Liam
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Ultimo lavoro del prolifico Stephen Frears (due film in due anni: The Hi-lo Country, Alta fedeltà), Liam non è certo un capolavoro: fortemente debitore del cinema impegnato di Ken Loach (soprattutto di Piovono pietre, 1992) Liam ne riprende stancamente le tematiche socio-esistenziali (complicate, tra l'altro, da avvenimenti politici: la protesta sociale che converge nel fascismo ed in moti razzisti), ma trascura la forte carica anarchica che era stato per lungo tempo la firma dello stesso Loach. Liam, invece, si perde nella contemplazione un po' bambinesca un po' buonista di un mondo sull'orlo del precipizio, limitandosi a mostrare da un lato il paternalismo della borghesia (la famiglia ebrea), dall'altro le divisioni autolesioniste degli operai, ma il tutto con ben poca partecipazione morale ed intellettuale. L'impressione è quella del quadretto malinconico di un tempo perduto ed ingiusto, trasfigurato ingenuamente dallo sguardo puro del bambino-vero narratore della vicenda. Ma proprio Liam, interpretato da uno splendido Anthony Borrows, non basta a salvare una storia quanto meno scontata e irrisolta, già vista. Trascurabile.