Australia
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Okay: non mancano i paesaggi mozzafiato, molti dal vero, altri ritoccati in digitali. Non manca la storia d’amore tra i due belloni, veramente belli, anche se la Kidman è stata pesantemente ritoccata e levigata al computer. Non manca la storia d’amore, i baci interminabili che fanno tanto Via col vento. Non manca la storia di riscatto e denuncia sociale che fa tanto La generazione rubata più Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche. Non manca la donna progressista in anticipo sui tempi. Non mancano la guerra e i bombardamenti. Il che ci ricorda tanto Pearl Harbour. E non mancano nemmeno le tante, troppe citazioni cinematografiche, dal Clint Eastwood palestratissimo di Hugh Jackman alla Kidman che scimmiotta la Cardinale in C’era una volta il West, all’immancabile Via col vento, più una serie di western tra cui è riconoscibilissimo almeno Il fiume rosso. Non manca niente, in apparenza, nemmeno i toni da commedia sofisticata con cui, di fatto, si apre il film. Ma a mancare, in questo film interminabile, denso di personaggi, situazioni, cambi di ritmo e lacrime è paradossalmente proprio il cinema. Il cinema di un tempo, quello che Luhrmann si prova a recuperare, un cinema di grandi spazi, emozioni e attori, ma anche il cinema di oggi, che sarà anche meno coinvolgente, più freddo nonostante tutti gli effetti di questo mondo, ma almeno un qualsiasi Zwick o Bay avrebbe potuto rendere il bombardamento dei giapponesi su Darwin nel finale del film, un pochino più suggestivo, magari anche fracassone. Invece Luhrmann, forse perché è sempre dura bissare il successo (è suo il memorabile Moulin Rouge!), o forse perché semplicemente il drammone non è proprio il suo genere, ha voluto mettere di tutto e di più in Australia, addirittura spingendosi a fare due film in uno. La cesura è evidente: a una prima parte più comica e avventurosa, che racconta l’esodo delle vacche guidate dalla dama e il mandriano, subentra, dopo la morte di un primo antagonista, una seconda parte, meno avventurosa e più orientata verso il melodramma bellico. Il problema è che bisogna essere proprio bravi e avere uno sceneggiatore in gamba se si vuole mantenere desta l’attenzione dello spettatore per quasi tre ore. E invece, il film, che pure ha dei buoni momenti da un punto di vista visivo – alcune sequenze del viaggio con la mandria sono suggestive – scivola nello scontato e nel prevedibile molto presto. Un po’ per un voler caricare troppo sulle spalle dei due protagonisti molto carini, ma poco sexy e fuori parte, con il risultato di non approfondire personaggi che avrebbero potuto concorrere alla tensione o magari stemperarla attraverso la comicità. Personaggi lasciati per strada sono tanti, troppi: tutta la “squadra” del mandriano, aborigeni e ubriacone inclusi; il “coro” delle donne in città; l’ufficiale dell’esercito. Male anche la gestione dei due “cattivi”: troppo signorile e poco efficace Mr Carney, troppo sopra le righe il personaggio interpretato da David Wenham. Senza guizzi, anzi con parecchie lentezze anche la storia d’amore tra i due protagonisti non aiutati da una sceneggiatura che per voler dire troppo, dice solo banalità. Insomma, nel complesso, un film accettabile se visto su poltrone morbide ma che non concilino troppo il sonno, ma deludente dal punto di vista dello sforzo produttivo (si parla di più di 140 milioni di dollari), dei nomi “coinvolti”. Alla fine, quello che doveva essere il film – manifesto di un’intera nazione-continente è poco più che un ricco catalogo illustrato Alpitour. Con il risultato che il pubblico, che scemo non è, va a vedere altro.