L’ultimo inquisitore
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E’ un film cupo e pessimista quello firmato dal veterano Milos Forman (Qualcuno volò sul nido del cuculo; Amadeus). Ma anche un film coerente rispetto ad una filmografia fatta di opere sempre scomode incentrate intorno al tema della libertà dell’individuo in opposizione al potere. E il Potere, ritorna in Goya’s Ghosts (titolo ben più efficace dell’ideologico L’ultimo inquisitore voluto dalla distribuzione italiana). Un potere che assume i connotati dell’Inquisizione spagnola, a dire il vero tra parecchi anacronismi (primo fra tutti un’Inquisizione ottocentesca che invece va retrodatata di almeno tre secoli), qualche “libertà” teologica (l’affermazione, per esempio, che la tortura della corda era una dogma della Chiesa) e non poche e strumentali riduzioni in funzione anticlericale (nel film non appare la Chiesa in quanto tale, rappresentata dai soli inquisitori). E’ vero: non mancano critiche ad altre forme di potere, dalla rappresentazione grottesca della monarchia spagnola alla disillusione con cui viene raccontato l’idealismo violento della Rivoluzione francese, ma nel film tali critiche, per quanto inaspettate, rimangono solo accenni. La maggior parte delle critiche sono quelle indirizzate verso una Chiesa rappresentata da un’Inquisizione raffigurata secondo veri e propri cliché: volti mostruosi e bocche senza denti, un sadismo e una violenza psicologica (e carnale) che non si ferma davanti a nulla, utilizzando metodi da Gestapo per far emergere negli interrogatori, attraverso la tortura, il falso piuttosto che il vero, la menzogna piuttosto della verità. Insomma il film ripropone l’immagine di derivazione illuminista, di una Chiesa cloaca dei peggiori istinti, mero strumento di potere ideologico al servizio di sadici violenti oscurantisti. Il risultato è un film molto duro da digerire, anche perché Forman, regista ruvido e molto pratico, sa come colpire la sensibilità dello spettatore, ma che ha anche non pochi punti deboli (a partire da uno script poco efficace che nella seconda parte si perde nel tratteggiare una storia d’amore impossibile per proseguire alla superficiale analisi storica), sorretto interamente dalla grande interpretazione di Natale Portman alle prese con una metamorfosi fisica e psicologica veramente impressionante. Più che un film storico, quindi, - tante infatti le inesattezze storiche e le banalità teologiche - L’ultimo inquisitore si configura come un film a tesi per mostrare la perversione del Potere in quanto tale e in particolare di una Chiesa oscurantista e antisemita, equiparata dallo stesso regista in alcune interviste alle ideologie aberranti e sanguinarie del ‘900: comunismo e nazismo.