Condividi:

Senza Dio, non cʼè né bene né male

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Se si prescinde da Dio, se Dio è assente manca la bussola del bene e del male

«Dio. Nella mia recente Enciclica ho tentato di mostrare la priorità di Dio sia nella vita personale che anche nella vita, nella storia e nella società del mondo. Certamente la relazione con Dio è una cosa profondamente personale, e la persona è un essere in relazione e se la relazione fondamentale, la relazione con Dio non è viva, non è vissuta, anche tutte le altre relazioni non possono trovare la forma giusta..
Ma questo vale anche per la società, per l’umanità come tale, anche qui se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assente manca la bussola per mostrare l’insieme di tutte le relazioni, per trovare la strada, l’orientamento dove andare, (la conoscenza del bene e del male). Dobbiamo di nuovo portare in questo mondo la realtà di Dio, farlo conoscere (attraverso anche l’ala della ragione) e farlo presente (attraverso l’ala della fede)» [Benedetto XVI, Omelia dei Vesperi nella Cattedrale di Aosta, 24 luglio 2009].

L’errore più tragico della cultura attuale secolarizzata
Uno dei più fatidici e terribili errori della cultura postmoderna secolarizzata, attraverso anche il dramma attuale della frattura tra Vangelo e cultura, è il superamento del concetto di bene e di male. Non esistono più il bene e il male come realtà, come concetti oggettivi. Ci sono cose che sono convenienti e cose che non lo sono, ci sono cose che fanno male agli altri e cose che no, ma il bene e il male non esistono più. Questo è l’errore più tragico della nostra cultura atea cioè vivere come se la relazione con Dio non fosse necessaria non solo per i credenti ma per tutti, non solo a livello personale, ma sociale, pubblico. Quando tutto è neutro, quando nulla è in realtà davvero cattivo in se stesso, ci troviamo davanti ad un humus perfetto per la germinazione di qualsiasi aberrazione. Se tutto è relativo, perfino lo stesso concetto di aberrazione lo è. Dove non esiste più il bene né il male, non esiste più qualcosa che possa essere aberrante.

Esiste il male cioè la mancanza di un bene dovuto?
Il male e il bene non potrebbero essere concetti che dipendono da come li guardiamo? Non è possibile che si tratti di un aspetto completamente soggettivo? Ciò che consideriamo come bene o come male, non dipenderà da una questione puramente culturale? Ciò che qui è considerato come male, in altri schemi di valore potrebbe essere percepito come bene. Forse ciò che per noi è bene, è riprovevole per gli altri. Non è possibile che tutto sia neutro e, in definitiva, che sia la nostra mente ad essere stata educata dall’inizio a valutare tali concetti sotto un profilo o un altro? Forse sono i nostri genitori, i nonni ad insegnarci da piccoli cosa sia bene e cosa male continuando a ripeterci: Questo è male! Questo bene! Male, molto male, bene, molto bene!
La prima cosa da sapere come persone cioè individui essenzialmente in relazione con noi stessi e con gli altri, con il mondo circostante è che il bene e il male sono concetti oggettivi, perenni e universali; anche se a volte equivochiamo nei nostri giudizi su cosa sia in realtà buono e cosa invece cattivo. Ma il fatto che ci possiamo sbagliare e che, evidentemente, ci sbagliamo, non intacca affatto l’oggettività intrinseca dei due concetti. La malattia, l’omicidio, la mutilazione, l’odio, la miseria, la guerra, il dolore… sono mali, veri e propri mali. La lista potrebbe arrivare a centinaia e migliaia di altri aspetti. J.A. Fortea in Summa Demoniaca, da cui traggo queste argomentazioni che condivido in pieno, afferma che non potremmo mai stilare un elenco completo. Perfino i più entusiastici difensori del relativismo che affermano che il bene e il male è una categorizzazione soggettiva vedono vacillare le loro certezze di fronte a Auschwitz. Quando uno vede i filmati di quel periodo, tutte quelle baracche con dentro esseri umani, uno si rende conto che il male esiste al di là di qualsiasi condizionamento culturale, di qualsivoglia concezione filosofica, politica. Nel vedere quelle baracche uno si rende conto che le ragioni per le quali si arrivò a commettere quei crimini non hanno alcuna importanza, non importa che percentuale di persone, nelle retrovie, sosteneva queste azioni fossero pure maggioranza, non importa il fine per il quale tali scempi venivano giustificati: quello era male al di là di qualsiasi opinione, di qualsiasi considerazione.
Senza relazione viva e vissuta con Dio non potrebbe esistere il bene e il male come bussola per tutte le relazioni
Perché? Perché, per esempio, non avrebbe senso sacrificare la propria vita in onore della giustizia, se non esiste una giustizia vera dopo la fase terrena della vita. L’eroismo estremo fino a lasciarsi uccidere, consumare per amore sarebbe una insensatezza. Perdere l’unica vita che si ha a disposizione se non c’è nulla dopo, supporrebbe perdere tutto di fronte alla mera possibilità di un bene altrui relativo. Il mondo pertanto non sarebbe giusto. E se il mondo non è giusto, se la politica è una banda di ladri, che senso ha sacrificare tutto per un mondo che in se stesso, appunto, non è giusto? Se l’attrattiva dell’utilità terrena è criterio ultimo, senza un garante, un Giudice che garantisce una speranza affidabile, tutto diventa opinabile. Senza la novità della risurrezione per il singolo, per la famiglia umana, per tutto l’universo niente ha senso. Non è giusto che un ragazzo muoia a sedici anni soffrendo dolori terribili, e un altro muoia a ottanta godendo di ottima salute fino all’ultimo.. Non è giusto che uno viva nella miseria, e un altro nella maggior ricchezza possibile, nello sperpero. Se la fase terrena si deve spiegare per se stessa, se non c’è nient’altro che la fase temporale della vita tutto è ingiusto. E non varrebbe la pena sacrificare tutta l’esistenza, la vita, mettere al mondo dei figli per un mondo che non è buono, che è cattivo e ingiusto, pur avendo, certamente qualcosa di buono. Il sacrificio, l’autoimmolazione, sarebbe una sciocchezza. L’egoista sarebbe il saggio e il gaudente, colui che approfittasse al massimo della vita, sarebbe il più intelligente.
Questo già lo aveva capito San Paolo quando disse: Se Cristo non è risuscitato siamo i più stupidi degli uomini. Come si può vedere, perfino negli stessi elementi fondamentali del cristianesimo appare la certezza che la lotta fino all’immolazione per i più alti valori ha senso soltanto con una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino: e il Giudizio di Dio è luogo di apprendimento e di esercizio della speranza. Senza questa speranza affidabile, senza questo Giudizio di Dio, l’epicureo sarebbe il più intelligente di tutti noi. E il sanguinario, solo un altro personaggio della variegata fauna umana. Ma avrebbe senso fermare un uomo sanguinario se, per farlo, dovremmo mettere in pericolo la nostra vita? Avrebbe senso se il mondo intero non è altro che una giungla regolato dalle leggi della giungla? Voler cambiare queste leggi sarebbe un compito vano. Un mondo che prescinde da Dio, se Dio è assente manca la bussola per tutte le relazioni umane cioè è impossibile un’etica.

E’ possibile un’etica a prescindere da Dio, se Dio è assente nella vita personale, nella storia e nella società del mondo?
L’idea di costruire un’etica a partire dal concetto secondo il quale tutto ha fine in questo mondo, potrebbe sostenersi soltanto nella vaga idea che se uno fa del bene si sente bene con se stesso. Ma che succede se uno si sente bene essendo un perfetto egoista? Bisognerebbe convenire sul fatto che bene e male sono concetti relativi, soggetti a opinioni diverse.
Per questo il bene e il male possono essere oggettivi, perenni e universali soltanto se c’è un garante finale, se c’è una giustizia infinita e perfetta. In definitiva il bene e il male esistono solo se si giunge a conoscere Dio, a vederlo presente in questo mondo. Nella ricerca, originaria in ogni io del vero, del bene, si giunge a Dio e su questo cammino si scorgono le utili luci sorte lungo la storia della fede percependo così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia e aiuta a trovare la via verso il futuro e quindi l’oggettività e l’intangibilità della bontà e dell’iniquità.
E’ chiaro che l’accettare il fatto che esistano un bene e un male oggettivi sono conseguenza della ricerca della verità cioè di Dio. E il pericolo del nostro mondo occidentale – per parlare solo di questo ma oggi la globalizzazione lo estende a tutto il mondo – è oggi che l’uomo si arrenda davanti alla questione della verità, si pieghi davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretto a riconoscerla come criterio ultimo, senza etica con le disastrose conseguenze che stiamo esperimentando anche a livello economico – finanziario mondiale. Questo è un altro dei nefasti frutti del postmodernismo secolarizzato, pensare che non esista più una verità, Dio, il Suo Giudizio come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza affidabile. In un mondo che prescinde da Dio, dove Dio è assente non è possibile un’etica universale, ma solo migliaia e migliaia di opinioni. L’unico garante della verità è la realtà di Dio, conosciuto e presente, vicino. L’evangelizzazione ci fa esperimentare un Dio vicino, che si fa conoscere, che mostra il suo volto, si rivela possedendo un volto umano e rivelando anche chi è ogni uomo, da dove viene e a che cosa è destinato. Egli Dio è il custode della nostra libertà, dell’amore, della verità, una presenza che non ci abbandona mai e ci dona la certezza che è bene essere, è bene vivere. E’ l’occhio dell’amore che ci dà con certezza che cosa è bene e che cosa è male e quindi l’etica, la libertà del bene.

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"