La felicità porta fortuna – Happy Go Lucky
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Una maestrina trentenne, carina, coloratissima, un po’ petulante e soprattutto sempre allegra. E’ solo l’ultimo dei tanti ritratti femminile che dominano nel cinema dell’inglese Mike Leigh. Da gli anni Novanta di Naked, Ragazze e Segreti bugie al recente Il segreto di Vera Drake, sono sempre donne le protagoniste di un cinema caratterizzato da un certo realismo nella messinscena, del resto marchio di fabbrica da sempre del cinema britannico e, soprattutto, da un tentativo spesso riuscito di scavare nel cuore, forse anche nell’anima dei personaggi. I film di Leigh interrogano perché pongono sempre delle questioni serie: la difficoltà e responsabilità dell’amicizia (Ragazze); il senso del dolore in Segreti e bugie. Ne La felicità porta fortuna Leigh si interroga sulla felicità e lo fa mettendo in scena una giovane attrice (molto brava: è Sally Hawkins premiata all’ultimo Festival di Berlino) nei panni di una maestra alle prese con le avventure e i guai della vita quotidiana. Imparare a guidare una macchina; intervenire a sedare litigi tra gli alunni; una serata tra le amiche; un corso serale di tango. La maestrina, di nome Poppy, è solare, vitale: è sempre su di giri, ama apparire sempre fuori dagli schemi; insiste a dare colore in un mondo che sembra pennellato soltanto da tonalità scure. E anche quando il dramma fa capolino nella vicenda dura di un suo alunno o nella figura solitaria e triste dell’autista della scuola guida, Poppy non sembra mai perdere il sorriso. Solo apparentemente figura di un ottimismo vacuo e irritante, ben lungi dall’essere una nuova inconsistente Amélie, Poppy sarà forse anche serena e frizzante da un punto di vista caratteriale ma è sola: sin dalla prima sequenza in libreria dove la ragazza fa di tutto per farsi notare e salutare (inutilmente) dal commesso, passando per le serate danzanti e i dialoghi quasi surreali con l’istruttore di scuola guida, Poppy è ai margini: non compresa, trattata con distacco e guardata con pregiudizio, o il più delle volte semplicemente snobbata. Solo la sua compagna d’appartamento e soprattutto un incontro inaspettato con un assistente sociale, fiorito nel dolore, sembrano garantire un minimo di calore e di tenerezza in un mondo segnato dal cinismo e da una certa schizofrenia. In una società dominata dalla solitudine e dall’indifferenza, dove anche le cose più belle, i colori più accessi, le persone più eccezionali non vengono neppure viste, tanto che non ci sia accorge nemmeno di loro, l’unica salvezza, sembra suggerirci Leigh nel bel finale del film, è una piccola fragile compagnia umana: una piccola barchetta su cui le due protagoniste viaggiano nelle acque placide di un laghetto, nell’indifferenza generale del mondo.