In Bruges
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Variazione sul genere gangster in chiave umoristico-grottesca. Gli elementi del genere ci sono tutti e sono ben riconoscibili, dal capo banda terribile, interpretato da Ralph Fiennes, ai due killer dal volto umano protagonisti – la coppia Gleeson/Farrell -, al soggiorno forzato. Tutto è però ribaltato in un’ottica deformante: il soggiorno forzato è a Bruges, ridente e pacifica località del Belgio, per un capriccio dell’immelanconito Fiennes. I personaggi incontrati sono per lo più allucinati (come il nano attore in un film di serie B, che si sta girando proprio nella città belga); le situazioni al limite del grottesco (la rissa in cui è protagonista Colin Farrell), sino ad arrivare allo scioglimento drammatico della vicenda, che cita con evidenza il finale di Carlito’s Way, senza rinunciare al solito tono sopra le righe. Film bizzarro ma piuttosto fiacco in cui la regia dell’esordiente McDonagh tende ad accumulare situazioni su situazioni e a combinare registri differentissimi (dal melodramma al gangster movie, al pulp, alla commedia umoristica): non mancano perfino riflessioni metacinematografiche e dialoghi esistenziali. Si cita di tutto e di più, dai film classici del genere a piccolo cult come A Venezia, in un dicembre rosso shocking, ma il risultato non è dei migliori. Un po’ perché l’attenzione dello spettatore è più catturata dai bei paesaggi cittadini, un po’ per il tono un po’ troppo sopra le righe della narrazione e degli attori. Non sempre simpatico come vorrebbe essere, il film sembra di un Woody Allen in cattiva forma e, forse, anche in soggiorno forzato. Pretenzioso.