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L’ultimo re di Scozia

Regia:
Kevin MacDonald
Cast:
Forest Whitaker, Gillian Anderson
Un giovane medico scozzese giunto come volontario nell’Uganda degli anni ‘70 si imbatte nel carismatico generale Amin. Diventerà il suo medico personale.
Voto: 5,0

Film inglese, diretto da Kevin MacDonald, che un paio di anni fa ci aveva regalato un bel docu-fiction, La morte sospesa, su due alpinisti britannici intrappolati sulle Ande, L’ultimo re di Scozia non è certo un capolavoro. Tanti difetti e qualche pregio. MacDonald ha nelle corde la narrazione realistica e vi riesce anche in questo caso. Il film ha un impatto forte sul pubblico soprattutto per la fotografia notevole (di Antohny Dod Mantle, già direttore della fotografia per gli ultimi film di Lars Von Trier) che non solo dà risalto ai colori e alle suggestive ambientazioni ma riesce anche a dar corpo agli anni ’70 in cui è ambientato il film, a renderli reali a tal punto che il film assume un’aria, per così dire, “anticata”. Detto questo, MacDonald non è o forse non lo è ancora, un regista di attori. Lo si vede bene nell’incapacità di gestire al meglio Whitaker (candidato all’Oscar come miglior attore), interprete notevole, dalla grande capacità mimetica, ma che come spesso capita agli attori di talento tende a strafare, a vampirizzare la scena se non adeguatamente imbrigliato e condotto. Anche la gestione dei vari registri con cui il regista vorrebbe movimentare la vicenda non sempre funziona: se infatti è abbastanza riuscito il rapporto tra il protagonista, il dottor Garrigan (il giovane James Mcavoy, già visto ne Le cronache di Narnia: era il fauno) e la figura carismatica e ambigua di Amin, funziona meno il plot sentimentale, le due storie d’amore, con la dottoressa Sarah Merrit e con una delle mogli di Amin: in particolare quest’ultima, tragica, con cui si vorrebbe simbolicamente sintetizzare la crudeltà del regime di Amin, appare però accessoria e poco funzionale alla narrazione. Piuttosto inverosimile anche lo scioglimento della vicenda nella sequenza degli ostaggi in aeroporto. Non mancano le crudezze, giustificate, ma solo in parte, dal realismo della messa in scena. Al di là delle valutazioni, comunque, colpisce che su cinque nomination come miglior attore, ben tre (oltre a Whitaker, Di Caprio per Blood Diamond e mettiamoci pure lo splendido Will Smith nei panni dell’afroamericano Chris Gardner ne La ricerca della felicità) in qualche modo c’entrino con un continente, quello africano con cui, eccezion fatta per il notevole Hotel Rwanda, Hollywood aveva avuto ultimamente poco a che fare.

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