4 - Vescovi: pastori e maestri
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In questo lamento generale cosa c’è di falso, di insufficiente, di non educativo? “Credo – Ratzinger nell’intervista – che una grande preoccupazione dei Vescovi – e lo posso confermare per esperienza personale – sia stata e sia quella di mantenere uniti i fedeli nella gran confusione dei tempi, non creare quindi insicurezze che in pubbliche discussioni mettano in contrasto i fedeli e turbino la pace nella Chiesa. Bisognava e bisogna pertanto chiedersi sempre in senso relativo: l’abuso, il comportamento scorretto, l’insegnamento deviante è così grave che io debba espormi al chiasso della pubblica opinione come anche a tutte le insicurezze che ne potrebbero sorgere, oppure debbo tentare di risolvere il caso il più possibile con calma o anche tollerare ciò che in sé è inaccettabile, onde evitare più gravi lacerazioni? La decisione da prendere era ed è comunque sempre difficile.
Vorrei però dire che la nostra tendenza – anch’io pensavo così – era orientata a dare valore prioritario al rimanere uniti, all’evitare le pubbliche conflittualità e le ferite laceranti che ne derivano. In relazione a questo si è sottovalutato l’effetto di altre cose. Si è presto detto: quel libro lo leggono forse duemila persone – che significa questo di fronte a tutta la comunità dei fedeli, la maggior parte dei quali non ne capisce niente? Ora, solo accentuandone l’attenzione, verrebbero inflitte delle ferite che colpirebbero tutti. Allora si è taciuto.
Così, però, si è sottovalutato il fatto che ogni velenosità tollerata lascia del veleno dietro di sé, continua la sua azione nefasta e, alla fine, porta con sé un grave pericolo per la fede della Chiesa, perché subentra la convinzione: nella chiesa si può dire questo e quello, tutto trova posto. Allora la fede perde la sua concretezza e la sua evidenza.
Certo è stato sottovalutato nella sua gravità l’impegno di mantenere limpida la fede e, come tale, di presentarla quale il massimo dei beni; questo non soltanto in Germania, ma dovunque abbia avuto luogo questo dibattito sul corretto comportamento dei pastori.
Si tratta dell’effetto a lungo termine di tali iniezioni di veleno. Ne deriva l’impressione che la fede (professata, celebrata, vissuta, pregata) non fosse così importante, per quanto poco se ne sapesse di preciso. Non voglio incolpare nessuno dei singoli,ma in una specie in una specie di esame di coscienza, dovremmo intenderci nuovamente sulla priorità della fede e renderci consapevoli degli effetti a lungo termine di tali errori.
Dobbiamo imparare a vedere più chiaramente che la quiete pura e semplice non è il primo dovere del cristiano e che la fede può diventare debole e falsa, se non ha più alcun contenuto”.
Come valutare la preferenza romana di nominare dei Vescovi concilianti che potessero entrare come mediatori e moderatori anziché candidati scelti per la loro adesione alla fede senza compromessi, per il loro coraggio di testimonianza e le loro convinzioni chiaramente espresse?
La nomina da Roma non cade direttamente dal cielo, ma risulta da un sondaggio condotto nel popolo di Dio, fra i vescovi e i sacerdoti, per vedere quali figure emergano nella comunità di fede, degne di fiducia ed in grado di svolgere una funzione educatrice di guida. Pertanto, la partecipazione della Chiesa locale alla scelta dei Vescovi è molto più forte di quanto generalmente si immagini. Roma, non ha nessun interesse a imporre quasi d’autorità chicchessia al popolo di Dio, ma deve essere qualcuno che venga poi accettato dallo stesso popolo e riconosciuto come pastore e guida. Dio che è amore non costringe mai perché ogni rapporto costretto non è un rapporto di amore. Sembra, però, che tra l’e di una fede senza compromessi e l’e della capacità di consenso sia stato questo a prevalere e di conseguenza non si sia sufficientemente calcolata la capacità di dirigere e di discutere, il coraggio di affrontare resistenze e contestazioni, posizioni unilaterali e irrigidimenti, restringimenti per far spazio a ciò che vi è di positivo e di recuperabile per l’insieme. Ogni generazione ha il suo tipo di Vescovo.
Immediatamente dopo il Concilio furono cercati proprio i Vescovi che volevano e potevano introdurre i cambiamenti ora conclusi e ciò in parte è avvenuto anche troppo in fretta. A causa di questi rapidi cambiamenti si giunse in molte comunità a quella frattura fra la tradizione fino al 1962 e quella avviata con il Concilio. Così si dovette, alla fine, cercare dei conciliatori fra una interpretazione di discontinuità e dei riformatori in continuità dinamica. Una terza via di mediazione non è reale ma ideologica, politica. E non a caso venne allora con insistenza in primo piano l’espressione “il vescovo è pontifex” – il vescovo è uno che costruisce ponti, che riunisce insieme. Per quanto riguarda i problemi che ne sono derivati, oggi dobbiamo ancor più fortemente ricordare che il pontifex non deve costruire ponti solo per riunire i singoli fedeli, ma ancor più per condurre a Dio, per rendere consapevoli della presenza di Dio in questo mondo e per aprire ad ogni uomo l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul monte Sinai; a quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme e quindi a quella grande comunità della Chiesa che lo rende possibile. Dovremmo ricordare che il termine pontifex è derivato dal mondo pagano – poi fu certamente adattato al mondo cristiano –, ma che la Bibbia ci propone più intensamente la figura del pastore. Secondo la tradizione biblica il pastore precede, educa alla fede, alla speranza, all’amore il gregge. Egli indica la via umana alla Verità e alla Vita cioè alla presenza di Cristo risorto da seguire, stabilisce anche dei criteri ed è pronto a opporsi a forze contrarie, ai lupi. E’ il coraggio di sostenere contestazioni, il coraggio di intervenire anche senza il politicamente corretto rispetto alla fede: deve essere oggi un criterio decisivo per ogni Vescovo, in comunione con tutti i Vescovi e con il Papa. Ma rimane sempre ovvio che egli deve anche aiutare il suo gregge a riconoscersi nell’unità e ad accordarsi comunitariamente con lui come buon educatore capace anche di non badare a diverse cose non buone e premurarsi di condurre fuori dalle strettezze, da irrigidimenti e posizioni unilaterali facendo spazio a ciò che vi è di positivo e di recuperabile per l’insieme.