Il cerchio
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La vita di sofferenza di alcune donne nell’Iran dei nostri anni. Non è che impazzisca di gioia davanti ad un film iraniano. Anzi, di solito mi rompo un po’ perché il ritmo è quello che è e le storie più o meno sempre le stesse (storie di ordinario progressismo: emancipazione della donna, aborti, libertà della persona...), tanto che su queste coproduzioni (spesso franco-iraniane) sorge sempre il dubbio che siano prodotti fatti ad hoc per il pubblico cinefilo e tollerante dell’Europa occidentale. Rimane comunque il documento sulla società civile dei paesi islamici, come in questo caso. Il cerchio, vincitore a Venezia due anni fa, è il prototipo del film fatto con soldi occidentali e indirizzato ai cuori degli europei, ma che, nonostante una certa retorica diffusa, ha il pregio di mettere a fuoco la condizione della donna in Iran. Che equivale a zero. Donne cacciate di casa perché la creatura che hanno dato alla luce è femmina, ragazze schiacciate dalla società perché incinte, ex detenute costrette a battere perché senza speranza, donne senza nemmeno la dignità di poter essere chiamate per nome. E poi dicono che la Chiesa è maschilista.