Ricordati di me
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Non poteva che uscire il 14 febbraio l’ultimo film di Gabriele Muccino. San Valentino e la voglia di tenerezza e di coccole. San Valentino che fa tanto felici, più che i fidanzati, venditori di cioccolatini e contraccettivi. San Valentino e la fiera della vanità e del sentimentalismo più esasperato. L’ultimo film di Muccino è tutto questo e ben altro: è l’affermazione del sentimento come misura di tutte le cose e la menzogna che la felicità, se esiste, è una chimera. Irraggiungibile. La vita fa schifo. Se lo dicono tutti i personaggi del film. Carlo, il padre, si tura il naso quando deve andare al lavoro o tornare a casa. Scoprirà la libertà tra i seni della procace Alessia. Giulia, la madre, aveva una passione per il teatro, rimasta soffocata sotto metri cubi di cenere di una follia chiamata matrimonio. Paolo, il figlio, desidera lasciare un segno nella storia, ma si rifugia tra i fumi della droga. Valentina, la figlia, è una diciassettenne stangona, con il sogno di diventare una velina. Finirà a letto con mezza televisione. C’è solo disperazione e cinismo in Ricordati di me, condito con uno stile accattivante e moderno che vorrebbe occhieggiare al pubblico ma che finisce per essere troppo simile a L’ultimo bacio (finale compreso), per colpire veramente. Muccino vorrebbe raccontare l’Italia dei matrimoni distrutti e della gioventù senza valori, della famiglia come un peso, e ci riesce in parte, ma si dimentica che esiste al mondo gente diversa. Che ha voglia di mettere su casa e famiglia, di mettere al mondo figli e magari di provvedere per loro ad una educazione. Esiste cioè un’alternativa al quieto vivere senza senso e alla ricerca di una felicità che rimane solo sulla carta e di cui non si fa mai esperienza. E’ singolare, infatti, che tutti i personaggi del film si muovano come trottole isteriche e non camminino mai verso una meta precisa e fondata. Tutti ammettono la propria solitudine. Tutti parlano di felicità. Ma nessuno, in fondo in fondo, sembra crederci veramente.