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Il bambino con il pigiama a righe

Regia:
Mark Herman
Nella Germania nazista il figlioletto di un ufficiale delle S.S. fraternizza con un coetaneo ebreo internato in un lager.
Voto: 7,0

Piccolo film diretto dal regista di Grazie, signora Thatcher. Budget ridottissimo, un piccolo gruppo di attori, location per gran parte in interni. La storia, tratta dal best seller di John Boyden, è dura e struggente senza mai essere patetica. Merito del regista inglese che decide di lasciare fuori scena le sequenze più dolorose e di mantenere quasi sotto traccia i sentimenti dei protagonisti. Bravi tutti, dai due giovanissimi interpreti ai genitori di Bruno, il protagonista, David Twiliss e soprattutto Vera Farmiga, molto elegante nei panni della moglie piena di dubbi del militare. Soprattutto, il film colpisce per l’approccio al dramma dell’Olocausto, vero e proprio filo rosso del cinema del Dopoguerra. Non è la prima volta che si tenta di raccontare una storia dal punto di vista dei più piccoli con esiti a volte molto alti (La vita è bella), a volte medi (Jakob il bugiardo). Con Il bambino con il pigiama a righe la novità è che il punto di vista del piccolo Bruno coincide totalmente con quello dello spettatore a tal punto che l’ultimo quarto d’ora carico di tensione è quasi insostenibile quanto a coinvolgimento e emozioni. Una storia semplice, a metà tra la fiaba con tanto di orchi cattivi, selve oscure e castelli inquietanti e il racconto di formazione con al centro l’ingenuità e lo sguardo puro di un bambino che non può nemmeno concepire freddamente il Male, anche se è capace di farlo, nel proprio piccolo, come tutti e come tutti desidera redimersi e riparare al danno. Un film sincero e realista anche nel rappresentare l’altro mondo, quello degli aguzzini, in un modo quanto meno vario nonostante qualche didascalismo di troppo: non tutti erano Nazisti, non tutti sapevano e chi sapeva, per una comprensibile debolezza, non osava ribellarsi.

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