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Anselmo: fides et ratio

Autore:
Oliosi, don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Al Papa spetta sempre l’ultima parola per le questioni di Chiesa

«C’è un terzo ammonimento che Anselmo rivolge alla vita ecclesiale dei nostro giorni: non perdete mai di vista, egli esorta, la funzione primaria e insostituibile della Sede di Pietro.
Durante la lunga e aspra lotta per salvare la “libertas Ecclesiae” dalle invadenze arbitrarie del potere politico, il Primate d’Inghilterra rimane solo. “Anche i miei vescovi suffraganei – egli scrive con qualche malinconia – non mi davano altri consigli che quelli conformi alla volontà del re” (Epistola 210). Allora cerca, e ottiene, l’appoggio, l’incoraggiamento, la difesa del vescovo di Roma, cui fiduciosamente ricorre.
- Anselmo sa che a Pietro e ai suoi successori (e non ad altri) Gesù ha detto: “Conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32);
- sa che a Pietro ai si suoi successori (e non ai vari opinionisti nella “sacra doctrina”, per quanto dotti e geniali) Gesù ha promesso: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19);
- sa che a Pietro ai suoi successori (e non all’una o all’altra colleganza ecclesiastica o culturale) Gesù ha dato il compito di pascere l’intero suo gregge (Gv 21,17).
Egli lo sa, e anche noi non dobbiamo mai dimenticarlo: la Sede Apostolica è sempre il normale punto di riferimento e l’ultimo insindacabile giudizio per ogni problema che riguarda la verità rivelata, la disciplina ecclesiale, l’indirizzo pastorale da scegliere.
L’arcivescovo di Canterbury ricambiò poi l’aiuto ricevuto dal Romano Pontefice con una fedeltà intemerata, che tra l’altro gli costò a più riprese il disagio e l’amarezza dell’esilio.
Anselmo di Aosta, come si vede, ha un posto prestigioso e benefico nella storia della Chiesa, nella storia della santità, nella storia del pensiero umano; noi diciamo grazie al Signore che ce lo ha suscitato.
Oggi ancora è una figura e una personalità davvero attuale. Sicché ci viene spontaneo contare sulla sua intercessione presso Dio a favore di questi nostri tempi; di questi nostri tempi che così spesso sono costretti ad ascoltare dai più diversi pulpiti la voce baldanzosa dei molti profeti del niente e i discorsi dei compiaciuti assertori di un destino umano senza plausibilità, senza significato senza speranza» [Cardinale Giacomo Biffi, Omelia nella Messa nella Cattedrale di Aosta per il nono centenario della morte di sant’Anselmo, 21 aprile 2009].

In vista delle celebrazioni del IX centenario della morte di Sant’Anselmo (21 aprile 1109) Benedetto XVI ha inviato al Cardinale Giacomo Biffi, suo Legato per la città di Aosta, uno speciale messaggio per richiamare i tratti salienti di questo grande monaco, teologo e pastore d’anime, una delle figure più luminose nella tradizione della Chiesa e nella stessa storia del pensiero occidentale europeo. L’esperienza monastica di Anselmo, il suo metodo originale di intelligenza della fede nel ripensare il mistero cristiano, la sua sottile dottrina teologica e filosofica, il suo insegnamento sul valore inviolabile della coscienza e sulla libertà come responsabile adesione alla verità e al bene, la sua appassionata opera di pastore d’anime, dedito con tutte le forze alla promozione della “liberà della Chiesa”, non hanno mai cessato di suscitare nel passato il più vivo interesse, che il ricordo della morte sta felicemente riaccendendo e favorendo in diversi modi e in vari luoghi.
Il cardinale Biffi ha sintetizzato la splendida e fervida avventura umana di Anselmo, pur connotata sempre da un’assoluta coerenza interiore, in tre tempi, tra loro dissimili e lontani per diversità di compiti, di attenzioni, di responsabilità:
- all’inizio ci sono gli anni vissuti nella sua terra natale di Aosta, gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e della prima giovinezza rivelandosi già un instancabile ricercatore di Dio, anelante a un’esistenza ricca di senso e soprannaturalmente motivata;
- il secondo periodo, che si protrae per trent’anni, si colloca nell’abbazia di Bec, in Normandia, dove è prima di tutto un monaco esemplare. Poi, come priore e come abate, ha modo di manifestare le sue doti di educatore e pedagogo originale, di sapiente maestro nella vita di preghiera, di formidabile ragionatore, oltre che di indagatore intelligente e geniale della verità rivelata;
- infine negli ultimi sedici anni, divenuto arcivecsovo di Canterbury e primate d’Inghilterra, si rivela pastore coraggioso e saggio, innamorato della sua Chiesa, che egli difende dalle prepotenze e dall’avidità dei re normanni Guglielmo il Rosso ed Enrico I, eredi e degni figli di Guglielmo il Conquistatore.

Dio gli appare come ciò di cui non è possibile pensare qualcosa di più grande: forse a questa intuizione non era estraneo lo sguardo volto fin dalla fanciullezza a quelle vette inaccessibili della Val d’Aosta
Anche quando lascerà Aosta nel tempo della sua giovinezza, egli continuerà a portare nella memoria e nel cuore un fascio di ricordi che non mancheranno di riaffiorare alla sua coscienza nei momenti più importanti della vita. Tra questi ricordi, un posto particolare avevano certamente l’immagine dolcissima della madre e quella maestosa dei monti della sua Valle con le loro cime altissime e perennemente innevate, in cui egli vedeva raffigurata in un simbolo avvincente e suggestivo, la sublimità di Dio. Ad Anselmo – “un fanciullo cresciuto tra i monti” – Dio appare come ciò di cui non è possibile pensare qualcosa di più grande. Già da bambino infatti riteneva che per incontrare Dio occorreva “salire sul vertice della montagna”. Di fatto, sempre meglio egli si renderà conto che Dio si trova a una altezza inaccessibile, situata oltre i traguardi a cui l’uomo può arrivare, dal momento che Dio sta al di là del pensabile, anche se ogni pensare, ogni conoscere rimanda a Lui. Per questo il viaggio alla ricerca di Dio, almeno su questa terra, non si concluderà mai, ma sarà sempre pensiero ed anelito, rigoroso procedimento dell’intelletto e implorante domanda del cuore.
Anselmo rabbrividirebbe della cultura odierna, condizionata e dominata da un soggettivismo assoluto, dissolvendosi in una visione pessimistica della naturale conoscenza umana per cui l’uomo (così pensano in molti) non sarebbe in grado di approdare a nessuna verità, al bene, a Dio, conoscenza che non sia provvisoria e intrinsecamente relativa. Quando si tratta delle questioni che contano cioè della sensibilità per la verità, della ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana sulla nostra origine, sulla sorte ultima dell’uomo, su una qualche persuasiva ragione del nostro esistere, le certezze oggi vengono irrise e persino colpevolizzate. Le domande più serie, quando non sono censurate sul nascere dalla varie ideologie dominanti, sono consentite solo come premessa e impulso alla proliferazione dei dubbi. Ma così si estingue nell’uomo ogni necessaria fiducia: come possiamo rassegnarci ad aggrappare la nostra univa vita ai punti interrogativi che non hanno risposta?

Il metodo teologico di sant’Anselmo si accendeva e si illuminava nell’orazione: l’intelligenza della fede è un avvicinarsi alla visione del Dio vivente Padre, Figlio Spirito Santo, alla quale tutti aneliamo e della quale speriamo di godere alla fine del nostro pellegrinaggio terreno
L’intensa brama di sapere e l’innata propensione alla chiarezza e al rigore logico spingeranno Anselmo verso le scholae del suo tempo. Egli approderà così al monastero di Le Bec, dove verrà soddisfatta la sua inclinazione per la dialettica, e soprattutto si accenderà la sua vocazione claustrale. Soffermarsi sugli anni della vita monastica di Anselmo significa incontrare un religioso fedele, “costantemente occupato in Dio solo e nelle discipline celesti” – come scrive il suo biografo – tanto da raggiungere “un tale vertice di speculazione divina, da essere in grado, per la via aperta da Dio (che possiede un volto umano in Gesù), di penetrare e, una volta penetrate, di spiegare le questioni più oscure, e in precedenza insolute, riguardanti la divinità di Dio e la nostra fede, e di provare con chiare ragioni che quanto affermava apparteneva alla dottrina cattolica” (Vita Sancti Anselmi, i, 7).
Il Santo mirava a raggiungere la visione dei nessi logici intrinseci al mistero, a percepire la “chiarezza della verità”, e perciò a cogliere l’evidenza delle “ragioni necessarie”, intimamente sottese al mistero. Un intento certamente audace, sul cui esito si soffermano ancora oggi gli studiosi di Anselmo. In realtà, la sua ricerca dell’”intelletto” disposto tra la “fede” e la “visione” proviene, come fonte, dalla stessa fede ed è sostenuta dalla confidenza con la ragione, mediante la quale la fede in certa misura si illumina. Di sua natura la fede fa appello all’intelligenza, perché svela all’uomo la verità sul suo destino e la via per raggiungerlo. Anche se la verità rivelata è superiore ad ogni nostro dire e i nostri concetti sono imperfetti di fronte alla sua grandezza ultimamente insondabile (Ef 3,19), essa invita tuttavia la ragione – dono di Dio fatto per cogliere al verità – ad entrare nella sua luce, diventando così capace di comprendere in una certa misura quanto ha creduto. L’intento di Anselmo è chiaro: “innalzare la mente alla contemplazione di Dio” (Proslogion, Proemium). Rimangono, in ogni caso, programmatiche per ogni ricerca teologica le sue parole: “Non tento, Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano mettere a confronto con essa il mio intelletto; ma desidero intendere, almeno fino a un certo punto, la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire” (Proslogion 1). Chiaro qui il connubio fra le due ali di fede e ragione per la contemplazione della realtà in tutti fattori cioè della verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza. “Ai nostri giorni – Biffi – non sono pochi – e non sono tra i meno sicuri di sé e i meno loquaci – quelli che giudicano fede e ragione due forme di cognizione tra loro incompatibili e del tutto alternative: chi ragiona (essi affermano) non ha bisogno di credere; e chi crede per ciò stesso esce dall’ambito della razionalità (così ritengono con irremovibile e dogmatica convinzione). Anselmo rabbrividirebbe davanti a questo atteggiamento mentale. Per lui – e per un cristiano adeguatamente informato – la fede non solo non è separabile dalla ragione e non la mortifica, ma è addirittura l’esercizio estremo e più alto della nostra facoltà intellettiva”.
In Anselmo, priore ed abate di Le Bec troviamo anche il carisma di esperto maestro di vita spirituale, che conosce e illustra le vie della perfezione monastica. Al tempo stesso, si resta affascinati dalla sua genialità educativa, che si esprime in quel metodo del discernimento che è lo stile di tutta la sua vita, uno stile in cui si compongono la misericordia e la fermezza. Peculiare la capacità che egli dimostra ne’iniziare i discepoli all’esperienza dell’autentica preghiera. La nostalgia del monastero lo accompagnerà per il resto della sua vita. Lo confessò egli stesso quando fu costretto, con vivissimo dolore suo e dei suoi monaci, a lasciare il monastero per assumere il ministero episcopale al quale non si sentiva adatto.
Nominato arcivescovo di Canterbury e iniziatosi, così, il suo cammino più tribolato, appariranno in tutta la loro luce il “suo amore della verità”, la sua rettitudine, la sua rigorosa fedeltà alla coscienza, la sua “liberà episcopale”, la sua “onestà episcopale”, la sua insonne opera per la liberazione della Chiesa dai condizionamenti temporali e dalle servitù di calcoli non compatibili con la sua natura: “Preferisco essere in disaccordo con gli uomini che, d’accordo con loro, essere in disaccordo con Dio”.
“Si comprende come – conclude il suo messaggio Benedetto XVI -, per tutte queste ragioni, Anselmo conservi tuttora una grande attualità e un forte fascino, e quanto possa essere proficuo rivisitare e ripubblicare i suoi scritti, e insieme rimeditare la sua vita. Ho appreso perciò con gioia che Aosta, nella ricorrenza del IX centenario della morte del Santo, si stia distinguendo per un insieme di opportune e intelligenti iniziative – specialmente con l’accurata edizione delle sue opere – nell’intento di far conoscere e amare gli insegnamenti e gli esempi di questo suo illustre figlio: Affido a Lei, venerato Fratello, il compito di recare ai fedeli dell’antica e cara Città di Aosta l’esortazione a guardare con ammirazione e affetto a questo grande loro concittadino, la cui luce continua a brillare in tutta la Chiesa, soprattutto là dove sono coltivati l’amore per le verità della fede e il gusto per il loro approfondimento mediante la ragione. E, infatti, la fede e la ragione – fides et ratio – si trovano in Anselmo mirabilmente unite”.

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