Il passato è una terra straniera
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Un racconto di perdizione morale e fisica. Era questo l’obiettivo di Daniele Vicari lavorando sull’adattamento del romanzo omonimo di Gianrico Carofiglio. L’esito cinematografico convince solo a metà. Vicari, che ha alle spalle un’esperienza di cinema molto variegata dal cinema di genere (Velocità massima) al documentario civile (il recente Il mio paese) cerca innanzitutto di dirigere gli attori. E lo fa bene: Elio Germano, ormai volto riconoscibile, e soprattutto Michele Riondino sono la cosa migliore del film. Sono convincenti nei panni di due giovani, per motivi differenti, annoiati del vivere e della routine quotidiana, e sono i loro volti a dominare su una storia che ha molti momenti oscuri, più che altro per demeriti di sceneggiatura. Vicari, che formalmente sembra ammiccare al cinema di Lynch, infatti, cerca di restituire al cinema un mondo, quello delle scommesse clandestine, attraverso più che altro dei volti e semplici accenni di situazioni, che non approfondendo storie che potenzialmente sarebbero potute essere interessanti. Non conosciamo infatti praticamente nulla della storia che sta alle spalle di Francesco, sul quale per un attimo si lascia intravedere l’esistenza di una madre malata; sappiamo un po’ di più ma sempre poco della storia di Giorgio (Elio Germano) che vive un rapporto travagliato col padre; sappiamo pochissimo anche del personaggio interpretato da Chiara Caselli con cui il Germano stesso intrattiene una relazione adulterina. Manca cioè uno sfondo d’ambiente, ma anche sociale e psicologico al film di Vicari, che da un punto di vista narrativo apre molte parentesi che si dimentica di chiudere (l’escursione di Spagna e la partita di droga, per esempio). E, mancando lo sfondo, manca di conseguenza anche la sostanza, cioè la statura tragica dei due protagonisti semplicemente e correttamente descritti nel loro celere e inarrestabile degrado, ma decisamente poco appassionanti.