Condividi:

Francesco: i poveri e/o la povertà?

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
L’iniziale “piccolo noi” di Francesco nel “grande noi” della Chiesa una e universale

«E qui veniamo al punto che sta al centro di questo nostro incontro. Lo riassumerei così: il Vangelo come regola di vita… Egli comprese se stesso interamente alla luce del Vangelo. Questo il suo fascino. Questa la sua perenne attualità. Tommaso da Celano riferisce che il poverello “portava sempre nel cuore Gesù. Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le membra… Anzi trovandosi molte volte in viaggio e meditando e cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava ad invitare tutte le creature alla lode di Gesù”. Così il poverello è diventato un vangelo vivente, capace di attirare a Cristo uomini e donne di ogni tempo, specialmente giovani, che preferiscono la radicalità alle mezze misure. Il vescovo di Assisi Guido e poi il Papa Innocenzo III riconobbero nel proposito di Francesco e dei suoi compagni l’autenticità evangelica, e seppero incoraggiare l’impegno in vista del bene della Chiesa. Viene spontanea una riflessione: Francesco avrebbe potuto anche non venire dal Papa. Molti gruppi e movimenti religiosi si andavano formando in quell’epoca, e alcuni di essi si contrapponevano alla Chiesa come istituzione, e per lo meno non cercavano la sua approvazione. Sicuramente un atteggiamento polemico verso la gerarchia avrebbe procurato a Francesco non pochi seguaci. Invece egli pensò subito a mettere il cammino suo e dei suoi compagni nelle mani del vescovo di Roma, il successore di Pietro. Questo fatto rivela il suo autentico spirito ecclesiale. Il piccolo “noi” che aveva iniziato con i suoi primi frati concepì fin dall’inizio all’interno del grande “noi” della Chiesa una e universale. E il Papa questo riconobbe e apprezzò. Anche il Papa, infatti, da parte sua avrebbe potuto non approvare il progetto di vita di Francesco. Anzi possiamo ben immaginare che, tra i collaboratori di Innocenzo III, qualcuno lo abbia consigliato in tal senso, magari proprio temendo che quel gruppetto di frati assomigliasse ad altre aggregazioni ereticali e pauperiste del tempo. Invece il Romano Pontefice, ben informato dal vescovi di Assisi e dal cardinale Giovanni di san Paolo, seppe discernere l’iniziativa dello Spirito Santo e accolse, benedisse incoraggiò la nascente comunità dei “frati minori”» [Benedetto XVI, Discorso ai Membri Famiglia Francescana partecipanti al “Capitolo delle stuoie”, 18 aprile 2009].

Benedetto XVI si è unito a tutti i membri della Famiglia Francescana nel rendimento di grazie a Dio per tutto il camino storico del carisma francescano. E come Pastore di tutta la Chiesa ha riconosciuto il dono prezioso che i membri della Famiglia Francescana sono stati e sono per l’intero popolo cristiano. Dal piccolo ruscello sgorgato ai piedi del Monte Subasio, si è formato un grande fiume, che ha dato un contributo notevole alla diffusione del Vangelo. E tutto questo ha avuto inizio, frutto dello Spirito del Risorto, dalla conversione di Francesco, il quale, sull’esempio di Gesù, “spogliò se stesso” (Fil 2,7) e, sposando Madonna Povertà, divenne testimone ed araldo del Padre che è nei cieli, che vede e provvede sempre con una onnipotenza più grande di ogni necessità.
Al poverello si possono applicare letteralmente alcune espressioni che l’apostolo Paolo riferisce a se stesso: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20). “D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 6,17). Francesco ricalca perfettamente queste orme di Paolo ed in verità può dire con lui: “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21). Ha esperimentato la potenza della grazia divina ed incontrando la Persona del Crocifisso Risorto che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva Francesco con gioia si sente come morto ad ogni prospettiva di successo terreno e risorto, rinato, trasformato in Cristo risorto che vive in lui nel vissuto fraterno dei suoi frati minori. E’ cambiata l’identità essenziale del suo io e dei suoi frati: è tolto ogni io autoreferenza che rende soli e l’iniziale “piccolo noi” del vissuto fraterno matura con i suoi primi frati in un nuovo soggetto più grande, dove ogni io c’è di nuovo, ma trasformato, purificato nel nuovo spazio di esistenza diventando in Cristo un unico soggetto nuovo all’interno del “grande noi” della Chiesa una e universale. Tutte le sue ricchezze precedenti, come ogni motivo di vanto e di sicurezza per la fase terrena, tutto diventa una “perdita” dal momento, dall’avvenimento dell’incontro con Gesù crocifisso e risorto (Fil 3,7-11). Il lasciare tutto diventa a quel punto quasi necessario per esprimere la sovrabbondanza del dono ricevuto. Questo è divenuto nella consapevolezza talmente grande da richiedere uno spogliamento totale, che comunque non basta; merita una intera vita vissuta “secondo la forma del santo Vangelo” per poter essere veri testimoni del Risorto, suoi consanguinei cioè “frati minori” e in tal modo portatori della gioia e della,bellezza di Dio, della pace e della speranza nel mondo, in concreto in quella comunità fraterna in cui viviamo verso una fraternità universale, che si estende a tutte le creature.

Ripartire sempre da Cristo, come Francesco partì dallo sguardo del crocifisso di san Damiano e dall’incontro con il lebbroso, per vedere il volto di Cristo nei fratelli che soffrono e portare a tutti la pace
Il capitolo internazionale delle stuoie, conclusosi il 18 aprile 2009 con l’udienza di Benedetto XVI, si è posto la domanda se il carisma della povertà si riduca a una preferenza “per” i poveri o sia la scelta “della” povertà, quale adesione alla condizione di Cristo, di Dio che ha assunto un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme come un’unica fraternità. Per la prima volta si sono trovati i rappresentanti della grande famiglia francescana. Circa duemila delegati provenienti da 65 Paesi a raffigurare un universo francescano costituito da 35.000 frati e suddiviso in quattro ordini: Frati Minori. Minori Conventuali, Minori Cappuccini, Terz’Ordine Regolare. L’occasione è stata data dalla ricorrenza degli ottocento anni dal riconoscimento della prima Regola di san Francesco da parte di Papa Innocenzo III. “Cari fratelli e sorelle – così Benedetto XVI –, sono passati otto secoli, e oggi avete voluto rinnovare il gesto del vostro Fondatore. Tutti voi siete figli ed eredi di quelle origini. Di quel “buon seme” che è stato Francesco, conformato a sua volta al “chicco di grano” che è il Signore Gesù, morto e risorto per portare molto frutto (Gv 12,24). I Santi ripropongono la fecondità continua di Cristo. Come Francesco e Chiara d’Assisi, anche voi impegnatevi a seguire sempre questa stessa logica: perdere la propria vita a causa di Gesù e del Vangelo, per salvarla e renderla feconda di frutti abbondanti. Mentre lodate e ringraziate il Signore, che vi ha chiamati a far parte di una così grande e bella “famiglia”, rimanete in ascolto di ciò che lo Spirito dice oggi ad essa, in ciascuna delle sue componenti, per continuare ad annunciare con passione il regno di Dio, sulle orme del serafico padre. Ogni fratello e ogni sorella custodisca sempre un animo contemplativo, semplice e lieto: ripartire sempre da Cristo, come Francesco partì dallo sguardo del crocifisso di san Damiano e dall’incontro con il lebbroso, per vedere il volto di Cristo. Siate testimoni della “bellezza” di Dio, che Francesco seppe cantare contemplando le meraviglie del creato, e che gli fece esclamare rivolto all’Altissimo: “Tu sei bellezza!”. Carissimi, l’ultima parola che voglio lasciarvi è la stessa che Gesù risorto consegnò ai suoi discepoli: “Andate!” (Mt 28,19; Mc 16,15). Andate e continuate a “riparare la casa” del Signore Gesù Cristo, la sua Chiesa”.

C’è un’altra “rovina”: quella delle persone e delle comunità
“Nei giorni scorsi – ha concluso Benedetto XVI –, il terremoto che ha colpito l’Abruzzo ha danneggiato gravemente molte chiese, e voi di Assisi sapete bene che cosa questo significhi. Ma c’è un’altra “rovina” che è ben più grave: quella delle persone e delle comunità! Come Francesco, cominciate sempre da voi stessi. Siamo noi per primi la casa che Dio vuole restaurare. Se sarete sempre capaci di rinnovarvi nello spirito del Vangelo, continuerete ad aiutare i pastori della Chiesa a rendere sempre più bello il suo volto di sposa di Cristo.
Nel saluto ai padri capitolari da parte di padre José Rodriguez Carballo, ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori e presidente di turno dei ministri generali, così si è espresso: “Come dalla Porziuncola Francesco inviò i primi frati per andare a due a due per il mondo così anche noi idealmente vogliamo ripartire da qui per portare il messaggio evangelico della pace e della riconciliazione a ogni cuore affranto e sofferente”.
Più specifico il discorso di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia: “Cosa ricordiamo esattamente – si è chiesto padre Cantalamessa – in questo anno 2009? Non l’approvazione della “Regola che abbiamo promesso”, che è la Regola Bollata, ma l’approvazione orale, da parte di Papa Innocenzo III, della primitiva regola, perduta, di san Francesco. Fra quattordici anni, nel 2023, ci celebrerà il centenario della Regola Bollata. Quest’anno abbiamo un’occasione unica per risalire al carisma francescano nel suo stesso sbocciare”. E’ un kairos per tutto l’ordine e il movimento francescano, non possiamo lasciarlo passare invano”.
Quello che attende i francescani – ha sottolineato Cantalamessa – è ancora oggi un compito importante e attuale, come Benedetto XVI ci dona. Molte persone si sono allontanate dalla Chiesa istituzionale, provocando “rovina” delle persone e delle comunità! Ed è proprio compito anche dei francescani, sull’esempio di san Francesco, quello di ricondurle nella comunità ecclesiale. “Nel Duecento – ha rilevato il predicatore della Casa Pontificia – Francesco si assunse il compito di raggiungere le masse popolari che la Chiesa gerarchica non poteva assolvere, neppure mediante il suo clero secolare. Lo fece senza spirito né polemico né apologetico. Anche oggi per motivi diversi (ma non del tutto!) – ha proseguito – le masse si sono alienate dalla Chiesa istituzionale. Si è creato un fossato. Molta gente non è più in grado di arrivare a Gesù attraverso la Chiesa; bisogna aiutarla ad arrivare alla Chiesa attraverso Gesù, ripartendo da Lui e dal vangelo. Non si accetta Gesù per amore della Chiesa, ma si può accettare la Chiesa per amore di Gesù”.
Tuttavia, per farlo bisogna vincere molte resistenze interne. “Noi cattolici – ha detto Cantalamessa – siamo più preparati, dal nostra passato, a fare i “pastori” che i “pescatori” di uomini, cioè siamo preparati a pascere le persone che sono rimaste fedeli alla Chiesa, che non a portare a essa nuove persone o a “ripescare” quelle che se ne sono allontanate. La predicazione itinerante scelta per sé da Francesco, risponde proprio a questa esigenza. E sarebbe un peccato se l’esistenza di chiese e di grandi strutture proprie facessero anche di noi francescani solo dei pastori e non dei pescatori di uomini”.
Ecco un compito specifico dei francescani, – ha affermato padre Cantalamessa – poiché “siamo in una posizione unica per farlo. Ci predispone a questo ruolo l’eredità del nostro Padre Francesco, l’immenso patrimonio di credibilità che si è acquistato presso l’umanità intera. La sua intuizione di una fraternità universale, che si estende a tutte le creature, accompagnata dalla scelta della minorità, fanno di lui e dei suoi seguaci i fratelli di tutti, i nemici di nessuno, i compagni degli ultimi. La scelta di Papa Giovanni Paolo II di Assisi come luogo di incontro delle religioni, e innumerevoli altre iniziative sono un segno di questa vocazione dei figli di Francesco”. La condizione per poter svolgere questo compito di “ponte tra la Chiesa e il mondo” è l’avere, “come Francesco, un profondo amore e fedeltà alla Chiesa e un profondo amore e solidarietà con il mondo, soprattutto il mondo degli umili”. E un mezzo certamente non trascurabile – ha osservato – “è anche il nostro saio francescano. Attraverso di esso, Francesco si fa presente anche visibilmente agli uomini di oggi. Se la gente non ci vede mai con l’abito come fa a individuarci come figli di san Francesco?” Il saio è infatti il segno che richiama all’ideale evangelico della povertà. Un ideale che è pienamente francescano e che non può non interrogare anche gli attuali figli del santo di Assisi: come ha ricordato Benedetto XVI, per restaurare la casa di Dio, per aiutare i pastori della chiesa a rendere sempre più bello il suo volto di sposa di Cristo, come Francesco ogni francescano comincia da se stesso. Non si tratta solo di essere “per i poveri”, per promuovere iniziative sociali. “A noi francescani – ha concluso Cantalamessa – non basta una “scelta preferenziale dei poveri”, occorre anche una scelta preferenziale della povertà”.

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"