Il petroliere
- Regia:
- Curatore:
- Cast:
Che film eccezionale. Era da tanto tempo che non rimanevo così colpito da un film come Il petroliere. Innanzitutto per i tanti echi al cinema che conta e che da tanto tempo nessuno aveva il coraggio di tirare in ballo. Registi come Orson Welles o John Ford, per esempio, che appaiono intoccabili da anni, anche perché nessuno negli ultimi anni, con l’eccezione forse del solo Clint Eastwood, è mai in grado di confrontarsi con loto, con i veri Maestri. P.T. Anderson l’ha fatto. L’ha fatto, dal basso dei suoi 38 anni anagrafici e dei suoi 3 film precedenti (almeno due dei quali, Boogie Nights e Magnolia veri capolavori). P.T. Anderson l’ha fatto, con un occhio alla narrazione fluida del suo Maestro a cui il film è stato dedicato, Robert Altman, e un altro al suo altro Maestro appassionato, quel Sergio Leone che è evocato nel lungo e muto intro al film. E poi i tanti riferimenti letterari, anche qui diversi e altissimi. Perché è facile trovare i riferimenti, oltre al romanzo Oil! di Upton Sinclair, anche a tante pagine di John Steinbeck e Flannery O’Connor. Dal primo, Anderson eredita il racconto famigliare e biblico e generazionale, non dimenticando il contesto sociale. Dalla seconda, Anderson sembra aver preso lo stile fiammeggiante, anche qui i tantissimi riferimenti biblici e almeno due figure eccezionali, quella del giovane predicatore e quella del vecchio un po’ pazzo, con nipote al seguito, che obbliga il protagonista, Daniel Plainview ad immergersi nel sangue dell’Agnello. Stessa vicenda o quasi de Il cielo è dei violenti, il secondo e purtroppo ultimo romanzo di Flannery, la vicenda di un vecchio predicatore pazzo e santo che affida il compito di battezzare il figlio malato di un lontano (e ateo) nipote. E poi, quello stile fiammeggiante, con alcune sequenze altamente suggestive come quella dell’incidente al pozzo sembrano prese di peso da un racconto della stessa O’Connor, Il cerchio di fuoco. E in generale quell’impasto tra fede e superstizione, santità e pazzia, peccato e condanna, quel dissidio che poi diventa lotta drammatica tra il Padre e il Figlio, sullo sfondo di un’America semplice e rurale e ignorante è autentico patrimonio flanneryano, compreso il finale tragico e inaspettato e brusco che chiama in causa la libertà dello spettatore e del protagonista rispetto al proprio destino. Finalmente anche a lei, scrittrice grandissima e cinematograficamente perfetta, il cinema ha attribuito un grande, grande omaggio. Ora, resta a noi recuperare subito i suoi libri e i suoi racconti.