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L’età barbarica

Regia:
Denys Arcand
Cast:
Marc Labreche, Diane Kruger
Un impiegato scontento del lavoro e infelice a casa, sogna ad occhi aperti una vita diversa.
Voto: 7,0

Jean-Marc Blanc è un uomo senza qualità. Come una versione triste e disperata di Fantozzi vive nel ricco Canada ma è infelice. A casa la situazione è difficile: la moglie, agente immobiliare n°1 del Québec intero passa le giornate al telefono; il rapporto con le figlie è di assoluta indifferenza. L’impiego all’ufficio reclami nella Regione Québec è devastante e inutile. Arrivano a Jen-Marc i casi più folli e paradossali, come quel tizio che ha perso le gambe per un incidente e ora deve risarcire allo Stato il lampione distrutto. E poi il capo, una donna terribile, che non gli fa passare nulla. Deve stare attento a tutto Jean-Marc, sul posto di lavoro: non può fumare perché nella società ricca e salutista canadese il fumo è bandito pena la perdita del lavoro (per questo ci sono addirittura delle pattuglie antifumo con tanto di cani lupo al seguito. Un lavoro mortificante in ufficio in cui ci si sente sempre più soli e certo l’ufficio non aiuta, posto com’è nel centro di un enorme stadio vuoto. Jean-Marc è semplicemente e terribilmente solo in una ricca e terribile società dove sono bandite le parole più scomode (‘negro’ ad esempio è una parola eliminata da un’apposita e solerte Commissione per la Lingue e sostituita con la perifrasi ‘uomo di origini equatoriali’), dove ormai uomini e donne si conoscono attraverso deliranti ‘appuntamenti al buio’, e dove ormai le famiglie “normali” sono una rarità. (“Ormai ero l’unica della classe ad avere una famiglia, constata una delle figlie di Jean-Marc, dopo aver saputo della separazione dei genitori”. Una società oscura più che barbarica (e infatti il titolo del film in originale suona come L’età delle tenebre) che possiede tutto ma che ha perso il senso di tutto. Una Civiltà del Progresso che ha una risposta per tutto ma non per la vita. E infatti teme in maniera ossessiva la morte, che deve essere fatta sparire all’istante come il cadavere della compagna di stanza della vecchia madre del protagonista, nell’ospizio più costoso della città. La morte, che ritorna nel film come una vero e proprio incubo per il protagonista: del resto le radio e le televisioni che non parlano d’altro, di violenze, suicidi e, ovviamente, surriscaldamento globale con il risultato che la gente che nono può fare altro che andare in giro con mascherine antismog.
Al povero e solo Jean-Blanc, l’unico a vivere con coscienza il dramma della vita, non resta che sognare ad occhi aperti, non tanto una vita migliore o diversa, ma semplicemente una compagna, una donna bellissima che possa ascoltarlo e volergli bene. E’ un film radicale, un attacco lucido alla Civiltà del Progresso, L’età barbarica, molto meno compiaciuto de Le invasioni barbariche in cui si celebrava il trionfo della volontà dell’uomo che basta a se stesso su una realtà senza senso e terminava con un suicidio assistito. Molto meno compiaciuto per le lacrime che il protagonista versa sul corpo della vecchia madre ricoverata, e per la ricerca dolente di un significato della vita che gli uomini – questo l’ateo e anticlericale Arcand lo mostra bene – sembrano aver smarrito per sempre. Un senso da ricercare magari nei luoghi e nei modi più assurdi, come in quella mascherata medievale dove la gente gioca all’ideale, nei sogni utopici (che però non reggono fino in fondo) o semplicemente in una casa di campagna davanti al mare, per cercare, se ne è rimasta, almeno un po’ di pace.

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