Lost in translation
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E’ dura essere figli d’arte. Soprattutto quando si ha un padre ingombrante come Francis Ford Coppola, genio indiscusso del cinema degli ultimi trent’anni e più modesto campione di nepotismo italoamericano. Si può dire che l’autore di Apocalypse Now!, abbia sistemato tutta la famiglia ad Hollywood. Una sorella (Talia Shire), a fare Adriana per Rocky Balboa; dei tre nipoti, uno (Cristopher Coppola) è un mediocre regista, gli altri due (Marc Coppola e il più noto Nicolas Cage) sono attori per modo di dire. E quindi i figli: mentre Roman è un altro regista dimenticabile, la più dotata della dinastia è Sofia, la quale, dopo un pessimo avvio come attricetta (era l’imbarazzante Mary Corleone nell’ultimo capitolo de Il Padrino), ha pensato bene di provare la carriera di regista. E l’ha imbroccata: un buon esordio qualche anno fa (Il giardino delle vergini suicide) ed una discreta commedia (Lost in Translation). Una storia di solitudine ma anche di amicizia sincera: due persone smarrite in un mondo lontano si trovano e mettono insieme un bel pezzo della propria vita. Nonostante qualche vezzo autoriale di troppo, un film solido e forte di un buon soggetto, un grande cast ed un finale coraggioso.