce con la Chiesa universale, con Cielo e Terra, che ciò inoltre rappresenta la garanzia che il Signore viene e succede qualcosa che non può accadere in nessun luogo, in nessun intrattenimento e in nessun spettacolo. Solo quando noi volgiamo di nuovo lo sguardo su queste cose più grandi può sorgere una vera unità interiore (sul comune fondamento della fede professata, celebrata, vissuta, pregata) e ci si può anche interrogare sulle migliori forme dei riti esteriori. Prima, però, deve crescere una comprensione interiore della liturgia, che ci unisce (diacronicamente e sincronicamente) gli uni con gli altri. Nella liturgia non dobbiamo di volta in volta rappresentare le nostre invenzioni, non dobbiamo introdurre ciò che abbiamo inventato, bensì ciò che ci viene rivelato”.