Il riccio
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Una storia di iniziazione. L’ennesima, si potrebbe pensare. Un’iniziazione all’amore, per la cultura, per la diversità e per l’altro. La giovanissima esordiente Mona Achache ha tratto dal best seller di Muriel Barbery un film pulito e corretto, piuttosto elegante, con attori in gamba (anche se la protagonista è a tratti irritante e antipatica). Tutto ambientato tra le mura di un condominio signorile in cui vivono famiglie più che benestanti, è la storia di un rapporto che cresce sfidando e superando il pregiudizio tra la giovane rampolla di un ministro e una brutta portinaia. Tra i due, con la complicità inaspettata di un nuovo inquilino giapponese (a nostro avviso il personaggio più riuscito nella versione cinematografica) nascerà un rapporto all’insegna della condivisione e del rispetto. A leggerne semplicemente la trama, il film della Achache sembra uno dei tanti film a tesi, ottimisti, che mettono a tema tanti temi di interesse sociale, in realtà il film è un film di rapporti e racconta con semplicità e senza fronzoli, come svela un finale tuttavia controverso e forse un po’ forzato e troppo letterario, un’apertura alla vita, cioè all’amore della portinaia vedova che per anni aveva vissuto nel chiuso della sua stanza, china a leggere sognante tonnellate di libri. Come ci si apre alla vita ? Non con un discorso, ci indica, sequenza dopo sequenza, la regista, ma attraverso un incontro inaspettato e gratuito: l’inquilino giapponese, colto, elegante che ti ama per come sei, perché ci sei, a prescindere dalla classe sociale, dal lavoro umile o dall’abito. E anche l’amore per la lettura, per il cinema colto ed elegante (il venerabile Ozu). E’ questo il tratto più significativo di un film che pare segnato nella prima parte dalla disperazione o dal cinismo: la ragazzina protagonista medita, anzi progetta il suicidio per non vivere come i genitori, in un’enorme boccia trasparente come i pesciolini rossi. Un cinismo e una disperazione dovuta a un’incomunicabilità estrema, diremmo quasi assoluta: non solo la ragazzina fa fatica letteralmente a entrare in rapporto coi genitori (ha bisogno infatti del filtro di una telecamera soltanto per osservarli), ma nel palazzo in generale tra i vicini regnano cortesia e buone maniere ma al fondo una sostanziale indifferenza dell’altro. Un tratto, sia detto senza cattiveria, tipicamente francese. Solo l’arrivo di un ospite inatteso che con pazienza e con l’attesa cambierà il cuore delle due protagoniste.