Questione di cuore
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E’ sempre stata una regista attenta alla dimensione psicologica, ai rapporti umani, Francesca Archibugi. Il suo curriculum riporta titoli di film imperfetti, ma anche positivi, aperti spesso al racconto di un’amicizia. Mignon è partita, Il grande cocomero, anche il recente, non riuscitissimo Lezioni di volo, raccontavano con delicatezza il dramma di diventare grandi o semplicemente la difficoltà di essere adulti e di trovare una strada. Questione di cuore racconta proprio questo: la difficoltà di due uomini di trovare un posto nel mondo. Alberto (il sempre più versatile Antonio Albanese) è uno sceneggiatore di successo. Così sembra almeno in apparenza. Visitato in ospedale da amici famosi, pieno di verve e vitalità, in realtà è solo come un cane, malinconico e chiuso in se stesso, disamorato di tutto, anche della stessa compagna. Angelo (Kim Rossi Stuart, anche lui molto in parte) è invece tutto il contrario: è un borgataro silenzioso, ha un’officina in proprio, una bella moglie incinta e due figli vivacissimi e problematici. Tra i due nasce una bella amicizia, all’insegna – e questa è una bella novità per il cinema italiano recente spesso lamentoso e deprimente – della gratuità e della condivisione. I due stanno insieme in tutto, persino sul lavoro e addirittura a casa. Un’amicizia vera, nata in un momento di fragilità fisica e non solo e che per entrambi pare una piattaforma di lancio per la realtà. Alberto, accolto a braccia aperte dall’amico si sente meno solo e Angelo, d’altro canto, preoccupato per le proprie condizioni di salute, ha qualcuno su cui contare e forse a cui affidare la propria famiglia in caso di necessità. E’ questo il tratto più sincero e veritiero del film della Archibugi, un altro film non perfetto, sprecone nel finale, affastellato di personaggi e situazioni che, specie nella seconda parte del film, non sono compiuti: dal personaggio interpretato da Francesca Inaudi che troppo frettolosamente ritorna nelle braccia di Alberto, all’entrata in scena della Guardia di Finanza, alla evoluzione stessa dei due protagonisti, tanto curata da un punto di vista introspettivo per buona parte del film, quanto affrettata in una chiusura amara e nel contempo ideologica: era proprio necessaria la sequenza con al centro la statua della Madonna ? Forse no, o comunque andava strutturata e spiegato il tutto meglio. Bene, ad ogni modo, ambientazione e cast. L’ambientazione, romanesca più che romana, è un bell’omaggio, anche questo sincero, alla città amata da Pasolini; il cast, oltre ai due bravi protagonisti annovera anche una sorpresa: la bellezza popolana ma non istupidita di Micaela Ramazzotti.