Black hawk down
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È San Valentino, regalatevi un bagno di sangue. Scena 1: appena iniziata la missione, un Ranger viene ferito da una granata che gli tronca di netto la mano. Senza batter ciglio, si rialza e se la mette in tasca (la mano). Scena 2: una mina sventra in due un soldato americano: si inquadrano budella e interiora. Scena 3: una raffica di proiettili investe l’autista di una camionetta. Vetri, sangue e piaghe negli occhi del poveraccio. Scena 4: un uomo ferito senza più la pancia viene soccorso da due suoi compagni: gli annodano le arterie sotto il tessuto pelvico perché si fermi l’emorragia. Il tutto inquadrato sin nel vaso sanguigno minimo. È morale uno sguardo del genere sull’uomo e sulla sua sofferenza? No. La guerra è una porcheria, ma per raccontarla non è necessario mostrare tutto, membra e corpi straziati, sin nei minimi dettagli, alla stregua di un film pornografico. In un mondo sempre più morbosamente attratto dall’immagine, che si rispetti almeno i due momenti in cui il Mistero si fa incandescente nella vita dell’uomo: la nascita e la morte. Ma se anche grandi registi, (come Scott) razzolano nella melma, chi ci salverà?