Io non ho paura
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C’era una volta un bambino e un buco nel terreno. Matteo, dieci anni ed un’anima tersa quanto l’azzurro che lo sovrasta. Suo compagno di giochi un abbraccio di spighe e soltanto questo. Trova un buco nella terra, Matteo. E nel buco, nell’oscurità, trova un piede. E attaccato al piede, il corpo fragile e sporco di un bambino che pare un mostro. Un bambino che parla come un morto e che giace nella solitudine più disperata. Ma Matteo non ha paura del mostro bambino. Si avvicina a lui; gli dà da mangiare; parla con lui; scopre il suo dramma. E, prima di diventargli amico, desidera la sua salvezza. Piccolo grande capolavoro di Gabriele Salvatores, che, abbandonate le velleità autoriali che avevano condizionato gran parte dei suoi precedenti film, si mette al servizio di un ottima sceneggiatura (scritta da Francesca Marciano e Niccolò Ammaniti dall’omonimo romanzo di quest’ultimo), per dirigere un film per e dalla parte dei bambini. Strutturando il film come una favola gotica dove però quasi tutto avviene alla luce splendente del sole mediterraneo e dove i bambini protagonisti hanno a che fare con orchi e viaggi pericolosi, Salvatores gira un film sul dramma del diventare grandi. Dentro quel buco oscuro c’è infatti qualcosa di più che un bambino segregato. C’è tutto un altro mondo, tenebroso ed irrazionale, fatto di violenza e crudeltà. Fatto di calcolo e di interesse. Una prigione in cui è il male a far da padrone ed a dettare legge. Un universo nuovo ed incomprensibile per gli occhi e la mente di un bambino. Una discesa agli Inferi che Matteo non capisce ma che affronta con coraggio, per amore di qualcuno. Notevole anche sotto il profilo tecnico, impressionante da un punto di vista visivo, Io non ho paura vanta anche un parco attori perfetti nel ruolo ed una potenza emotiva rara nel panorama cinico del cinema di oggi.