Il mondo di Horten
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Fiaba triste e grigia, con un inaspettato finale positivo. Ma il film è interessante per altro: è la storia, tutta giocata sull’attore protagonista, il bravissimo Bard Owe, già visto in parecchi film di Von Trier, del dramma di un uomo piccolo e solo, senza più lavoro, affetti ma pieno di rimpianti. Odd Horten, infatti, è un macchinista e la sua vita si snoda lunga e semplice come le rotaie del treno che ogni mattina conduce per le lande innevate della Norvegia profonda. Taciturno, sembra procedere per inerzia dopo aver subito il dramma del pensionamento: cerca un amico a cui vendere la barca, va a trovare la madre anziana e malata, incontra casualmente un tipo un po’ strano che lo invita a casa propria e lo conduce in macchina guidando bendato. Ben Hamer, già regista dell’originale Kitchen Stories e di Factotum, tratta con delicatezza il proprio personaggio e il suo mondo, senza dare giudizi e nemmeno senza troppi discorsi: da un punto di vista narrativo guarda ovviamente al cinema stralunato di Kaurismaki, proprio a partire dal mestiere di Horten (nel memorabile Nuvole in viaggio, il protagonista era un autista di tram) e gioca molto sulle atmosfere e soprattutto sugli oggetti, oggetti di solitudine e rimpianto: una pipa, delle maschere appese a una parete, una fotografia sbiadita, una divisa e la metafora, molto bella, del salto con gli sci, quel salto negato alla madre di Horten in gioventù e che Horten tenta nell’oscurità cieca, verso un abbraccio certo. E’ l’augurio che facciamo a tutti: che alla fine del tunnel oscuro ci sia un’uscita e ci sia, soprattutto, un abbraccio.