La casa del diavolo
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Horror relativista, seguito de La casa dei 1000 corpi di un paio d'anni fa. Una famiglia di pazzi assassini, dopo un massacro casalingo, è in fuga per l'America, braccata da uno sceriffo che è più fuori di testa di tutti loro messi insieme. Un horror-western, con tanto di finale nichilista alla maniera del Peckinpah de Il mucchio selvaggio, modello che rimane però lontano dal film di Rob Zombie. Se infatti il nichilismo di fondo de Il mucchio selvaggio conserva ancora un tratto di disperazione cocente (William Holden e compagni lottano per restituire dignità al cadavere di un loro amico sfregiato), ne La casa del diavolo, invece e significativamente, non si ammazza nel nome di qualcuno. Ci si ammazza per divertimento, perché la vita non ha valore. Come non ha valore la famiglia o qualsiasi rapporto umano. Ci sia ammazza per divertirsi. E per dimenticare. Tutto è relativo e non si sa per chi parteggiare. Certo non per la famiglia Firefly che ammazza creature con la leggerezza con cui si possono schiacciare gli insetti ma nemmeno per lo sceriffo Wydell, sadico come pochi. Zombie, al di là della location, aggiunge poche novità all'horror tradizionale. Già visto il clown pazzo, già sentite le musiche martellanti, con l'eccezione di qualche pezzo country. Così come qualche tratto blasfemo (una delle torture escogitate dal tutore delle legge consiste nell'inchiodare ad una sorte di croce le proprie vittime) appare trito e ritrito e disgusta, più che spaventare. Una dose eccessiva di turpiloquio, qualche momento splatter e qualche piccolo quanto incomprensibile riferimento cinefilo (che diavolo c'entra in questa storia Groucho Marx?) fanno il resto, ma non fanno passare velocemente il tempo (due ore per un horror sono fisiologicamente troppe). E alla fine, si esce un po' frastornati e un po' annoiati ma con un'unica certezza incrollabile: la famiglia è un inferno.