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Natale a Rio

Regia:
Neri Parenti
La solita vacanza tra equivoci e volgarità.
Voto: 6,0

Quest’anno la vacanza si è spostata e Rio, ma gli insulti sono rimasti sempre gli stessi. Si può definire “immondo” un film ? “Immondo” ha a che fare con lo schifo, con il ribrezzo; c’è in questa parola un’accezione non semplicemente negativa, ma dispregiativa. Ci sembra esagerato. Eppure l’hanno usato, questo termine, eccome: su riviste di cinema specializzate, persino su settimanali. Il film però non è più brutto di tante altre commedie uscite in questo Natale 2008 ma anche in altri Natali. Il cosmo sul comò, da questo punto di vista è molto più immondo. Perché non fa ridere. Mai. E invece, con buona pace di tutti, dai critici snob ai cinefili che vanno al cinema una volta sì e l’altra pure, ma solo per vedere i film con l’etichetta del Ministero dei Beni Culturali, i film d’Autore, insomma, il film della Banda Filmauro non è un capolavoro: è volgare, anche se meno di altri cinepanettoni, ma riesce nello scopo prefissato. Cioè, fa ridere: ci riesce grazie a una buona professionalità degli attori – tutti molto in gamba, eccezion fatta per la Hunziker, ancora troppo rigida. De Sica e Ghini sono una coppia affiata che ha già fatto dimenticare Boldi che invece, da solo, poveretto, è ridotto a divenire una caricatura di se stesso. Fabio De Luigi si conferma come buon comico, per nulla volgare. Ma Natale a Rio riesce a strappare più di un sorriso grazie all’esperienza di chi sta dietro le quinte: Neri Parenti regista e sceneggiatore, e anche in questo caso i maestrini dalla penna rossa si mettano il cuore in pace, ha una lunga carriera di cinepanettoni e non solo alle spalle e si vede. Sa come costruire delle gag; sa gestire bene la girandola degli equivoci. E’ un buon artigiano che sa fare il proprio mestiere. E poco importa che il film ricicli gag e situazioni già viste: anche il Terzetto de Il cosmo sul comò lo ha fatto e con esiti, anche al botteghino, decisamente modesti. Qui invece funziona tutto, non proprio a meraviglia, ma il meccanismo è ben oliato e le risate partono in automatico, anche magari quando non si coglie proprio tutto (molte delle gag verbali sono a volte incomprensibile per un pubblico meno acculturato, il che può sembra un paradosso). Funziona tutto, perché c’è una professionalità dietro. Non si incassano venti e passa milioni di euro solo facendo leva sugli istinti più bassi del pubblico. La questione è un’altra: Natale a Rio, come tutti i ventiquattro cinepanettoni precedenti ha incassato tanto perché è cinema popolare, è un residuo della commedia popolare degli anni d’oro del cinema italiano, e che qui ovviamente è molto meno satira sociale e molto più superficiale e sbracata (tutta quell’esibizione di marchi pubblicitari…). Ma è cinema popolare: ci si identifica molto di più nei due vitelloni di Ghini e di De Sica che non in tutte le commedie “culturali” buone e meno buone degli ultimi anni: da Commediasexi di D’Alatri alla recente, deludente operazione di Aldo, Giovanni e Giacomo. E’ un fatto, che si rida di fronte a un film di De Sica, vuoto, superficiale ma non senza senso e meno che mai immondo, sporco o schifoso. E’ forse un fatto triste, perché significa che il cinema italiano non riesce più a produrre cinema popolare meno superficiale e più di qualità. Ma è un fatto, questo, che fa pure ridere, mentre bollare come immondo un fenomeno che non si riesce o non si vuole comprendere, forse perché alla maggior parte della critica cinematografica, chiusa nella propria torre d’avorio a sentenziare, sfugge che là fuori, oltre lo schermo esiste un pubblico dotato di mente propria, beh, tutto questo è invece proprio triste, intollerante e anche un po’ stronzo. E allora: abbasso la critica farisaica. E viva il pubblico dei puri di cuore e dalla bocca buona. Siamo sempre stati con voi. E lo saremo sempre.

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