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Quo vadis, Baby?

Regia:
G. Salvatores
Cast:
G. Alberti, E. Germano
Una detective privata indaga sulla morte della sorella morta suicida anni prima.
Voto: 4,0

Il talento discorde di Gabriel Salvatores (Mediterraneo, Nirvana) si conferma con quest'ultimo suo Quo vadis, Baby? Che è l'esatto opposto del precedente, emozionante Io non ho paura, Come il film tratto dal romanzo omonimo di Ammaniti era infatti pienamente mediterraneo, vitale, solare in una parola pieno di speranza, pur in un contesto difficile e doloroso, Quo vadis Baby? è nelle intenzioni un noir metropolitano, laido, cupo, funebre. In una parola, senza speranza. Ma questo non è il limite del film del regista di Denti. Molti film, scomodi e disperati, sono capolavori da cui imparare anche non rispecchiano una concezione di vita orienta verso il positivo. Quello che manca nell'opera di Salvatores è – come direbbe Flannery O'Connor – è la volontà di sporcarsi le mani di polvere. Perché l'uomo è fatto di polvere e fango. Ovvero, entrare a piene mani nel dramma dell'umano, anche nell'abisso talvolta. Impattarsi con la realtà e chiedersi il perché delle cose. Senza ricamare facile retorica, slegata dal contesto, per accattivarsi il gusto dei soli cinefili. Il problema di un film come Quo vadis, Baby? è l'astrattezza di fondo di un film che non fa mancare nulla al cinefilo in cerca di emozioni noir (un suicidio, un'indagine misteriosa rivolta verso il passato, ambienti e fotografia suggestivi, le facce giuste di un cast insolito e maledetto), ma che in ultima analisi si rivela come un giochino studiato a tavolino e piuttosto inconsistente. Il noir del Dopoguerra nasceva da un determinato contesto (la memoria del Nazismo), attraverso uomini che avevano toccato con mano l'orrore dell'ideologia (Robert Siodmark, Billy Wilder, tutti registi dell'Est) che, arrivati a Hollywood, sia da un punto di vista formale sia da un punto di vista contenutistico riempiranno le proprie opere dei fantasmi angosciosi del passato. Ma con una domanda sempre pronta: perché? Salvatores cerca di recuperare qualche suggestione formale del noir classico e italiano (soprattutto ispirato dai romanzi di Giorgio Scerbanenco) ma non va oltre. Guarda alla distruzione dei suoi personaggi senza un filo di compassione, freddo e distaccato come il Van Sant di Elephant o del recente Last Days. E, quel che è peggio, senza amore per il proprio folto pubblico.

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